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Bimba allontanata dalla famiglia a Ladispoli, Malan (Fi) interroga i ministri

L'avvocato Pichierri: "Assunte condotte contrarie a tutte le norme nazionali e sovranazionali"

Pubblicato:09-07-2019 12:16
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 15:30

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ROMA – È trascorso poco più di un anno da quel 28 giugno 2018 quando nel comune di Ladispoli una bambina di 11 anni, di origine bulgara, è stata allontanata da sua madre. Sulla vicenda è intervenuto il senatore Lucio Malan, presentando un’interrogazione parlamentare ai ministri della Salute, Giulia Grillo, della Giustizia, Alfonso Bonafede, e delle Politiche sociali, Luigi Di Maio. Ecco la storia di questa separazione familiare, ricostruita dal vicecapogruppo vicario di Forza Italia: “La minore che chiameremo con un nome di fantasia Sofia, è nata il 27 giugno 2007 in Bulgaria, è cittadina bulgara di madre bulgara e nel 2012 si è trasferita in Italia con la propria mamma e G.D., con cui la madre ha contratto matrimonio e che dal 2012 si è fatto carico delle funzioni di padre per la minore poiché quello biologico è rimasto pressoché assente nella vita della piccola. Nel maggio 2018 il servizio sociale, a seguito di una segnalazione della scuola della minore con cui veniva informato che la bambina era stata assente per 27 giorni per problematiche legate alla pediculosi, che vi era un presunto cattivo odore sui vestiti della piccola e un non meglio circostanziato abbigliamento non adeguato all’età, dopo un unico incontro conoscitivo con la madre e il di lei marito, eseguiva in data 27 giugno 2018, giorno dell’undicesimo compleanno della minore, una visita domiciliare, che rilevava una non meglio precisata sporcizia e disordine in casa. A nulla è valso che la madre e il di lei marito- precisa Malan- spiegassero che erano appena terminati i lavori di ristrutturazione della casa ed erano in procinto di partire al fine di trasferirsi nuovamente in Bulgaria, cosa facilmente desumibile dal fatto che gran parte delle suppellettili fosse in scatoloni da trasloco, come risulta dalle fotografie, dalle quali si rileva che l’abitazione è più che decorosa (certificata di classe energetica A) con ampia e graziosa stanza per la bambina. I coniugi rappresentavano inoltre al servizio sociale la forte inimicizia che vi era tra loro e la scuola, e in particolare con il dirigente scolastico. Il contrasto, sfociato in alcune denunce penali presentate a carico del dirigente scolastico, R.A., originava dalla divulgazione non autorizzata sul sito della scuola – a sua volta collegato ad altri siti tra cui Vimeo, una piattaforma di visualizzazione e condivisione di contenuti multimediali – di fotografie in cui vi era Sofia”.

“I coniugi- sottolinea il vicecapogruppo vicario di Forza Italia- avevano anche protestato perché nella scuola era stata imposta come lingua obbligatoria il rumeno anziché l’inglese, quest’ultima disponibile solo a pagamento. A seguito della sola visita domiciliare, il giorno successivo, il 28 giugno 2018, senza alcun altra indagine o istruttoria che potesse coinvolgere le altre figure parentali, come la nonna e la bisnonna con cui la minore era solita condividere il periodo estivo, le assistenti sociali, unitamente all’assessore alle politiche sociali del comune di Ladispoli, si presentavano presso l’abitazione famigliare con carabinieri e vigili urbani, questi in uniforme e armati, prelevando Sofia e collocandola in un istituto gestito da una suora, della quale esistono fotografie in cui è abbracciata al dirigente scolastico. Così istituzionalizzata, la minore, dal 28 giugno fino al maggio 2019, ha potuto incontrare la sola madre due volte a settimana, in presenza di persone dell’istituto, mentre le è stato inibito di incontrare o anche solo sentire telefonicamente sia il padre acquisito G.D., considerato dal servizio sociale un estraneo rispetto alla minore, che la nonna e la bisnonna materna, e tantomeno altri amici della piccola”.

La minore è stata sottoposta, “senza alcuna autorizzazione, a vaccinazioni già effettuate dalla madre- si legge nell’interrogazione parlamentare- costretta a servire come chierichetta le funzioni domenicali nonostante sia di religione ortodossa e obbligata a non parlare alla madre in lingua bulgara come aveva sempre fatto, ma solo – innaturalmente – in italiano. A oltre un anno dall’allontanamento non è stato previsto né attuato alcun progetto di sostegno, contrariamente a quanto prescrive la legge. Al contrario, alla madre, a seguito delle sue richieste e contestazioni relative a comportamenti inadeguati della suora A.M. responsabile della casa famiglia e a una cicatrice trovata sulla schiena della bambina, ha ricevuto dalla responsabile del servizio sociale una lettera che le proibisce totalmente di incontrare la figlia senza altra motivazione che ‘a seguito degli ultimi eventi’. Il sito internet dell’Istituto cui fa capo la struttura dove Sofia è confinata, anche se in esso la sede di Ladispoli non è menzionata, ha pubblicato dopo la scorsa Pasqua – in ostentato sfregio alla privacy e alla famiglia – un articolo intitolato ‘Pasqua a Ladispoli’, fatto passare come scritto dalla stessa Sofia e recante il vero nome della minore. Il fatto di essere a Ladispoli e di essere bulgara, oltre a una fotografia della bambina stessa, sia pure con il volto poco visibile, rendendola perciò facilmente identificabile. Nel testo le si fa dire di essere molto contenta che, mentre gli altri bambini sono in famiglia per le vacanze, lei può godere delle coccole delle suore, che le piace tanto stare vicino al sacerdote e che suor A.M. è il capo di tutti e di tutte mentre lei (la piccola) deve solo ubbidire. Il sindaco, benché nominato tutore legale di Sofia, non ha mai risposto alle accorate lettere di sua madre; il Tribunale per i Minorenni ha avallato la sconcertante condotta del servizio sociale basandosi esclusivamente su generiche e non documentate relazioni dei servizi stessi; Sofia, in oltre un anno, non è mai stata ascoltata dall’autorità giudiziaria, pertanto, quando e se lo sarà, le sue parole potrebbero essere assai poco attendibili”.


Malan chiede “ai ministri interrogati, secondo le rispettive competenze, di sapere se non ritengano siano stati violati: gli artt. 1 e 4 della legge 28 marzo 2001 n. 149; gli artt. 3, 29 e art. 30 della Costituzione, tutti volti a preservare, ove possibile, l’unità familiare; gli artt. 9 e 12 della Convenzione di New York, che stabiliscono rispettivamente il diritto del minore a non essere allontanato dalla propria famiglia se non in casi estremi di maltrattamenti e incuria e il diritto all’ascolto del minore per ogni questione che lo vede coinvolto; l’art. 8 della CEDU che impone agli Stati di armarsi di un vero e proprio arsenale, come lo definisce la Corte EDU, al fine di garantire l’unità familiare e la non ingerenza in esso se non in modo proporzionato alla necessità; l’art. 315-bis c.c. che stabilisce l’obbligo di ascolto del minore a pena di nullità del provvedimento giudiziario che lo coinvolge; e infine le linee guida dell’Ordine nazionale degli assistenti sociali del 2016, che riconosce l’allontanamento operato ex art 403 cc come extrema ratio, da usare solo dopo aver posto in essere tutti i necessari interventi sociali onde prevenire ed evitare un provvedimento così grave, e che contestualmente all’allontanamento deve essere predisposto un progetto per il recupero della genitorialità”.

Malan prosegue chiedendo “se non ritengano che tali modalità di intervento possano provocare traumi indelebili alla minore e al proprio nucleo familiare per quella che è stata da più esperti definita ‘alienazione familiare’. Considerando che Sofia è da oltre un anno in un contesto residenziale, privata di ogni contatto con i propri familiari e amici e delle proprie abitudini- aggiunge il senatore- oltre ad essere contrarie all’obbligo per lo Stato di promuovere il benessere dei cittadini, se daranno l’assenso a iniziative legislative aventi il fine di evitare inappropriati e ingiustificati interventi istituzionali nelle famiglie, prevedendo sanzioni per coloro che assumono condotte contrarie alla tutela del minore come stabilita dalle leggi nazionali e sovranazionali. In particolare- conclude Malan- al ministro della giustizia, se intende promuovere azioni nei confronti dei responsabili”.

L’AVVOCATO: BASTANO PELI DI GATTO E CANE PER ALLONTANARE UNA BAMBINA?

Peli di gatto e di cane ritrovati a casa. Polvere post lavori di ristrutturazione. Ventisette giorni lontano da scuola per guarire da una pediculosi. Ritorno in classe con una parrucca, per coprire quei capelli corti che generalmente non piacciono alle bambine. “Questi fenomeni possono rappresentare un comportamento pregiudizievole dei genitori, tale da giustificare un allontanamento di una bambina di 11 anni dalla propria famiglia? A quanto pare sì ed è successo a Ladispoli a una mamma e a sua figlia entrambe di origini bulgare”. È il commento dell’avvocato della famiglia Catia Pichierri, responsabile legale della Onlus Rete Sociale, che opera a tutela dei nuclei familiari fragili.

Secondo Pichierri, “nel caso di specie sono state assunte condotte contrarie a tutte le norme nazionali e sovranazionali, e queste violazioni sono state rappresentate davanti l’autorità giudiziaria”.

Il problema di fondo, per l’esperta, “è che in realtà ci troviamo davanti a un allontanamento ex articolo 403 del codice civile, cioè un allontanamento che dovrebbe avvenire soltanto secondo le linee guida dell’Ordine degli assistenti sociali emanate nel 2016 come extrema ratio- spiega Pichierri- ovvero successiva a una serie di progetti e di strumenti, oltre che di indagini conoscitive. Purtroppo l’autorità giudiziaria di fronte a queste violazioni tende a nominare un consulente tecnico d’ufficio, con un aggravio enorme di spesa”.

Un consulente tecnico d’ufficio (ctu) costa “dai 4mila agli 8mila euro, a seconda poi dei tribunali e di come liquidino le competenze. Inoltre, in una consulenza tecnica di ufficio, deve interagire un consulente tecnico di parte, con un ulteriore aggravio di spese per la famiglia. In aggiunta le consulenze sono lunghissime. Il codice prevede 90 giorni, ma c’è sempre il diritto di proroga. Io- afferma l’avvocato- non ho mai visto una consulenza prima dei 150 giorni. Ci sono addirittura consulenze che durano tre-quattro anni, un tempo lunghissimo per questi bambini allontanati e un esborso di denaro privato enorme. È un esborso anche di denaro pubblico, perché per ogni bambino allontanato parliamo di cifre che variano dai 200 ai 400 euro al giorno”.

La responsabile legale di Rete Sociale aggiunge anche un altro particolare sulla vicenda: “La madre si è vista negata la possibilità di un interprete di lingua bulgara sia dal servizio che dall’assessore alle Politiche sociali per mancanza di fondi”. Parlando poi della piccola, precisa: “Il trauma che subiscono questi ragazzini diventa foriero di altre problematiche di natura sociale, perché molto spesso questi ragazzini sono poi dediti alla droga. Incontrano all’interno delle stesse strutture altri adolescenti con ulteriori problematiche, magari più importanti. Sono bambini sottratti che diventano ragazzi alla deriva, diventano un problema sociale. Mi auguro che questa consulenza non ci sia e speriamo che questa ordinanza del tribunale arrivi il prima possibile. In media l’attesa è di 15-20 giorni- conclude Pichierri- altre volte possono passare anche dei mesi prima di avere un responso da parte dell’autorità giudiziaria su questi temi”.

LA REPLICA

Sulla vicenda è intervenuta Giulia Fiorucci, legale di Riccardo Agresti, dirigente scolastico dell’Istituto comprensivo Corrado Melone di Ladispoli.  Secondo l’avvocato la ricostruzione riportata nell’interrogazione del senatore Lucio Malan contiene “gravi inesattezze, lesive dell’immagine e del decoro dell’Istituto ‘Corrado Melone’ e dello stesso Dirigente scolastico, senza alcun effettivo controllo della corrispondenza alla realtà dei fatti occorsi”. (…) Il testo del documento e le parole dell’avvocato della famiglia Catia Picchieri dipingono “la Scuola ed il Suo Dirigente come un’Istituzione che opera in maniera grossolana e personalistica”, mentre “la vicenda è invero molto più complessa ed ha interessato i Servizi Sociali, l’Autorità Giudiziaria ed ovviamente la Scuola, quale Istituzione fondamentale nella vita di ogni bambino, garante non solo dell’istruzione e dell’educazione, ma primo ed effettivo baluardo civile nella tutela dei minori. La minore è stata segnalata ai Servizi Sociali per numerose assenze ed entrate in seconda ora, oltre al problema della pediculosi che l’ha interessata per ben due volte nel corso dello stesso anno scolastico. La minore si presentava poco curata nell’abbigliamento e nell’igiene personale, arrivando a scuola spesso senza quaderni o libri. Correva pertanto l’obbligo, da parte dell’Istituzione scolastica, di informare gli Assistenti Sociali per opportune verifiche, anche in considerazione dell’atteggiamento per nulla collaborativo della famiglia della minore, in perenne contrasto con le maestre, con l’Istituto e con i genitori degli altri alunni, costretti addirittura a presentare anche denunce per salvaguardare la serenità dei propri figli in classe. A tal riguardo, si sottolinea che la minore era già stata trasferita da un altro Istituto scolastico per “insanabile incompatibilità” con le precedenti insegnanti e che le maestre dell’Istituto Corrado Melone hanno più volte relazionato al Dirigente Scolastico episodi di violenza verbale ed ingiuria avvenuti nei loro confronti da parte dei familiari della minore, laddove la Scuola cercava solo di garantire il normale svolgimento delle attività. Pare opportuno sottolineare che l’Istituzione scolastica coinvolta segue le norme dell’Ordinamento Giuridico, non persegue finalità personali, né tantomeno improbabili “inimicizie”, ma si occupa dei minori per molte ore nel corso della giornata, agendo per la loro migliore crescita e tutela. Ne consegue che il ruolo della Scuola nella vicenda sia da ricondurre all’ordinaria amministrazione, atteso che qualsiasi caso simile è stato trattato nella medesima maniera e che l’unico interesse perseguito, lo si ribadisce, è la corretta educazione, istruzione e crescita del minore”.

L’avvocato conclude la replica ribadendo che l’Istituzione scolastica ha sempre operato “nella totale trasparenza e legalità”.

 

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