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Il sake alla conquista del mondo: il cammino verso la tutela come patrimonio dell’Unesco

All’Istituto Giapponese di Cultura in Roma un seminario per approfondire la storia e la cultura del sake, bevanda alcolica simbolo del Giappone

Pubblicato:09-03-2024 17:19
Ultimo aggiornamento:10-03-2024 14:06

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ROMA – Una serata all’insegna del sake e della sua antica cultura, una tappa del cammino che porterà il tradizionale prodotto giapponese a far parte del Patrimonio culturale immateriale dell’UNESCO. In attesa degli esiti della candidatura della ‘produzione tradizionale di sake’ a Patrimonio immateriale, l’Agenzia Fiscale Nazionale, l’Agenzia per gli Affari Culturali e l’Istituto di ricerca sui liquori del Giappone hanno organizzato all’Istituto Giapponese di Cultura in Roma un seminario per approfondire la storia e la cultura del sake, bevanda alcolica simbolo del Giappone, che gode di una crescente popolarità in tutto il mondo. Anche l’Ambasciata del Giappone in Italia si sta impegnando per la promozione del sake, e lo scorso 4 marzo la ‘Sake Caravan’ ha toccato Firenze per far conoscere il fascino di questa raffinata bevanda. Ospiti della serata all’Istituto Giapponese di Cultura in Roma un produttore di sake, Shinuemon Konishi, della sakagura Konishi (le sakagura sono le cantine di sake, i luoghi di produzione), e una produttrice, Yoshida Kayo, della sakagura Umenoyado.

La sakagura Konishi è stata fondata nel 1550 (19mo anno dell’Era Tenbun) e ha sede a Itami, nella prefettura di Hyogo, tra Kobe e Osaka. Lì è nata e lì resta, e Shinuemon Konishi rappresenta la 15ma generazione attiva nella produzione. Tra i prodotti che ha presentato a Roma un junmai-shu (genere più acido e dall’umami più evidente, grado di dolcezza relativamente basso) molto dolce, 17.5 gradi alcolici, colore ambrato. Il Cho Tokusen Shirayuki Edogenroku No Sake, questo il nome del sake, viene prodotto con una ricetta del peridoo Edo risalente al 1720. Per produrre questo sake antico, ambrato, non trasparente, ricco e pastoso, ha spiegato Konishi San, sono stati realizzati tini in legno come si facevano nel 1700 “perché per una ricetta del 1720 servono tini antichi”. Questo sake riproduce l’antica ricetta custodita dalla famiglia Konishi nel libro segreto ‘Sake Eitai Kakucho’ risalente al 1702 (15mo anno Edo Genroku), l’anno della vendetta dei 47 Ronin (o Vendetta Ako). Questo sake ha richiesto due anni di studio del testo per poter essere riprodotto fedelmente, la preparazione richiede l’uso di metà dell’acqua rispetto a quella del sake attuale.

Yoshida Kayo, donna a capo della sakagura Umenoyado, conferma che il Giappone è
Paese di “innovatori ma nella tradizione”, puntando a “innovare e preservare”
. In un
settore tradizionalmente maschile, come quello della produzione di sake, si stanno
facendo largo le donne. “Fare sake è un po’ faticoso, ma oggi almeno un 30% di donne
lavora nella produzione”, spiega Yoshida Kayo. Lo spirito della sua casa di produzione è
quello di “contribuire alla prosperità delle comunità locali continuando e promuovendo la
cultura tradizionale, fornire ai clienti ispirazione e soddisfazione nello spirito del servizio
professionale, parlate insieme dei nostri sogni, svilupparli e lavorate duro per realizzarli”.
L’ambiente attorno alla produzione del sake “sta cambiando rapidamente”, dice Yoshida
Kayo, “credo che sia nostro ruolo e missione proteggere la tradizione, fornire prodotti di
valore e suggerire nuove idee che si adattino all’età moderna”.


GLI INGREDIENTI DEL SAKE

Il sake è fatto prevalentemente con riso e acqua che interagiscono con Koji-kin (una muffa) e kobo (lievito di sake). Si usa solo riso altamente raffinato, che dona il caratteristico e raffinato sapore. L’acqua è un elemento estremamente importante per la produzione del sake, dato che i minerali che contiene ne condizionano il sapore. Ideale è l’acqua semidura, contenente meno ferro e manganese.
Un’acqua limpida è essenziale per sake, per cui tutti i produttori sono impegnati nella tutela dell’ambiente.
In generale il termine ‘sakè’ nella lingua giapponese indica le bevande alcoliche in generale, mentre quella derivante dalla fermentazione del riso viene chiamata specificamente nihonshu. Ci sono altri liquori giapponesi tradizionali come lo shochu, un distillato, e l’umeshu, un liquore dolce alla prugna prodotto lasciando macerare il frutto nell’alcol. Quasi tutti i sakè contengono circa il 15% di alcol. Durante la fermentazione, il sakè di norma raggiunge una gradazione alcolica prossima al 20%, per poi venire diluito prima dell’imbottigliamento.

I DIVERSI TIPI DI SAKE

Come spiega il Japan National Tourism Organization o JNTO, l’Ente Nazionale del Turismo Giapponese, esistono diversi tipi di sake in base alle caratteristiche organolettiche e alla gradazione alcolica, si può sorseggiare caldo, freddo o a temperatura ambiente. Il sakè può essere servito freddo, caldo o a temperatura ambiente. Alcuni tipi, come il ginjo, sono preferibili freddi, mentre il junmai è spesso gustato a temperatura ambiente o caldo. Ogni specialità di sakè ha una temperatura specifica che ne esalta gli aromi, ma anche i gusti personali sono molto importanti.
Un set tradizionale da sakè prevede una caraffa di servizio, detta tokkuri, e piccole scodelle, chiamate ochoko. A volte un piccolo bicchiere viene posto in una scatola, chiamata masu. In alcuni luoghi, il sakè verrà versato fino a quando non trabocca nel masu, come segno di generosità verso l’ospite.
Esistono molti tipi di sakè, classificati in base agli ingredienti, ai metodi di produzione e al grado di lucidatura del riso. La parte più esterna del chicco di riso infatti non è adatta alla fermentazione e viene perciò rimossa durante il processo di brillatura. Oggi ogni chicco viene reso più piccolo.
Koji è il nome dato al riso cotto a vapore e spruzzato (coltivato) con muffa di koji. I suoi enzimi convertono l’amido di riso in zucchero, del quale il kobo (lievito) si alimenta. La massa in fermentazione si chiama moromi. Nel processo di fermentazione, a convertire lo zucchero in alcol è un tipo particolare di lievito, il saccharomyces cerevisiae. Il suo nome latino e il corrispondente termine giapponese kobo significano entrambi ‘lievito madre’.
La denominazione honjozo indica che il riso è stato brillato sino a conservare il 70% del chicco, rimuovendone il restante 30%. ll ginjo è prodotto con riso brillato al 60% o meno e fermentato lentamente a basse temperature. Il ginjo i cui grani sono lucidati al 50% o meno è chiamato daiginjo. Per avere un’idea un riso italiano pregiato come il Carnaroli è brillato all’82-83%. Un tasso di lucidatura più basso significa che si utilizza più riso e si passa più tempo a lucidarlo, quindi giustifica un prezzo più alto.
Il junmai è un tipo di sakè prodotto senza alcol di fermentazione e utilizzando solo riso, acqua, lievito e malto di riso (koji, coltivato per la produzione alimentare e cosparso sul riso cotto a vapore per secernere enzimi). Il termine junmai è talvolta usato in combinazione con il sakè ginjo e daiginjo.
Tra gli altri tipi di sakè, il namazake, un sakè non pastorizzato, il nigorizake (o semplicemente nigori), un sakè filtrato attraverso un tessuto ruvido, dall’aspetto nebuloso che crea una sensazione cremosa al palato, e lo shiboritate, prodotto senza maturazione.
Il mirin è invece sake più grezzo, con molto umami, che si usa in cucina.
Il termine genshu si riferisce al sakè non diluito, con un contenuto di alcol di circa il 20% e un aroma più intenso. Tra i sakè con un contenuto inferiore di alcol il sakè frizzante, oggi particolarmente di mod. Parente dello spumante, il sakè frizzante è più piacevole e bevibile, specialmente per i neofiti.

Storicamente, si poteva produrre sakè solo d’inverno, occorrendo temperature basse. Oggi il sakè può essere prodotto in qualsiasi momento dell’anno, anche se la maggior parte dei produttori di alto livello predilige i mesi freddi. Durante l’inverno, è disponibile il namazake, il sakè non pastorizzato. Nel resto dell’anno, il sakè disponibile in commercio è stato lasciato maturare per lunghi periodi.

LA CERIMONIA DI APERTURA DEL BARILE DI SAKE: KAGAMI BIRAKI

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