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Molestie, fischi, abusi: le Università non sono sicure per le donne

Le molestie subite dalle studentesse all'interno degli atenei italiani diventano storie, numeri e voci grazie a ‘La tua voce conta’ un'indagine dell'Unione degli Universitari

Pubblicato:08-03-2024 11:45
Ultimo aggiornamento:08-03-2024 12:08

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ROMA – Sono stata più volte toccata dal mio relatore di tesi durante le correzioni del testo”. E poi: “Un uomo appartenente al personale dell’università ha allungato le mani sul mio sedere (più di una volta) durante un giro dell’università”. Le molestie subite dalle studentesse all’interno degli atenei italiani diventano storie, numeri e voci grazie a ‘La tua voce conta’ un’indagine dell’Unione degli Universitari presentata questa mattina alla Camera dei Deputati in occasione della Giornata internazionale della donna. Apprezzamenti sessuali, fischi, catcalling, contatti fisici non richiesti e spesso accompagnati da molestie verbali: per il 20,5% degli studenti, gli atenei italiani non sono spazi sicuri, e il 34,5% “ha sentito parlare di casi di molestia o violenza all’interno degli spazi universitari”.

Tra i luoghi meno sicuri ci sono gli studi dei docenti (37%), i luoghi di tirocinio (34,7%), gli studentati (32%), le aule dove si frequentano le lezioni (17,4%) le biblioteche (12,4%). E poi altri luoghi (17,4%) come aule studio, spazi esterni all’ateneo, bar, bagni e così via. E tra i più inclini a perpetuare molestie ci sono proprio i docenti (per il 48%), i compagni di corso per il 47%, i compagni di studentato per il 32% e il personale tecnico amministrativo per il 20%.

L’indagine si è basata su 1500 risposte arrivate tra l’11 febbraio 2024 e il 3 marzo 2024, ma l’intenzione dell’associazione universitaria è “continuare a monitorare la situazione in tutto il territorio nazionale”. Al termine del questionario, è stato poi lasciato uno spazio libero per raccontare la propria esperienza. “E le segnalazioni arrivate risultano essere tutte estremamente gravi sia per tipo di molestia/violenza subita, che per autori”, spiega l’Udu. Episodi diversi tra di loro ma che “condividono tutti lo stesso risultato: la sensazione di disagio e paura generata nella persona abusata dentro un contesto formativo”.



“Con quel visino può fare la escort, ci pensi. Guadagnerebbe anche bene”. E ancora, “Tirocinio in reparto. Mi piego per firmare il foglio firme appeso in bacheca. Passa uno dei medici tutor che inizia a commentare volgarmente il mio fisico con apprezzamenti non richiesti e allusioni sul volermi vedere piegata altrove”. Le molestie verbali sono fra gli episodi più segnalati, da docenti nei confronti di studentesse, da tutor nei confronti di tirocinanti, dottorandi o pazienti. Ma non mancano veri e propri casi di abuso, anche fisico. Tra le caratteristiche che accomunano le segnalazioni c’è anche “la totale noncuranza da parte degli atenei davanti a tentativi di denuncia“, segnala l’Udu. “Varie ragazze hanno denunciato diverse molestie avvenute all’interno dello spazio universitario perpetrate da professori, sia verbali sia fisiche che, nonostante siano state fatte arrivare in consiglio accademico sono state ignorate, umiliando le vittime e chiedendo a quest’ultime di presenziare da sole con il carnefice e il direttore per poterne discutere, mettendo anche in una posizione scomoda e di disagio la vittima”, racconta una studentessa.

Molestie che, se pur in rari casi, riguardano anche i ragazzi: “Una professoressa che insegna a infermieristica dà spesso delle pacche sul didietro agli studenti maschi durante i tirocini”, si legge in una segnalazione. Così come sono state registrate discriminazioni di matrice razziale o abilista nei confronti della componente studentesca. Casi che rivelerebbero, secondo l’Udu, un fenomeno esteso, e che sopravvive da tempo.


Anche perchè, per il 22,4% dei rispondenti “il clima presente all’interno dell’università non mette le soggettività che hanno vissuto una molestia o violenza nelle condizioni di denunciare”. Tra le cause di tale percezione quelle maggiormente evidenziate sono: la paura delle ripercussioni sulla propria carriera, il giudizio da parte dei compagni di corso, la consapevolezza diffusa che la persona abusante non riceverà alcuna conseguenza, la consapevolezza che il fatto verrà sminuito e celato. “Non sono stata mai in grado di reagire, era il professore coordinatore del corso da cui dipendeva la mia laurea”, confessa una studentessa. E poi: “Dai piani alti è stato detto che l’università non lo sospenderà, al massimo verrà
spostato in un altro corso di laurea”. Un clima che dimostrerebbe “quale sia la centralità del ruolo di potere e della protezione della reputazione dell’ateneo quando si parla di casi di molestia o violenza all’interno degli spazi accademici”, sottolinea l’Udu.

I SERVIZI OFFERTI DAGLI ATENEI

Solo il 25,7% dei rispondenti riporta l’esistenza di centri antiviolenza entro il proprio ateneo, per la maggior parte gestiti dall’ateneo (13,4%) o dalle associazioni studentesche (9,4%) e in minima parte da organizzazioni esterne (2,9%). Il 12,2% dichiara invece che non sono presenti centri antiviolenza all’interno dell’ateneo. Tuttavia, il dato più indicativo risiede proprio nel 62,1% che dichiara di non saper rispondere alla domanda; “indice di una grande disinformazione all’interno degli spazi universitari rispetto ai servizi offerti”, evidenzia l’associazione.

E gli sportelli antiviolenza? Quando esistono, per la maggior parte dei casi (50%) forniscono servizi di primo ascolto o psicologici, e solo nell’8% dei casi i rispondenti riportano l’esistenza di centri antiviolenza che offrono sia servizi di ascolto psicologico che di supporto legale. Anche in questo caso, però, oltre il 30% dichiara di non saper rispondere. Ma dove ci sono presidi, la sicurezza a denunciare arriva al 45,4% mentre dove non sono presenti cala al 19,1%. Per questo, tra le soluzioni avanzate dall’Udu, oltre all’introduzione obbligatoria della figura della Consigliera di Garanzia, in ogni università dovrebbero essere presenti anche presidi antiviolenza dotati di supporto sia legale che psicologico, con personale qualificato esterno all’ateneo. Infine, percorsi di prevenzione, sensibilizzazione e formazione sul tema del consenso e dell’educazione sessuoaffettiva obbligatori non solo per la componente studentesca ma per tutto il personale interno all’ateneo.

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