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Sindaco di Tiro: “Lasciati soli dai fratelli arabi, con le elezioni non ci saranno cambiamenti”

La bellezza ferita della città sacra che prova a resistere al default

Pubblicato:07-05-2022 19:23
Ultimo aggiornamento:11-05-2022 08:07
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Dalla nostra inviata Silvia Mari

TIRO (LIBANO) – “Per consegnare la storia bisogna scriverla oppure viene dimenticata” e la città di Tiro, a 88 km a sud di Beirut, è proprio come un libro vivo sulle rovine fenicie e romane che si stagliano sul mare in una luce immortale, diffusa sulle case di velo e merletti, tra le mura mangiate dal tempo, tinte di giallo e di fumo interrotte da moderni palazzoni incolori.

Tiro è la città fortezza di Alessandro Magno ed è terra ‘sacra’ per la famosa Cana, dove avvenne il primo miracolo di Gesù di Nazareth. Una bellezza commovente che resiste nonostante il default del Paese che anche qui lambisce i perfetti contorni di una bellezza passata. Lo ha spiegato bene oggi in un incontro con la stampa italiana nella sede del Municipio il sindaco Hassan Dabouk, del partito di Amal, parlando della prossima chiamata al voto dei libanesi, domenica 15 maggio.

“Non ci saranno grandi cambiamenti, perchè avremo le stesse facce: i gialli e i verdi e nessuno riesce a superare questi partiti. Bisognerebbe cambiare proprio il sistema elettorale- ha precisato- ma dobbiamo rispettare le scelte dei cittadini comunque, anche perchè questi due partiti sono riusciti a difendere il Libano dai nostri ‘vicini'”. Così con questo sinonimo ‘territoriale-geografico’ Israele non viene nominato. E ha aggiunto: “Alla fine a noi interessa che la classe dirigente riesca a portare il Libano fuori dalla crisi. Bisognare fare un piano a medio e a lungo termine con degli esperti e non dimentichiamo che la comunità internazionale deve aiutare il Libano“. Prezzi dei viveri, sanità, costi dell’energia elettrica, e isolamento rappresentano le emergenze maggiori nel Paese. “Il Libano è stato lasciato solo anche dai nostri fratelli arabi– ha detto Hassan Dabouk- i Paesi del Golfo stanno cercando di fare la pace con ‘i nostri vicini’ (Israele) e fanno pressione, così, per fare un esempio, noi possiamo utilizzare l’ elettricità della Giordania e gas dell’Egitto ma tutti e due devono passare per il territorio siriano e gli americani e gli altri ci impediscono di utilizzare questo territorio perché loro sono contro la Siria e alla fine così paga il popolo libanese. Oppure gli iraniani potevano costruire grandi centrali elettriche per dare energia al Libano, ma non possiamo prendere aiuti né dalla Siria né dall’Iran”. E proprio sull’elettricità il sindaco ha dato l’idea della situazione grave in cui è precipitato il paese con i gruppi privati, e i relativi danni di inquinamento e per la salute dovuti all’assenza di un piano nazionale capace di garantire solo 1 ora al giorno: “L’energia costa alle famiglie metà dello stipendio per poche ore, paghiamo una bolletta 5 volte di più alta- ha sottolineato- il ministero dell’energia è nelle mani del presidente Michel Aoun e hanno fatto solo affari. In quarant’anni nessuno è andato in prigione” ha rincarato il sindaco alludendo all’ultimo affare delle “navi turche acquistate per produrre energia”, e sembra non assolvere nemmeno Amal. Parte del problema è anche responsabilità del popolo che nonostante tutto “come un mosaico” riesce a far convivere diverse comunità religiose “dimenticando altre cose essenziali”.

E a dimostrazione di quanto spiegato, ha detto: “Non abbiamo nemmeno uno stesso libro di storia a scuola”. E così la chiesa cristiana ortodossa e il canto del Corano aleggiano su Tiro alla stessa ora. “I giovani sono costretti ad andare all’estero e a trovare fortuna: siamo 4 milioni e mezzo e ogni anno si laureano 600 medici, come fanno a trovare un lavoro qui?”, ha ammesso e forse questo destino di emigrazione, tra molte altre cose, è quello che rende il popolo italiano vicino e amato da quello libanese: “abbiamo un cuore caldo” che si assomiglia.


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