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Cav di Napoli: “Crediamo nel processo, unico percorso che possa rendere giustizia”

Le precisazioni di Rosa Di Matteo, responsabile del centro anti-violenza Napoli, in riferimento al caso del bambino di Ischia Mattia

Pubblicato:06-11-2023 21:24
Ultimo aggiornamento:06-11-2023 21:24
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ROMA – “La polemica sollevata dall’intervista concessa all’Agenzia di stampa Dire anche per un’erronea interpretazione di una frase riportata nell’articolo impone la necessità, a nome del centro anti violenza di cui sono la responsabile, di reintervenire nell’intento di chiarire ogni possibile equivoco. Fermo restando il legittimo diritto di critica sempre vigente in uno Stato democratico, il centro anti-violenza di Napoli, al pari degli altri, ha sempre lavorato per la tutela dei diritti delle donne nell’ambito di tutte le Istituzioni. Ultimamente abbiamo dato anche il nostro contributo sia all’indagine della Commissione femmicidio sulla vittimizzazione secondaria, sia allo sviluppo della riforma Cartabia sostenendo, nella massima convinzione, che vi fosse all’interno del processo civile la necessità dell’inserimento di un capo speciale dedicato alla violenza domestica e di genere. Il nostro lavoro, oramai trentennale, testimonia senza ombra di dubbio che noi abbiamo sempre lavorato a fianco e dentro le Istituzioni locali (la nostra attività è infatti parte del Comune di Napoli) e nazionali, credendo nel processo come unico percorso che possa rendere giustizia alle donne vittime di violenza”. È quanto afferma Rosa Di Matteo, responsabile del centro anti-violenza Napoli, in riferimento al caso del bambino di Ischia Mattia. “Noi crediamo alla qualificazione di tutti gli operatori, della giustizia e non solo, sui temi della violenza come ha sancito risolutamente la riforma Cartabia. In merito al caso specifico del minore di Ischia- continua Di Matteo- vogliamo precisare che come centro anti-violenza non abbiamo mai pensato ad un percorso autonomo, parallelo o antagonista a quello giudiziario, il che ci avrebbe messo fuori dello Stato di diritto cui siamo ben ancorate, perché vogliamo il riconoscimento all’interno dello Stato stesso dei diritti delle donne e dei bambini. La frase equivoca, su cui si è incentrata l’attenzione di molti, adoperata nell’intervista sul ‘modello extra-giudiziale’, poteva avere semmai un colore giornalistico, ma non corrispondeva assolutamente alla nostra idea di prassi codificate all’interno dell’alveo istituzionale e nell’ambito del procedimento giudiziale, dove riteniamo si possano avanzare le doverose critiche. I nostri obiettivi quindi sono e restano quelli di sostenere i diritti delle donne e dei minori secondo quanto previsto dalla Legge: l’ascolto diretto del minore, il pieno utilizzo dei poteri istruttori del giudice civile, la specializzazione dei consulenti e l’esclusione della forza pubblica nell’esecuzione dei provvedimenti- conclude- che riguardano i minori là dove non vi sia un imminente rischio per la loro vita. Questo e null’altro”.

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