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Balotelli, lo psicologo: “Ma quale folklore, quello è razzismo”

Un comportamento "basato sul reale senso di discriminazione non è legittimo" e resta un insulto

Pubblicato:05-11-2019 16:47
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 15:55
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ROMA – No al giudizio delle intenzioni, valutare invece le azioni. Per cui “non è accettabile” la giustificazione “gli ululati non sono fatti per razzismo, ma per far innervosire l’avversario”. Non può essere, insomma, considerato folklore da stadio. Fabio Lucidi, preside della Facoltà di Medicina e Psicologia dell’Università La Sapienza, torna così sul caso Mario Balotelli, attaccante del Brescia, scoppiato durante la partita in casa del Verona: dagli spalti sarebbero partiti degli ululati all’indirizzo dell’attaccante ex Inter.

“Si sta confondendo l’etnia e il colore della pelle come ragione per innervosire il giocatore, o per determinarne il peggioramento della situazione. Rimane un insulto razzista. È questo a non essere accettabile. Il piano complessivo non è un giudizio delle intenzioni, ma la valutazione delle azioni. In questa situazione si dice ‘non lo faccio perché sono razzista ma per sostegno alla squadra’. È quello che lo psicologo Albert Bandura definisce disimpegno morale”.

Per Lucidi “non è da distinguere l’intento ultimo. Bisogna definire i comportamenti. Un insulto basato sul colore della pelle è un insulto razzista. Se anche l’intento è quello di innervosire, non è legittimo. Non si può mettere in atto, sono comportamenti discriminatori. Chi si sente discriminato ne ha tutte le ragioni. Non è un processo alle intenzioni”.


Nella stessa giornata di campionato c’è stato anche il caso dei tifosi della Roma che hanno intonato cori, definiti di discriminazione territoriale, nei confronti del Napoli: “È il medesimo modello, il piano generale è se dentro lo stadio valgano principi extraterritoriali”, ha spiegato, sottolineando che non si può “per la provenienza essere insultati”.

Un comportamento “basato sul reale senso di discriminazione non è legittimo” e resta un insulto, precisa Lucidi. Chi fa queste azioni “si sente sereno e giustificato nel farlo. Con serenità dicono che non volevano insultare. Ma un individuo va formato, quel tipo di meccanismo non si svincola dalla condotta perché sei allo stadio: ‘lo fanno tutti e allora che sarà mai’. Il male lo stabilisce sempre la vittima”.

Nello specifico, tornando a Verona, “se un tot di persone mi insulta, posso ritenermi offeso da quelle singole persone. Non si tratta di una città. Se commetto un atto, mi assumo la responsabilità di averlo commesso, sia se ero da solo, sia se ero con altri- sottolinea Lucidi-. Bisogna richiamare alla responsanilita inviduale. Lo fanno tutti? Non è questo il punto. Non fa male a nessuno? Deve giudicare quello a cui rivolta la condotta. Verona non c’entra niente”.

Come risolvere un problema come quello del razzismo negli stadi? “Ci sono due grandi livelli di azione. Uno è quello educativo, di formazione individuale e collettiva, di grande attenzione all’uso complessivo delle parole nei contesti in cui le parole diventano importanti”. E poi c’è quello “sanzionatorio. E i due livelli- conclude Lucidi- non devono essere svincolati l’uno dall’altro”.

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