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Portafortuna, antimalocchio e afrodisiaci: ecco gli animali uccisi dalla superstizione

La perdita di specie animali si traduce in un danno non solo per la biodiversità ma anche per la specie umana

Pubblicato:01-03-2024 14:06
Ultimo aggiornamento:01-03-2024 14:06
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ROMA – Paese che vai, tradizione che trovi. Portafortuna, antimalocchio, poteri magici, farmacologici, afrodisiaci: molte sono le credenze popolari, antiche e moderne sui presunti benefici portati da prodotti animali o parti di essi e diffuse in tutto il mondo, Italia compresa. Ma gli effetti che queste comportano su molte specie selvatiche sono purtroppo pesanti portando queste spesso sull’orlo dell’estinzione. L’allarme arriva da WWF e CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze) in vista del prossimo 3 marzo – World Wildlife Day -, promosso a livello internazionale dalle Nazioni Unite per celebrare fauna e flora selvatiche del pianeta e far conoscere il loro ruolo fondamentale per la nostra sopravvivenza. Per questa occasione, in virtù della recente collaborazione avviata tra le due associazioni, oggi è stato anticipato un report dal titolo ‘La sfortuna è farli estinguere‘ realizzato per la GAS – Giornata Anti Superstizione, che ricorrerà venerdì 17 maggio.
Nel report, che riprende il dossier dallo stesso titolo che sarà pubblicato su ‘Query’, la rivista trimestrale del CICAP in uscita ad aprile, si descrivono le minacce legate a tradizioni e superstizioni molte delle quali antichissime, comparendo talvolta anche nei bestiari medioevali o nei trattati di filosofia naturale rinascimentali, ed è presentata la Mappa globale di questo fenomeno.
La perdita di specie animali si traduce in un danno non solo per la biodiversità ma anche per la specie umana dato che molte di esse svolgono un ruolo fondamentale sugli equilibri degli habitat in cui vivono, sulla regolazione del clima, sulla produzione di cibo.

LA MAPPA DELLE SPECIE A RISCHIO 

Tra gli utilizzi di specie legate a superstizioni e tradizioni antiche e moderne, al primo posto c’è la medicina tradizionale orientale, soprattutto Cina ma anche Vietnam, Giappone, Thailandia, che si rifornisce tuttora di animali o loro parti come la bile degli orsi della luna, le ossa, pelli e altre parti della tigre, il corno di rinoceronte (soprattutto in Vietnam), la pelle dell’asino selvatico africano, il cavalluccio marino essiccato e/o ridotto in polvere. La tigre, nonostante alcuni recenti segnali di ripresa, come in Bhutan e Russia, è ancora a rischio di estinzione e considerata minacciata dalla Lista Rossa IUCN. Dell’asino selvatico africano si stima un numero di individui potenzialmente in grado di riprodursi compreso tra 20 e 200 ed è considerato in pericolo critico di estinzione. Un recente report ha registrato dal 2023 una ripresa del bracconaggio di rinoceronti neri in alcune aree del SudAfrica, con circa 500 animali uccisi, dopo un calo durato alcuni decenni. La specie è rimasta nel continente africano con poco più di 5.000 esemplari, e quindi considerata in pericolo critico di estinzione.
La medicina tradizionale cinese impiega nella propria farmacopea circa 12.000 sostanze diverse. Tra queste, l’85% è di origine vegetale, il 2% di origine minerale, mentre i rimedi ricavati dagli animali sono circa il 13%. Sebbene ci siano stati negli ultimi anni diversi sforzi da parte dell’autorità di Pechino per fermare il traffico delle specie più a rischio (rimuovendo dagli elenchi delle specie commercializzabili quelle più minacciate, o sostituendo alcuni animali selvatici con altri di allevamento), questa pratica costituisce ancora un fattore chiave nell’estinzione di molte specie. Poteri ‘farmacologici’ vengono attribuiti ad animali anche in alcune regioni italiane: ad esempio, il vino misto al sangue di anguilla è considerato un rimedio contro l’ubriachezza e l’alcolismo. La specie è minacciata da pesca eccessiva, inquinamento, cambiamenti climatici ed è considerata in pericolo critico di estinzione.
Presunti poteri afrodisiaci vengono assurdamente attribuiti alla carne di balena in Giappone, all’oloturia o cetriolo di mare, all’estratto delle ghiandole del mosco o cervo muschiato (le cui popolazioni continuano a diminuire rendendo la specie vulnerabile per l’IUCN), allo stesso cavalluccio marino o alla polvere di corna di cervo, ai nidi del rondone asiatico salangana fino ai veri e propri ‘filtri d’amore’ come quelli prodotti con i genitali della iena. In medicina ayurvedica si utilizzano i genitali del varano, spacciati per una pianta medicinale, l’hatha jodi. Sul fronte del significato simbolico la lista è particolarmente fantasiosa anche in Italia: emblematico è il caso del falco pecchiaiolo, decimato per decenni sullo Stretto di Messina per ‘mettere gli uomini al riparo’ dalle infedeltà coniugali, e ancora oggi minacciato, soprattutto in fase di migrazione.

ANIMALI ‘SFORTUNATI’ 

Civette e quasi tutti gli uccelli notturni, al pari dei gatti neri, vengono considerati malauguranti e addirittura annunciatrici di morte (come riportato fin dagli Hieroglyphica dello scrittore rinascimentale Piero Valerio). Simili credenze sono state associate, in Europa, a rapaci notturni come il barbagianni, l’allocco, il gufo e il piccolo assiolo, come cita la nota poesia di Giovanni Pascoli a questo animale intitolata. Recenti studi hanno svelato simili credenze anche in Madagascar nel caso dell’aye-aye, un primate notturno (lemure) dotato di un dito medio più lungo degli altri che usa per procacciarsi larve e insetti. In molte zone dell’isola africana la sua presenza è vista come un presagio di morte o malattia; alcune popolazioni ritengono addirittura che l’aye-aye possa uccidere chi vuole semplicemente puntando il dito verso il malcapitato. Se avvistato, in molti villaggi si celebrano riti specifici di contrasto, ma in troppi credono che l’unico modo per prevenire la “maledizione” sia uccidere l’aye-aye, esponendolo su un palo lungo il ciglio della strada. L’aye-aye è stato inserito nella lista delle 25 specie di primati maggiormente minacciate. I ricercatori prevedono che entro il 2080 l’area di presenza della specie possa andare incontro ad una contrazione maggiore del 40% a causa dei cambiamenti climatici. Anche la credenza opposta, cioè che l’animale possa attirare la buona sorte, può rappresentare un serio pericolo per le specie coinvolte, che rischiano di essere cacciate per la realizzazione di amuleti e talismani. Così, per esempio, fino al XIX secolo, gli stambecchi venivano uccisi per estrarre la “croce del cuore”, una cartilagine che si trova a sostegno del muscolo cardiaco e a cui venivano attribuite proprietà magiche. Nei paesi anglosassoni è presente tuttora un fiorente traffico di zampine di lepre o di coniglio, mentre in India sono stati in più occasioni arrestati trafficanti di barbagianni (che qui, al contrario dell’Europa, è ritenuto un portafortuna) e di lori, un piccolo primate notturno ritenuto in grado di portare fortuna.


MAGHI, FATTUCCHIERE E …ANTI-SPIONAGGIO 

Accanto a queste convinzioni persistono quelle magiche tout court. In India, ad esempio, la credenza nella nagamani, una pietra che si troverebbe nella testa di alcuni serpenti (in particolare del cobra), e da cui si ricaverebbe un talismano in grado di curare l’avvelenamento, allontanare gli spiriti maligni, o cambiare colore in presenza di un veleno. Le “pietre di serpente” sono diffuse anche in altre culture, e sono talvolta realizzate con ossa del cranio o della coda del serpente stesso. Nell’Africa occidentale, invece, sono diffusi i gris-gris, talismani che attirerebbero la buona sorte e proteggerebbero dal male chi ne è possessore; sono in genere costituiti da sacchettini di stoffa al cui interno possono trovarsi ossa e denti di animali (in particolare scimmie, serpenti e topi).
Ma le leggende riguardano anche tempi più moderni come quella diffusa in molti paesi di cultura araba, secondo cui nazioni come gli Stati Uniti e Israele userebbero animali-spia, debitamente addestrati, per tenere sotto controllo i nemici. Capita per questo che alcuni siano uccisi o imprigionati, perché ritenuti “agenti stranieri”. A farne le spese sono spesso i volatili, come il grifone catturato in Yemen nel 2019 e detenuto nel paese per alcuni mesi. A incriminarlo, in quel caso, era stato il ricevitore satellitare di cui era stato dotato per un progetto di monitoraggio, ma anche i comuni tag, gli anelli legati alle zampine degli uccelli per identificarli in modo univoco, sono spesso oggetto di fraintendimenti.

SQUALI: I PREDATORI SIAMO NOI

Il capitolo squali merita un’attenzione particolare: sono spesso ritenuti pericolosi per l’uomo, mentre in realtà il danno provocato a queste specie dimostra che i veri predatori siamo proprio noi. Oltre all’uso alimentare di pinne di squalo, ritenuto anche un afrodisiaco (con la pratica del finning in cui si getta il mare l’animale amputato), al bycatch dovuto alla pesca e al consumo di carne che vede l’Italia al 3’ posto nel mondo, tuttora è possibile acquistare in molte farmacie ed erboristerie italiane integratori a base di cartilagine di squalo, considerata un antitumorale. Questa convinzione ebbe parecchia diffusione grazie a un bestseller del 1992: Gli squali non si ammalano di cancro: come la cartilagine di squalo può salvarti la vita, di William Lane e Linda Comac. Il libro si basava su dati errati, su studi clinici mai pubblicati in peer review e su supposizioni sbagliate: tutte le sperimentazioni effettuate finora hanno concluso che la cartilagine di squalo non ha effetti sui pazienti oncologici. La bufala però ha contribuito ad alimentare la pesca di questi animali. Secondo il WWF oltre la metà delle specie di squalo presenti nel Mediterraneo è a rischio. Una percentuale più alta rispetto al resto degli oceani considerando che, secondo l’IUCN, l’Unione Mondiale per la Conservazione della Natura, nel resto del mondo le specie di squali e razze che rischiano l’estinzione sono circa un terzo (il 36%). Eppure, preservare gli squali e le razze non solo aiuterebbe a mantenere l’equilibrio degli ecosistemi marini, ma avrebbe anche un impatto positivo nella lotta contro il cambiamento climatico. La loro presenza contribuisce al sequestro di carbonio e al mantenimento della biodiversità marina, fornendo una soluzione naturale per mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici, come illustrato recentemente nel report WWF ‘Effetto domino’ per la Campagna Our Nature in difesa della biodiversità.

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