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Egitto. Okail: “Non boicottate il turismo, vigilate sulla fornitura delle armi”

L'attivista egiziana Nancy Okail è costretta a vivere negli Stati Uniti, lontano dalla famiglia, accusata di usare fondi esteri per istigare alla rivolta

Pubblicato:24-05-2016 14:53
Ultimo aggiornamento:16-12-2020 22:46

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okailROMA – “Se boicottate il turismo in Egitto, punite il popolo egiziano. Penso che sia più importante guardare ai contratti per la fornitura di armamenti che sono stati stipulati con il governo, perché usano queste armi per reprimere e uccidere il popolo”. Così l’attivista egiziana Nancy Okail, intervistata dall’agenzia DIRE, sulla proposta avanzata recentemente anche dal senatore Luigi Manconi di boicottare il turismo in Egitto.

Okail ha partecipato a Roma all’incontro “La repressione della società civile in Egitto” inserito nell’ambito della campagna di Amnesty International “Verità per Giulio Regeni”.

Costretta a vivere negli Stati Uniti, lontano dalla famiglia, dalle sue due figlie e dalla madre, che “non vede da anni”, la donna è stata condannata, in Egitto, a 5 anni di carcere nel processo iniziato nel 2011 contro 43 organizzazioni non governative accusate di usare fondi esteri per istigare alla rivolta. Okail dirige, a Washington, il “Tahrir Institute for Middle East Policy”, mentre al Cairo è stata direttrice dell’Ong “Freedom House”.


“E’ stato terribile assistere alla vicenda di Giulio Regeni ma è molto importante continuare a cercare la verità sul caso e su tutte le persone responsabili per ciò che è stato fatto, perché questo non è solo un caso isolato, ma getta luce su un’ampia, sistematica violazione dei diritti umani in Egitto. Moltissima gente è sparita o è stata uccisa e rispetto a questo non si è trovato nessun responsabile. Perciò è molto importante assicurarsi che quelli che continuano a commettere queste atrocità e violazioni dei diritti umani contro il popolo egiziano siano individuati per fermare ciò che sta succedendo” dichiara ancora Okail. Sulle recenti manifestazioni che ci sono state nel Paese contro il governo di Al-Sisi, per la libertà di stampa e contro la cessione di due isole all’Arabia Saudita, “a dispetto della crescente repressione, le persone continuano – ha detto – a protestare, ma invece di affrontare i problemi sollevati dal popolo e le preoccupazioni della società civile, il governo va nella direzione opposta, perseguitando gli attivisti, congelando i loro beni, impedendo loro di viaggiare. Invece di affrontare i problemi stanno cercando solo di zittire la gente, e questo è un motivo di grande preoccupazione per la comunità di difensori dei diritti umani”. E tutto ciò è anche una minaccia per la sicurezza, perché “quando si chiudono tutti i canali pacifici per impegnarsi con un governo, alle persone non resta che lasciare il Paese o passare a metodi violenti, e questo rende il terreno fertile per organizzazioni terroristiche, che hanno gioco facile nel dire alla gente ‘guarda, le tue proteste pacifiche non stanno portando a nulla, dovresti unirti a noi’“.

di Giulia Beatrice Filpi

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