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Faraoni e divinità, il restauro dell’Iscr svela i tesori dei templi del Sudan

I tesori del Tempio di Mut a Gebel Barkal, in Sudan, riemergono dalla patina nera lasciata dai pipistrelli, per anni unici visitatori del monumento abbandonato

Pubblicato:05-03-2016 10:55
Ultimo aggiornamento:16-12-2020 22:06

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Il blu egiziano dello sfondo, i pigmenti neri dei geroglifici, le ocre gialle e rosse delle divinità e del grande faraone Taharqa. I tesori del Tempio di Mut a Gebel Barkal, in Sudan, riemergono dalla patina nera lasciata dai pipistrelli, per anni unici visitatori del monumento abbandonato. Eppure, l’antico santuario scavato nella roccia è riconosciuto sito Unesco dal 2003 e rappresenta una preziosa testimonianza della XXV dinastia dei faraoni nubiani che governarono l’Egitto tra l’VIII e il VII secolo avanti Cristo e che estesero il loro regno fino al Sudan. Raccontato dagli esploratori dell’Ottocento e scavato dall’egittologo statunitense George Reisner, sul sito oggi lavora una squadra dell’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro (Iscr) che ha stretto una collaborazione con il National corporation for antiquities and museum (Ncam) del Sudan. Obiettivo del progetto iniziato nel 2013, la conservazione delle componenti architettoniche e dei dipinti murali del Tempio, oltre alla formazione dei restauratori sudanesi che lavorano presso il Museo nazionale di Khartoum.

L’ARCHITETTURA EGIZIA E I FARAONI NUBIANI – Il Tempio di Mut è scavato nella roccia, al di sotto del Gebel Barkal, “una montagna non molto alta con un pinnacolo che aveva una testa di cobra- racconta all’agenzia Dire Maria Laurenti, archeologa e coordinatore generale del progetto per l’Iscr- Al di sotto del pinnacolo, si apre il Tempio con tre aule scavate nella roccia: una centrale più grande e due laterali di dimensioni più ridotte, precedute da un atrio”. Tutti ambienti affrescati con figure di divinità e faraoni. “In particolare- spiega Laurenti- si distingue la figura del faraone Taharqa che aveva dedicato questo Tempio a Mut, edificandolo al di sopra di un santuario di epoca precedente”. Taharqa faceva parte della XXV dinastia egizia, “la dinastia di faraoni nubiani che presero il potere su tutto l’Egitto tra l’VIII e il VII secolo avanti Cristo”. Il Tempio voluto per onorare Mut era preceduto da un pronao colonnato, a sua volta preceduto da un altro grande recinto colonnato, “una struttura tipica dell’architettura egizia”. Ma nei secoli è stato abbandonato, “come testimoniano alcune immagini degli esploratori che già nell’Ottocento si avventuravano al Gebel Barkal”. Sì, perché questo sito in mezzo al deserto del Sudan dall’inizio del XIX secolo è stato visitato da parecchi viaggiatori occidentali. “Alcuni reperti provenienti da altri santuari presenti nell’area sono stati portati all’estero- dice Laurenti- e ancora adesso si trovano in vari musei d’Europa, come il British museum”.


BIVACCHI E PIPISTRELLI – Per molto tempo, “gli ambienti del Tempio di Mut sono stati luoghi di bivacchi e di riparo dei pipistrelli”, racconta Laurenti. “Quando siamo arrivati, le superfici in pietra erano interamente ricoperte da uno strato scuro che anneriva gli affreschi. Abbiamo messo a punto un metodo di restauro delle superfici dipinte, e poi ci siamo preoccupati di studiare il monumento nel suo insieme, individuando anche le problematiche conservative legate anche al restauro architettonico”. La zona dell’atrio, infatti, aveva subito il crollo del soffitto scavato nella roccia, con la conseguenza che le rovine erano quindi completamente esposte. “Abbiamo trovato una copertura di lamiera sfondata. L’atrio è stato rimesso in sicurezza rispristinando una copertura realizzata con materiali e metodi tradizionali, quindi facendo ricorso alla terra cruda, che è comunque c67c2be79db85aa07e1865cbfa28fee9provvisoria- spiega l’archeologa- Poi, per mettere al riparo ulteriormente la zona, abbiamo realizzato un muro nell’area antistante e creato un nuovo ingresso, con un corridoio di accesso laterale. Il tutto, per ridurre il più possibile gli scambi interno-esterno, dannosi per i dipinti. Abbiamo anche avviato le indagini scientifiche sia fisiche, con il monitoraggio ambientale, che chimiche, per la caratterizzazione dei prodotti di degrado e dei materiali costitutivi dei dipinti”.

LA MERAVIGLIA DEI COLORI DOPO LA PULITURA – Nel febbraio del 2014 l’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro ha inaugurato il primo cantiere in Sudan. Nel 2015 e nel 2016 sono iniziate invece le campagne di restauro operative. In queste due missioni, la squadra guidata da Marie-José Mano, restauratrice Iscr e responsabile dell’intervento sui dipinti murali, ha restaurato due pareti della sala centrale del Tempio di Mut. “Con risultati molto appariscenti e spettacolari- dice Laurenti- Dalla superficie completamente nera grazie alla pulitura sono stati messi in luce tutti i colori degli affreschi che raffigurano il faraone Taharqa nel gesto di offrire doni al dio Amon, seguito da Mut e dal loro figlio Khonsu, oltre ad altre divinità egizie”. La scena è raccontata dai geroglifici che gli studiosi avevano già decifrato in passato. “E’ stato un colpo d’occhio anche per noi- ricorda Laurenti- perché il grado di conservazione è sufficientemente buono. Ci sono diverse mancanze sulla parete, ma abbiamo potuto restituire un bel testo pittorico, con le ocre gialle e rosse e il pigmento nero delle figure che si stagliano sul fondo blu egiziano”.

IL RESTAURO ARCHITETTONICO – Contemporaneamente al restauro dei dipinti, sotto la guida dell’architetto Claudio Prosperi Porta, responsabile del progetto architettonico, l’Iscr lavora anche nell’area esterna al Tempio dove ci sono ancora alcuni resti delle colonne del pronao e del grande portico antistante. “Sono frutto di anastilosi e di restauri effettuati in varie epoche, di cui è difficile ricostruire le vicende- spiega Laurenti- Le condizioni non sono buone a causa dell’erosione prodotta dal vento e dalla sabbia. La pietra arenaria di cui è fatta la montagna è molto tenera e si polverizza facilmente”. È questa la causa per cui parti delle colonne sono molto deteriorate. “Stiamo studiando dei metodi per poterle meglio conservare, restaurandole e rendendole più leggibili. Nello stesso tempo, stiamo lavorando a un progetto per la realizzazione di una3a773c45bda49c55efdad0a1cec760c9 copertura definitiva”. Il tutto, con l’obiettivo di valorizzare il sito: “Il Tempio è chiuso- dice ancora l’archeologa- e possono visitarlo soltanto i gruppi con le guide. Ma se si porta avanti questo progetto la fruizione potrà migliorare”.

I FONDI – Tuttavia, il piano di recupero del Tempio messo a punto dal prestigioso Istituto italiano “è ancora nella fase iniziale, sia per quanto riguarda il restauro dei dipinti, sia per la parte architettonica”. E per proseguire, è necessario avere un budget a disposizione. “Il progetto- tiene a dire infine Laurenti- finora è stato finanziato in parte dal ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo, in parte dal Qatar, un Paese che sta finanziando molte altre missioni archeologiche straniere e che ha offerto dei fondi all’Ncam del Sudan. Ma quest’anno non ha rinnovato i finanziamenti. Ci auguriamo che questa missione possa andare avanti”.

di Nicoletta Di Placido, giornalista professionista

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