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“La scuola non è un luogo sicuro”, parlano i promotori della petizione

"Attenzione strumentale, nessuno si preoccupa dei problemi sostanziali"

Pubblicato:28-04-2021 12:37
Ultimo aggiornamento:28-04-2021 14:41
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petizione docenti a ministro Bianchi
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BOLOGNA – Da domenica circola una petizione che sta raccogliendo consensi tra docenti e genitori. È una lettera diretta al ministro dell’istruzione Bianchi a firma di oltre 40 professori tra Pistoia, Bologna e Madrid ma non solo, nell’elenco c’è infatti anche Alessandro Ferretti, il ricercatore dell’Università di Torino, dipartimento di Fisica, che sul suo blog pubblicò lo scorso dicembre un’analisi sull’andamento dei contagi nel Piemonte dimostrando che il personale scolastico è da due a quattro volte più esposto della media.

“Della scuola, in sostanza– si legge nella lettera- non interessa granché a nessuno, altrimenti non si sarebbe riaperta al 50%, populisticamente e strumentalmente, a metà aprile senza aver cambiato nulla, senza aver progettato la minima risposta per garantire una maggiore sicurezza”. La lettera è quindi una denuncia del modo strumentale, secondo i promotori, in cui i problemi della scuola sono stati affrontati in questi mesi di pandemia.

“Volevamo capire– dice Francesca Frascaroli, professoressa bolognese tra le promotrice dell’iniziativa- se al di là delle divisioni, fra docenti che scrivono lettere di scuse agli studenti e insegnanti che dormono in classe per chiedere il rientro in presenza, ci fosse un punto di unione, di condivisione e non di divisione perché ci sono dei punti che sono largamente condivisibili al di là degli schieramenti politici per tutti quelli che hanno veramente a cuore la scuola, perché sono docenti o genitori. Di modelli didattici non si parla mai per esempio, si parla tantissimo di digitalizzazione ma questa non è la risposta. Il discorso dovrebbe ruotare semmai attorno al che cosa digitalizzi, che è importante. La digitalizzazione non è una parola magica che risolve tutto”.


Nella lettera si legge infatti che “oggi la scuola non sia una priorità lo dimostra il fatto che tutti, molti genitori in primo luogo, si preoccupano del dove si insegna e non di chi insegna, del cosa e del perché. Sono queste alcune delle ragioni per cui riteniamo che purtroppo la scuola sia una priorità soltanto nelle chiacchiere di molti, ma non lo sia di fatto nell’azione politica e nella considerazione dell’opinione pubblica e delle forze sociali”.

Da Pistoia invece Giampaolo Francesconi, che ha ideato e steso il testo della lettera aggiunge: “Nessuno di noi, lo abbiamo scritto, pensa che la didattica a distanza sia un’alternativa alla didattica in presenza. È stata un’esigenza che la pandemia ci ha imposto e io dico: meno male! Altrimenti avremmo dovuto interrompere del tutto e davvero avremmo chiuso. Ora- prosegue- abbiamo riaperto ma quali saranno le conseguenze fra qualche settimana? Oltre agli appelli dell’Ordine dei medici, gli studenti sono in difficoltà e infatti in Puglia, dove hanno potuto scegliere, solo il 2% ha scelto di tornare in presenza. Io ho studenti che sono impauriti, intimoriti soprattutto all’idea di portare a casa il virus. Anche perché in molti ormai sono stati toccati. Tra i miei alunni, tre sono positivi e sono confinati da giorni nella loro camera da letto”. E poi una considerazione sulla retorica della generazione perduta per qualche mese di didattica a distanza: “Le persone che dicono questo sono le stesse che poi il 25 aprile fanno i post sulla Resistenza– sottolinea Francesconi- ecco, non è che quella generazione che è stata per tre anni nei boschi senza didattica a distanza non abbia combinato niente. Senza per forza scomodare Fenoglio e Calvino, penso anche a mio nonno che ha permesso a una famiglia di vivere in condizioni dignitose. Eppure non hanno fatto didattica a distanza e non si è trattato di quattro o cinque mesi. Ecco questa retorica della generazione perduta per me è insopportabile, semplicemente perché non è vera”.

In queste ore la petizione ha quasi raggiunto il tetto di firme che gli autori si erano prefissati, i quali, spiegano “forse non sarà un plebiscito ma non siamo in cerca di questo né di visibilità a ogni costo, cerchiamo solo di fare la nostra parte da insegnanti e cittadini ponendo delle richieste che siano condivisibili”.

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