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Riscaldamento globale, Ipcc: “Rischi inevitabili per miliardi di persone. Siccità estrema colpirà anche l’Europa”

Il rapporto del panel intergovernativo sul cambiamento climatico: "Se la temperatura salirà di 1,5° C, la popolazione europea esposta sarà di 120 milioni. Con +3° C, 170 milioni di europei saranno colpiti"

Pubblicato:28-02-2022 12:59
Ultimo aggiornamento:28-02-2022 17:03

zingaretti
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ROMA – In relazione a periodi prolungati di siccità, “emerge il rischio di una condizione irreversibile di aridità, connesso soprattutto ai livelli più elevati di riscaldamento globale“. In Europa “questa condizione di aridità colpirebbe una porzione crescente di popolazione: con riscaldamento di +3 gradi sopra i livelli preindustriali, si stima che 170 milioni di persone saranno colpite da siccità estrema. Contenendo il riscaldamento a +1,5 gradi, la popolazione esposta a queste condizioni scenderebbe a 120 milioni”. Questo uno degli allarmi che lancia ‘Climate change 2022 – Impatti, adattamento e vulnerabilità’, secondo volume (WG2) del Sesto Rapporto di Valutazione dell’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change), la più aggiornata e completa rassegna scientifica sui cambiamenti climatici.

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Negli scenari che non prevedono contenimento dell’innalzamento della temperatura, “ci si attende che, entro fine secolo, il rischio connesso alla siccità in ambiente urbano sia significativamente più elevato rispetto agli attuali record storici”, segnala nel suo contributo Gustavo Naumann (Fondazione CIMA- Centro Internazionale in Monitoraggio Ambientale). Gli effetti della siccità “possono essere esacerbati nelle regioni il cui equilibrio è strettamente legato alla funzione dei ghiacciai, la cui riduzione avrebbe un importante effetto sulle risorse idriche”. Gli impatti della siccità sono inoltre “resi più severi dal fatto che riguardano settori diversi, a partire dagli impatti sui fiumi e sui corsi d’acqua fino a specifici settori quali l’agricoltura, la produzione di energia elettrica, l’industria“, con “impatti significativi sul Pil e sul welfare”.


Un elemento “fondamentale” da tenere in considerazione quando si parla di siccità è che “gli effetti non sono immediatamente visibili, ma si osservano a distanza di mesi“. Ad esempio gli effetti sul settore agricolo di un fenomeno siccitoso che avviene nel mese di gennaio possono risultare poco evidenti nell’immediato, ma potrebbero mostrare effetti consistenti qualche mese più tardi quando molte piante di norma germogliano e maturano, avverte il rapporto Ipcc. Alla luce delle valutazioni scientifiche risulta necessario lo “sviluppo di piani di adattamento e resilienza a livello europeo, nazionale e regionale e mettere in atto strategie che contribuiscono a mitigare il rischio e gli effetti della siccità”, ricorda Gustavo Naumann.

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Tra queste c’è la riforestazione, poiché “le foreste aiutano a regolare il flusso dell’acqua e le risorse idriche attraverso i servizi ecosistemici legati all’idrologia”. Altre soluzioni riguardano invece “un’agricoltura basata su specie caratterizzate da un ridotto fabbisogno idrico“. In questo contesto “è importante ricordare che alcune azioni impiegate per far fronte alla siccità possono rientrare nella cosiddetta ‘maladaptation’ – segnala Naumann – cioè soluzioni messe in atto per avere benefici in un settore ma che allo stesso tempo possono produrre effetti negativi su altri ambiti”. Un esempio riguarda “la desalinizzazione attraverso la quale, da un lato, si aumenta la disponibilità della risorsa idrica per ambiti specifici (come l’agricoltura)” ma che, dall’altro, “è una pratica estremamente energivora”, conclude lo studioso della Fondazione CIMA – Centro Internazionale in Monitoraggio Ambientale.

“CON +1,5° C RISCHI INEVITABILI PER MILIARDI DI PERSONE”

Con un riscaldamento globale di +1,5 gradi, nei prossimi due decenni il mondo affronterà molteplici rischi climatici inevitabili. Anche il superamento temporaneo di questo livello di riscaldamento provocherà ulteriori gravi impatti, alcuni dei quali saranno irreversibili. Aumenteranno i rischi per la società, inclusi quelli relativi a infrastrutture e insediamenti costieri. I cambiamenti climatici indotti dall’uomo stanno causando pericolosi e diffusi sconvolgimenti nella natura e colpiscono la vita di miliardi di persone in tutto il mondo, nonostante gli sforzi per ridurre i rischi. Le persone e gli ecosistemi con minori possibilità di farvi fronte sono maggiormente colpiti.

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Realizzare un modello di sviluppo resiliente al clima è già adesso, agli attuali livelli di riscaldamento globale, una sfida complessa. L’obiettivo sarà ancora più difficile da raggiungere se l’aumento della temperatura dovesse superare i +1,5 gradi, in alcune regioni sarà impossibile se dovesse superare i +2 gradi. È l’allarme che lanciano gli scienziati nell’ultimo rapporto del Panel Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (Ipcc), pubblicato oggi. “Questo rapporto è un terribile avvertimento sulle conseguenze dell’inazione“, dice Hoesung Lee, presidente dell’Ipcc. Il rapporto “mostra che il cambiamento climatico è una minaccia grave e crescente per il nostro benessere e per un pianeta sano – prosegue Lee – Le nostre azioni di oggi determinano il modo in cui le persone si adattano e la natura risponde ai crescenti rischi connessi ai cambiamenti climatici”.

L’aumento di ondate di calore, siccità e inondazioni “sta già superando le soglie di tolleranza di piante e animali, causando mortalità di massa in alcune specie tra alberi e coralli”, avverte l’Ipcc. Questi eventi meteorologici estremi “si stanno verificando simultaneamente, causando impatti a cascata che sono sempre più difficili da gestire”. Il panel Onu afferma chiaramente che “realizzare un modello di sviluppo resiliente al clima è già adesso, agli attuali livelli di riscaldamento, una sfida complessa”. Questo obiettivo sarà “ancora più difficile da raggiungere se il riscaldamento globale dovesse superare la temperatura di 1,5 gradi”.

In alcune regioni, realizzare uno sviluppo resiliente ai cambiamenti climatici “sarà una cosa impossibile se il riscaldamento globale dovesse superare i 2 gradi”. Si tratta di un dato fondamentale del rapporto, che sottolinea “l’urgenza di azione climatica, concentrandosi su equità e giustizia“. Finanziamenti adeguati, trasferimento di tecnologia, impegno politico e partnership ci “conducono a un più efficace adattamento ai cambiamenti climatici e alla riduzione delle emissioni”. Gli scienziati sottolineano che i cambiamenti climatici interagiscono con dinamiche globali quali l’uso insostenibile delle risorse naturali, la crescente urbanizzazione, le disuguaglianze sociali, le perdite e i danni da eventi estremi e la pandemia, “mettendo in pericolo lo sviluppo futuro”.

“RISCHIO INNALZAMENTO 1 METRO MAR MEDITERRANEO ANCHE CON CALO EMISSIONI”

Il livello del mare nel Mediterraneo è aumentato di 1,4 millimetri l’anno nel corso del XX secolo, “l’incremento è accelerato alla fine del secolo e ci si attende continui a crescere in futuro a un tasso simile alla media globale, raggiungendo valori potenzialmente prossimi al metro nel 2100 in caso di un alto livello di emissioni”. L‘aumento del livello del mare “continuerà nei prossimi secoli anche nel caso le concentrazioni di gas serra si stabilizzino”. Così ‘Climate change 2022 – Impatti, adattamento e vulnerabilità’, secondo volume (WG2) del Sesto Rapporto di Valutazione dell’Ipcc presentato oggi.

Nel suo contributo al rapporto, Piero Lionello (Università del Salento, CMCC) ricorda come l’innalzamento del livello del mare abbia “già un impatto sulle coste del Mediterraneo e in futuro aumenterà i rischi di inondazioni costiere, erosione e salinizzazione“. Le coste sabbiose strette che sono di grande valore per gli ecosistemi costieri e per il turismo “sono a rischio di scomparsa”. L’adattamento include opere ingegneristiche (di varia scala) e sistemi soft/ecosistemici, oltre all’arretramento della linea di costa. Le opere ingegneristiche, però, “nonostante la loro efficienza, hanno effetti negativi sugli ecosistemi, sull’attrattività turistica delle coste e sui costi economico-finanziari, che le rendono vantaggiose solo per zone densamente popolate”. I sistemi soft/ecosistemici “sono limitati dalla competizione con altre attività nell’uso del territorio” e “in molti paesi del Mediterraneo, la pianificazione non risulta prendere in considerazione la possibilità di marcati aumenti del livello del mare”, avverte Lionello.

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