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Violenza donne, con il ‘Codice rosso’ aumentano le domande al Centro ascolto maltrattanti

La maggior parte degli uomini che si è rivolta in questi anni al Cam Roma hanno tra i 30 e i 60 anni, sta nelle relazioni da tempo, molti sono padri

Pubblicato:25-11-2019 09:30
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 16:39

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ROMA – Programmi dedicati agli autori di violenza domestica per incoraggiarli ad adottare comportamenti non violenti nelle relazioni e prevenire la recidiva. L’articolo 16 della Convenzione di Istanbul è chiaro: per contrastare la violenza contro le donne bisogna occuparsi anche di maltrattanti e sex offender, sempre nella prospettiva che i diritti e la sicurezza delle vittime sono una priorità. Ne sono convinti gli operatori del Centro di Ascolto Uomini Maltrattanti (Cam) di Roma, uno dei cinque centri dell’associazione fondata nel 2009 a Firenze da Alessandra Pauncz con la missione di occuparsi dell’altra faccia della violenza di genere. 

CAM ROMA: “LE AGEVOLAZIONI DEL CODICE ROSSO CAMBIANO LA DOMANDA” – Nato come associazione nel 2014, il Cam Roma avvia la sua attività di sostegno nel 2016. “In due anni (2016-2018), abbiamo avuto 121 accessi- spiega alla Dire Andrea Bernetti, responsabile del centro- Di questi 92 uomini hanno proseguito con un percorso individuale o di gruppo. Quest’anno non abbiamo ancora tirato le somme- aggiunge- ma ci sono stati numerosi nuovi accessi, anche perché, con l’introduzione del ‘Codice Rosso’ stanno cambiando le cose e c’è un aumento della domanda”. Se la maggior parte degli uomini, infatti, finora si è rivolta ai Cam spontaneamente, le cose potrebbero cambiare. 


“Con il ‘Codice Rosso’, coloro che hanno un procedimento penale, una sentenza o un processo, e decidono di intraprendere un percorso psicologico presso centri specializzati come il nostro- continua Bernetti- possono ottenere agevolazioni: sconti di pena, alternative al carcere o l’avvio di incontri protetti con i figli”. L’effetto è duplice: “L’aspetto positivo è che tutti i soggetti coinvolti, giudici, servizi sociali e avvocati, cominciano a conoscere questo percorso e il trattamento psicologico dei maltrattanti diventa una realtà- osserva lo psicoterapeuta- L’aspetto negativo è che c’è il rischio che se ne faccia un uso perverso, funzionale solo all’agevolazione e non al cambiamento. Quindi, aumenta il numero di accessi ma sono più difficili da trattare”. 

“NON LAVORIAMO SU COMPORTAMENTI MA SU VISSUTI” – Uso strumentale che è principale nemico del cambiamento, o meglio “di una lettura diversa della realtà recuperata attraverso la comprensione dei propri vissuti”, chiarisce alla Dire Anna Valeria Lisi, operatrice del centro, spiegando gli esiti di un percorso al Cam. “Gli uomini arrivano qui sull’onda di qualcosa che succede nella relazione di coppia e la prima cosa che ci chiedono è di ripristinare l’equilibrio perduto- aggiunge- Ci fanno, quindi, una domanda di tipo correttivo, ortopedico”. È questa la prima grande difficoltà che si trova ad affrontare l’equipe, composta da tre psicoterapeuti e una criminologa, “perché noi non lavoriamo sui comportamenti, ma sui vissuti che li producono”. 

I FIGLI: “LA MOLLA PER CHIEDERE AIUTO” – La maggior parte degli uomini che si è rivolta in questi anni al Cam Roma hanno “tra i 30 e i 60 anni, sta nelle relazioni da tempo, molti sono padri- riprende Bernetti- Ora ne stiamo seguendo 24, 18 con i percorsi individuali e 6 con il gruppo, oltre ad un progetto concluso da poco al carcere di Viterbo, finanziato con un bando della Regione Lazio e dedicato a maltrattanti e sex offender”. La differenza fondamentale tra chi si rivolge spontaneamente e chi viene dal carcere sta nella “motivazione”, osserva Lisi, e nella “potente presenza delle Istituzioni”, che assorbe buona parte del lavoro. Tra le molle fondamentali che portano un maltrattante a chiedere aiuto “ci sono i figli o la difficoltà ad avere un rapporto di coppia”, sottolinea il responsabile del Cam Roma ed è proprio “la relazione terapeutica- aggiunge Lisi- il primo luogo dove questi uomini possono fare esperienza di un modo diverso di stare nella realtà”. A partire dal primo colloquio. “C’è una fase iniziale di consulenza che serve a capire qual è la richiesta- continua l’operatrice- Dopo i colloqui individuali viene proposto di partecipare al gruppo”, strumento “potente, perché moltiplica le emozioni”, ma che non viene accettato da molti uomini che sono in difficoltà “perché si vergognano o hanno paura di sentirsi a disagio”. 

“NON ABBIAMO FONDI, CI SOSTENGONO GLI UOMINI” – Ma chi finanzia i Cam? “Non abbiamo fondi- spiega Bernetti- ci sostengono gli uomini che fanno il percorso pagandoci. Gran parte del nostro lavoro, però, è volontario, come gli incontri con le scuole e la rete istituzionale. In questi anni abbiamo ricevuto solo due finanziamenti: quello per il progetto al carcere di Viterbo e uno con il Dipartimento Pari Opportunità, in rete con tutti gli altri Cam, che ci ha permesso di fare un gruppo con uomini che non potevano pagare”. Anche su questo aspetto, potrà influire il ‘Codice Rosso’, che “inserisce la regola del costo a carico dell’uomo. Sarebbe utile un finanziamento pubblico- sostiene il presidente del Cam Roma- per sopperire ai casi degli uomini che non si possono permettere di pagare un percorso”. 

“L’APPROCCIO CULTURALE È ANCORA PUNITIVO, L’OPINIONE PUBBLICA NON CI CONOSCE” – “C’è ancora molto da fare”, per Bernetti, soprattutto dal punto di vista culturale: “L’idea di lavorare con gli uomini autori di violenza è poco concepita, perché il pensiero di liberarsi dal male e attribuirlo a qualcuno che scompare è sempre rassicurante- spiega Bernetti- L’opinione pubblica non ci conosce e non c’è ancora un’idea socialmente condivisa del fatto che si possa lavorare con l’autore di violenza”. Il primo approccio “è di tipo punitivo e escludente- conclude lo psicoterapeuta- Noi proponiamo di rimettere in gioco la questione, di trattare questa persona e dargli una possibilità. Questo significa prendersi carico anche dell’uomo maltrattante, reintrodurlo dentro la cultura, non espellerlo”, nella prospettiva che “la violenza maschile sulle donne non è un problema solo delle donne o solo degli uomini, ma della nostra cultura, delle relazioni”.

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