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Violenza donne, Bonetti: “Bene il Protocollo Napoli, è innovativo”

La ministra sottolinea l'importanza, per una donna vittima di violenza, di veder riconosciuta la propria responsabilità genitoriale e di pensare al dopo

Pubblicato:24-06-2020 16:38
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 18:33

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ROMA – “Ho molto apprezzato l’approccio che portate avanti con questo protocollo innovativo, il Protocollo Napoli. Il piano strategico nazionale di contrasto della violenza maschile contro le donne cerca di promuovere un approccio multidimensionale. Quest’anno, nella campagna per la giornata del 25 novembre ‘Libera puoi’, abbiamo voluto inserire la presenza di una bambina accanto alle donne proprio perché crediamo che la libertà da restituire loro sia la libertà di vedere riconosciuta una responsabilità in ambito genitoriale”. Così la ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia, Elena Bonetti, intervenendo al webinar ‘Protocollo Napoli. La nuova frontiera della consulenza psicologica nei casi di violenza sulle donne’.

Nel momento in cui c’è l’implicita minaccia di essere riconosciute come soggetti fragili nell’essere vittime si toglie alle donne la possibilità di essere riconosciute capaci di responsabilità genitoriale– specifica la ministra- Abbiamo intenzione di lavorare sulla Pas (sindrome dell’alienazione parentale, ndr), ma c’è un discorso più ampio da portare avanti: la necessità di restituire alle donne in un momento di fragilità personale una comunità e uno Stato in grado di dire che valgono e che sono in grado di esercitare una piena responsabilità genitoriale”.

Per Bonetti, “dobbiamo essere capaci di costruire percorsi di accompagnamento” della relazione madre-figlio, che non possono essere valutati nella loro “individualità” ma nel contesto di una “relazione inscindibile”, che entra a sua volta in relazione con la “comunità allargata, territoriale e la scuola”, luoghi “prossimi che devono assumere un ruolo preventivo in questo percorso”.


Fondamentale, per la ministra, è pensare al “dopo”, perché per le donne che vivono situazioni di violenza “nel momento in cui si riattiva la speranza che un dopo sia possibile, il loro percorso può partire con maggiore fiducia“. Per questo “abbiamo istituito un progetto di microcredito per sostenere le donne che devono ricominciare un percorso di vita autonoma. Si tratta di un investimento- conclude- che riconosce che le donne sono, anche nell’esperienza della violenza, capaci di protagonismo per sé e per i propri figli”.

CON IL PROTOCOLLO NAPOLI LINEE GUIDA PER L’AFFIDO DEI MINORI

Sviluppare una specifica metodologia della consulenza tecnica psicologica in tema di violenza domestica nei procedimenti giudiziari per l’affido dei figli nei casi di separazione. È lo scopo del Protocollo Napoli, il documento deliberato dal consiglio dell’Ordine degli Psicologi della Campania e nato per fornire linee guida, concettuali e metodologiche, volte a garantire la tutela psicofisica dei minori e delle loro madri che hanno vissuto situazioni di violenza domestica, a professionisti ed esperti chiamati dai giudici civili e minorili a relazionare nei tribunali come consulenti.

Il focus del protocollo è stato presentato oggi pomeriggio – con la conduzione di DireDonne, che da mesi porta avanti l’inchiesta dedicata alle mamme coraggio – da Elvira Reale, Caterina Arcidiacono, Antonella Bozzaotra, Gabriella Ferrari Bravo ed Ester Ricciardelli nel corso del webinar ‘Protocollo Napoli. La nuova frontiera della consulenza psicologica in caso di violenza’ alla presenza della ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia, Elena Bonetti, e della senatrice e presidente della Commissione parlamentare d’inchista sul femminicidio, Valeria Valente, che hanno plaudito all’iniziativa.

Due i pregiudizi che stanno “alle spalle del protocollo- spiega Reale, responsabile scientifica dell’associazione Salute donna e centro Dafne di Napoli e consulente della Commissione femminicidio- La valutazione che non si possa parlare di violenza se non dopo l’accertamento nel penale al terzo grado di giudizio” e il “mal interpretato diritto alla bigenitorialità. Il civile- spiega l’esperta- ha un suo procedimento accertatorio, che può utilizzare strumenti probatori specifici e ha come obiettivo la tutela dei minori dai pregiudizi sulla loro salute e sicurezza. Quindi, come consulenti- sottolinea- possiamo parlare a buon diritto di violenza domestica all’interno di questi procedimenti”.

In più, per la psicologa è fondamentale considerare la genitorialità sulla base dell’articolo 30 della Costituzione come “dovere-diritto”, per cui “hai diritto solo se hai compiuto il tuo dovere di cura del minore”. Non si tratta, quindi, “di un diritto primario, perchè la relazione con i genitori non è uno strumento ma un fine”. Per questo, individuare la bigenitorialità come “principio cardine attorno a cui far ruotare i procedimenti” porta a “considerare un buon genitore quello che favorisce l’accesso del figlio all’altro genitore” e a tagliare di fatto fuori “le vittime di violenza domestica”. 

Per ribaltare gli esiti di procedimenti che vedono spesso l’allontanamento forzoso dei minori da madri che hanno denunciato violenza domestica, le linee guida elaborate a partire dall’esperienza in centri antiviolenza e case rifugio dalle psicologhe campane suggeriscono di: valutare la presenza della violenza domestica nei confronti della madre in connessione con quella assistita dai minori; sollecitare gli esperti a un approfondimento del disturbo post-traumatico da stress, “tra i più implicati in casi di abusi e violenze”; promuovere la distinzione tra intervento psicologico valutativo e trattamento, senza fare di consulenze tecniche luoghi di “trasformazione della separazione conflittuale in separazione pacifica, stravolgendo le finalità della consulenza dal punto di vista del diritto”. E ancora promuovere: l’ascolto del minore, mettendo al primo posto la sua sicurezza (‘Safety first’); il dovere-diritto alla genitorialità (art. 30 della Costituzione); l’adesione solo ai costrutti scientifici validati, superando l’utilizzo delle teorie della Pas o della ‘madre malevola’; e modalità di affido che non alterino le abitudini di vita del minore e non ricorrano a strumenti di costrizione. Fondamentale il richiamo ai ruoli e ai limiti dell’esperto, che per il protocollo deve essere specificamente preparato sul tema della violenza domestica e dell’elevata conflittualità. Un aspetto che ha trovato d’accordo il presidente dell’Ordine nazionale degli Assistenti sociali, Gian Mario Gazzi, convinto della necessità di attivare “percorsi specifici” che aiutino i professionisti “a intervenire in situazioni che non sono lampanti” anche riformando i percorsi formativi dei professionisti; e Fulvio Giardina, past president dell’Ordine nazionale degli Psicologi, che ha proposto di cambiare questa formazione “in termini di specializzazione e non più di master”, perchè “ormai la complessità è rilevante”, sottolineando l’importanza della figura dello psicologo nei centri antiviolenza. E il tema della violenza sulle donne è ormai una delle priorità affrontate a livello mondiale da questa categoria di professionisti, ricorda David Lazzari, presidente dell’Ordine nazionale degli Psicologi, che ha segnalato “il manifesto Psicologi uniti in tutto il mondo per agire contro la violenza domestica”, partito dall’associazione di categoria statunitense e “recepito anche in Italia”. Nato dalla collaborazione tra università, servizi sociali e psicologhe, il Protocollo “è stato il primo atto approvato dal Comitato dopo l’insediamento- ha ricordato Angela Maria Quaquero della Commissione Pari opportunità dell’Ordine nazionale Psicologi- e questo la dice lunga sull’importanza attribuita all’argomento”. Il protocollo Napoli, considerato dalla giudice penale del Tribunale di Roma, Paola di Nicola, “uno strumento che consentirà alla magistratura di crescere davvero”, è stato salutato positivamente anche dalla presidente del Consiglio nazionale Forense, Maria Masi, e dal presidente della Sezione Civile Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, Raffaele Sdino, che nei casi di violenza domestica ha invitato i giudici civili ad “abbandonare l’idea della conflittualità e scegliere senza tentennamenti”, perché “non credo che un uomo violento possa neanche lontanamente svolgere una funzione genitoriale”. Rilanciare in un’ottica nazionale la “buona prassi” del Protocollo Napoli è il prossimo passo a cui stanno lavorando le sue promotrici, che hanno invitato le altre realtà professionali ad adottarlo, favorendo “la formazione dei propri iscritti. Chiediamo alla ministra Bonetti di istituire un tavolo tecnico interministeriale e interistituzionale sui temi promossi dal protocollo- conclude Bozzaotra- e alla presidente della Comissione femminicidio di promuovere la sorveglianza e il monitoraggio alle sentenze di affido dei minori in caso di violenza”.

VALENTE: “PROTOCOLLO NAPOLI SIA MODELLO ANCHE PER ALTRI ORDINI PROFESSIONALI”

Il Protocollo Napoli “e’ prezioso, un’esperienza davvero unica, ed e’ particolarmente importante che questo impegno venga dalla categoria professionale degli psicologi, un anello particolarmente delicato di questa partita. Ringrazio le psicologhe di Napoli per questo protocollo che mi auguro possa essere preso a modello dagli altri ordini professionali”. Cosi’ la senatrice e presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, Valeria Valente, intervenendo al webinar.

Come Commissione d’inchiesta abbiamo deciso di indagare ed aggredire questo fenomeno e vogliamo scrivere e adottare un documento da presentare al Parlamento per dire parole chiare, definite, certe, su tutta la partita”, ricorda Valente, che rispetto alla mancata valutazione della violenza domestica nell’ambito dei processi di affido dei minori nei casi di separazione parla di “una forma di vittimizzazione secondaria. Per me il discrimine e’ la violenza- sottolinea- Quando c’e’ violenza all’interno di una relazione di coppia tutto va letto in un determinato modo, le scelte di giudici e avvocati devono andare in una certa direzione, si deve applicare la Convenzione di Istanbul”.

Per la presidente della Commissione femminicidio anche la violenza assistita subita dai minori nei casi di maltrattamento delle madri “e’ una violenza diretta, che va perseguita e punita” e il maltrattante “va allontanato da donna e minori. Nessuno mi convincera’ mai che un uomo violento nei confronti di una madre possa essere un buon padre”. Sono diversi “gli strumenti per intervenire” prima del terzo grado di giudizio penale: “I giudici civili- ricorda Valente- hanno la possibilita’ di verificare in tanti modi se c’e’ violenza in un contesto di coppia, basta ascoltare i vicini, i figli e non valutare il rifiuto nei confronti dei papa’, non ritenerli alienati, malati e da curare. Dobbiamo chiedere che penale e civile dialoghino di piu’“, chiedere maggiore “competenza degli operatori nel leggere la violenza”, che siano in grado di “distinguerla dal conflitto, ascoltare la donna senza pregiudizi e crederle”, e, quindi, “applicare le norme giuste. Con l’indagine che stiamo conducendo da mesi abbiamo analizzato fascicoli e carte, per capire come il civile ragiona con i minori, come vengono ascoltati. Mi auguro che alla fine avremo tutti gli elementi per dire che l’alienazione parentale non esiste come sindrome, ma anche che non e’ possibile considerare una donna vulnerabile dopo anni di violenza una cattiva madre”. Conclude Valente: “Non si puo’ pretendere di giudicare quella madre e quel minore e anteporre il diritto del padre a mantenere un rapporto con lui, alla tutela del minore stesso dalla violenza e alla sua volonta’ di allontanarsi. Il nostro impegno come Commissione e’ dire parole chiare. Non possiamo ammettere che un’ulteriore forma di violenza possa essere compiuta dallo Stato, dal giudice attraverso consulenze errate, per un’incapacita’ di leggere la violenza per quello che e'”

MARCIANI: “SCRIVEREMO CON ASSOCIAZIONI LINEE DI ATTUAZIONE E PROGRAMMAZIONE RISORSE”

“Abbiamo deciso di fare una riunione la prossima settimana per chiedere alle associazioni e a tutte coloro che sono coinvolte in prima linea nell’azione prevenzione della violenza contro le donne, di scrivere insieme le linee di attuazione e di programmazione finanziaria delle risorse che abbiamo a disposizione. Abbiamo anche progetti pilota e potrebbe essere bello legare il Protocollo Napoli ad uno di questi progetti”. È l’intento dell’assessora alle Pari Opportunita’ della Regione Campania, Chiara Marciani, intervenuta al webinar ‘Protocollo Napoli. La nuova frontiera della consulenza psicologica nei casi di violenza sulle donne’.

“Ero presente alla firma del protocollo- continua Marciani- sono contenta di poterlo seguire nella sua attuazione e che non resti nel cassetto, ma sia un documento utile nella reale attuazione del sostegno alle donne, alle bambine e ai bambini, a Napoli, in Regione Campania e non solo. La Regione- conclude l’assessora- ha considerato il protocollo una buona prassi e abbiamo deciso di proporlo in tutta la Campania come strumento e punto di riferimento per operatrici, psicologhe e avvocate dei centri antiviolenza”.

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