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Giornata contro la violenza sulle donne, la discriminazione continua

di Vanna Iori per dire.it

Pubblicato:23-11-2019 13:11
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 16:39
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violenza donne
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ROMA – Il 25 novembre si celebra la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, istituita partendo dal presupposto che la violenza contro le donne sia una violazione dei diritti umani. Tale violazione è una conseguenza della discriminazione di genere, dal punto di vista legale e pratico, e delle persistenti disuguaglianze tra uomo e donna.

In molti paesi nel mondo la violenza di genere è emergenza. E anche in Italia è improcrastinabile affrontarla. I numeri nella loro crudezza e verità stanno lì ad indicare la dimensione di un fenomeno drammatico che le istituzioni sono chiamate a contrastare con maggiore rigore e visione. Nell’ultimo anno i femminicidi in Italia sono stati 92. Parliamo di donne assassinate dai propri mariti, ex, compagni, colleghi di lavoro. Il 31,5% delle donne tra 16 e 70 anni, è cioè quasi 7 milioni di donne, ha subìto nel corso della propria vita qualche forma di violenza fisica o sessuale. Le donne che si sono rivolte ai Centri antiviolenza nel 2017 sono circa 50 mila. La causa di questa sofferenza è quindi connaturata, alla loro, nostra, identità di genere. Parliamo di un fenomeno strutturale e profondamente radicato, che attiene all’ordine dei rapporti tra uomo e donna. Ora è chiaro che gli interventi normativi da soli non bastano, è la cultura della società che deve cambiare e il nostro ruolo istituzionale ci assegna anche questo compito: agire per guidare la società a promuovere cambiamenti sensibili. A volte è il legislatore e la politica tutta a doversi fare carico di un cambiamento culturale: penso, per esempio, all’importante cammino compiuto dalle donne in parlamento alla metà degli anni ‘90 per la rubricazione del delitto di violenza sessuale da delitto contro la morale a delitto contro la persona. Ebbene, proprio quello è un importante esempio di come i parlamentari seppero farsi agenti di questo cambiamento. Per cambiare la mentalità occorre, quindi, tenere strettamente connessi, cultura, leggi, diritto, educazione perché le norme sono anch’esse cultura e perché gli interventi istituzionali segnalano che la violenza contro le donne diventa problema dello Stato e quindi problema politico.

L’Italia, purtroppo, non fa ancora abbastanza per combattere i femminicidi e la violenza sulle donne. Lo hanno detto gli esperti di Grovio, l’Organismo del Consiglio d’Europa che monitora l’applicazione della Convenzione di Istanbul. Mancano soluzioni domiciliari per chi fugge dalla violenza compiuta dentro le mura domestiche e i fondi pubblici, spesso insufficienti, sono utilizzati con difficoltà. Pensate che di quelli disponibili ne sono stati spesi solo lo 0,02%. Non si investe sulla preparazione e formazione delle forze dell’ordine e del personale socio-sanitario. Troppo spesso gli interventi di prevenzione e protezione sui territori sono a macchia di leopardo.


Un quadro che conferma l’urgenza di mettere in campo iniziative di sostegno più efficaci. Il governo di centrosinistra nella scorsa legislatura, con la ratifica della Convenzione di Istanbul fino alla ultime misure in materia di congedi per le donne vittime di violenza o molestate ha compiuto passi importanti. Tuttavia, sono convinta che la prima forma di prevenzione sta nella capacità di mettere in campo iniziative che valorizzino la dignità delle donne. Senza uguaglianza si fa largo la violenza. Il divario salariale, l’estenuante prova delle donne per dimostrare la propria professionalità, il carico del lavoro di cura che pesa quasi totalmente sulle donne, le immagini pubblicitarie che le schiacciano in ruoli stereotipati, spesso umilianti. Laddove il gender gap è maggiore, maggiore è la violenza sulle donne che spesso non hanno neppure gli strumenti economici e le stesse possibilità degli uomini di costruire un percorso autonomo nelle scelte di vita. Dunque, la prevenzione, intesa innanzitutto come corretta educazione alla capacità di riconoscere e rispettare le differenze nella parità è fondamentale.

Ecco appunto dignità, questa è la parola chiave cui siamo chiamati a rispondere in questo tempo, perché le ragioni profonde delle discriminazioni e della violenza risiedono anche nel costante non riconoscimento di piena cittadinanza delle donne.

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