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Bruciato ‘Il Drago di Vaia’, opera ricordo della tempesta del 2018. Zaia: “Miserabili”

Variati (Pd): "Bisogna ricostruirla"

Pubblicato:23-08-2023 10:35
Ultimo aggiornamento:24-08-2023 15:54

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(Foto Drago Vaia dal profilo Fb di Isacco Corradi)

BOLOGNA – Ieri notte le fiamme hanno completamente distrutto, nonostante l’immediato intervento di tentativo si spegnimento, il Drago di Vaia, la popolarissima opera realizzata dall’altopianese Marco Martalar a Lavarone, sull’Alpe Cimbra, a memoria della tempesta Vaia di fine 2018. Un’opera per la quale sono serviti mesi di lavoro creando il drago in legno più grande del mondo, alto sei metri e lungo sette, con 3.000 viti e 2.000 scarti di arbusti per realizzarlo.

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E ora che è stato dato alla fiamme Luca Zaia, presidente del Veneto, non nasconde la sua rabbia: “Quanto miserabile dev’essere chi distrugge un’opera-simbolo com’era questo Drago, realizzato a Lavarone con gli schianti della tempesta Vaia dall’artista di Roana Marco Martalar scultore. A chi l’ha distrutto dico solo una cosa: vergognati”, scrive su Facebook.

“Cosa avrai fatto di tanto male? Il drago non è mio è da subito stato di tutti, della comuntià di Lavarone, dell`Alpe Cimbra e di tutte le persone che lo hanno amato in questi anni- scrive su Facebook il sindaco di Lavarone Isacco Corradi– Sei stato presenza scomoda ingombrante ma non può essere diversamente per un drago, ho solo una speranza che quello che è successo sia stato un errore per quanto stupido e non un atto voluto. Il risultato non cambia ma moralmente mi sentirei più tranquillo nel sapere che non vi sono persone che girano a Lavarone capaci di far sparire una cosa così bella. Saremo più forti della stupidità e non ci faremo prendere da rabbia, rancore”.

Una notizia orribile, un gesto vergognoso“, dice l’europarlamentare del Pd Achille Variati: “È un gesto che ci fa soffrire perché l’opera non era solo bella, e amata da escursionisti e turisti, ma anche profondamente significativa. Realizzata con i residui degli alberi abbattuti dalla furia della tempesta, era un monito sulle conseguenze dei cambiamenti climatici e insieme un simbolo di speranza e rinascita: anche dalla distruzione può nascere la bellezza. Per questo penso che, se tecnicamente possibile, la dovremo ricostruire immediatamente: perché la nostra montagna non si arrende. Tantomeno agli imbecilli”.

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