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Dieci anni senza Amy Winehouse, lei che trasformava il dolore in note di diamanti

Il 23 luglio 2011 si spegneva a 27 anni la cantante inglese, autrice di canzoni straordinarie nate da una vita segnata da solitudine e dipendenze

Pubblicato:23-07-2021 09:37
Ultimo aggiornamento:23-07-2021 11:22

Amy Winehouse creative commons
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BOLOGNA – A vederla cantare dal vivo, sembrava incredibile che quel corpo minuto e sottile potesse contenere una voce tanto potente. Viene da chiedersi se il più grande talento di Amy Winehouse non stesse proprio nel riuscire a trasformare quella fragilità interiore in liriche improvvise e dolorose come frecce.

Il 23 luglio 2011 i paramedici recuperano il suo corpo senza vita da un appartamento di Camden Square, a Londra, dove Winehouse viveva in completa solitudine. Quel giorno di dieci anni fa, la ragazza del soul entra a far parte di quell’elite sfortunata e talentuosa che chiamiamo con insensata ironia “Club dei 27“, i cui membri ‘onorari’ sono leggende come Kurt Cobain, Jim Morrison e Janis Joplin. Si chiude per Amy un passaggio terreno infelice, costellato di dolori e delusioni, inflitti – secondo quanto racconta un documentario postumo dal titolo ‘Amy’ – soprattutto dai due uomini della sua vita: il padre Mitch e il marito Blake Fielder-Civil.

Nella vicenda personale di Amy Winehouse, almeno quel tratto pubblico legato alla musica, entrano con prepotenza la dipendenza dalle droghe e dall’alcol, i disturbi alimentari, l’abuso di psicofarmaci: un mix letale che la trascina nel vortice della depressione e della solitudine.


Tra il primo album, ‘Frank’, e ‘Back to Black’ passano tre anni, quattro taglie e una lunga serie di vicende che portano Amy a scrivere il suo più grande successo: ‘Rehab‘, canzone non a caso dedicata al rifiuto di disintossicarsi dall’alcol. Ma il disco è uno scrigno di singoli preziossimi: dalla title track ‘Back to Black’ a ‘Love Is a Losing Game‘, passando per ‘Tears Dry On Their Own‘ e ‘You Know That I’m No Good‘. L’album ottiene cinque Grammy Awards e proietta la cantante inglese nell’Olimpo della musica, in cui lei sembra sempre un uccellino disorientato.

Le esibizioni dal vivo sono quasi sempre fallimentari: spesso Amy è senza voce o senza forze, non riesce a raggiungere la fine dell’esibizione, fa lunghe pause tra una canzone e l’altra. La tappa di Milano, all’Alcatraz nel 2007, è una delle poche del tour che vede compiersi la scaletta per intero. Ma Amy appare già magrissima e in difficoltà, con un tubino stretto che continua a cadere da quel corpicino esile, costringendola a tirare su il vestito in continuazione per non lasciarlo cadere. Eppure quella voce. Un suono potente e armonioso esce dalla sua bocca apparentemente senza nessuna fatica, profondo come il dolore da cui probabilmente si sprigiona.

Il terzo album, ‘Lioness: Hidden Treasures’, viene pubblicato postumo il 5 dicembre del 2011, e contiene alcuni brani inediti a cui Amy aveva lavorato insieme ai produttori Salaam Remi e di Mark Ronson, e vecchi demo ancora inediti.

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