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Anno nuovo, parole nuove. La pedagogista ai genitori: “Evitare etichette”

Borgia: Da 'bravo' a 'monello', più attenzione al linguaggio usato con i bimbi

Pubblicato:22-12-2020 17:13
Ultimo aggiornamento:23-12-2020 15:41

giappone bambini mamma
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ROMA – “Tutto quello che diciamo ha un’influenza sui piu’ piccoli. Gli adulti di riferimento, per il bambino, sono come uno specchio in cui si guarda e si capisce chi e’. Quando si chiede ‘Chi sono io?’, la risposta gli arriva da quello che dicono mamma, papa’, i nonni, gli insegnanti, ecc. In questo senso le parole che utilizziamo nel rivolgerci ai piu’ piccoli, in particolare tra 0 e 6 anni, sono molto importanti”. A dirlo e’ Chiara Borgia, pedagogista e vicedirettrice di ‘Uppa magazine’, la rivista per i genitori scritta da specialisti che si occupano di eta’ evolutiva. Ecco allora che un buon proposito per il nuovo anno puo’ essere il fermarsi a riflettere sul linguaggio che utilizziamo nei confronti dei bambini, “consapevoli che anche quelle paroline che capita a tutti di dire, come ‘bravo’, ‘monello’, oppure ‘sei grande’ o ‘sei piccolo’, veicolano un significato importante”, sottolinea Borgia.

CONTESTUALIZZARE PER NON GIUDICARE

“I bambini tendono a recepire il messaggio che gli viene dato dagli adulti e a conformarsi a cio’ che gli viene detto di essere. E’ un fenomeno studiato in psicologia sociale- spiega la pedagogista- Ecco allora che se a casa o all’asilo il bambino viene continuamente etichettato come ‘monello’, allora tendenzialmente iniziera’ a comportarsi sempre cosi’. L’etichetta diventa come un personaggio che il bimbo interpreta e dal quale poi e’ difficile uscire- sottolinea Borgia- questo fin quando arriva un altro adulto che vede in lui qualcosa di diverso, non lo chiama piu’ monello, non si fa condizionare da questo pregiudizio e il bambino in questione magari inizia a far vedere delle cose diverse di se’, comincia a modificare i suoi comportamenti”.

Un meccanismo che vale anche per espressioni con accezione positiva. “Spesso diciamo ‘bravo’ al bambino per digli qualcosa che pensiamo lo faccia sentire bene, ma ‘bravo’ e’ una lode generica- spiega la pedagogista- dovremmo differenziare il linguaggio e dare al bimbo un feedback preciso su quel determinato comportamento che ha avuto e verso il quale vogliamo complimentarci. Cosi’ facendo ci trasferiamo sul piano del comportamento invece di dare un giudizio sull’identita’”. Sia nel caso di espressioni positive che negative, “possiamo evitare di cadere in un tipo di linguaggio stereotipato in cui si debba dire al bambino ‘sei cosi” oppure ‘sei in quest’altro modo'”, chiarisce Borgia. Discorso che vale anche per l’utilizzo di avverbi come ‘sempre’ e ‘mai’. “Sono parole che appesantiscono quello che diciamo. Espressioni come ‘tu sei sempre cosi”, oppure ‘non fai mai questo’ ingabbiano il bambino in un’etichetta- dice Borgia- se facciamo attenzione a non utilizzare queste parole anche quello che diciamo a nostro figlio avra’ un peso diverso: non ti definisco una volta per tutte ma sto dicendo che oggi ti sei comportato in questo determinato modo, domani magari non lo farai”. Secondo la pedagogista e’ poi importante “ascoltare gli altri punti di vista. Confrontarsi con persone diverse, come il proprio partner o gli insegnanti, su come vedono nostro figlio, se osservano le stesse cose che vediamo noi. Questo- dice- consente di aprire lo sguardo verso il bambino e probabilmente di dargli piu’ spazio per essere se stesso, per manifestare la sua identita’”.


RISPETTARE IL PROCESSO DI CRESCITA

Un altro esempio riportato dalla pedagogista sono espressioni come ‘sei grande’ o ‘sei piccolo’. “Sono parole che noi adulti utilizziamo spessissimo- ammette Borgia- ma a volte gli diamo un taglio che non e’ molto adeguato. Siamo propensi a pensare che, almeno su alcune cose, grande sia meglio di piccolo. Ecco allora che quando vogliamo spronare il bambino a fare una cosa nuova o diversa gli diciamo ‘cosi’ diventi grande’, oppure lo invitiamo a non piangere perche’ ‘ormai sei grande’. Cosi’ facendo anche al bambino passa il messaggio che grande sia meglio di piccolo”. Alla base c’e’ la “nostra idea della crescita- spiega la pedagogista- come se lo sviluppo fosse una scala per cui il bambino parte dal basso e poi sale, gradino dopo gradino. Ma lo sviluppo dell’essere umano non funziona per gradi- dice- potremmo dire che funziona a balzi, ci sono momenti in cui si fanno quattro gradini, momenti in cui si resta fermi e momenti in cui si torna indietro. Lo sviluppo non e’ un processo graduale e questo fa capire come ci siano momenti in cui il bambino ha bisogno di sentirsi grande e momenti in cui deve avere il diritto di essere piccolo ossia poter fare quelle cose che sono ancora necessarie per la sua crescita”.

ACCOGLIERE LE EMOZIONI

Ed e’ soprattutto quando si affrontano situazioni difficili come un lutto o una malattia che va utilizzato un linguaggio adeguato. “Non incitiamo i bambini a essere grandi e a mettere da parte le proprie emozioni- dice Borgia- perche’ questo gli da’ una responsabilita’ enorme. Quando di fronte alla morte di un familiare diciamo, ad esempio, ‘adesso sei grande, non piangere’, e’ come se gli stessimo dicendo che la tristezza e’ un’emozione non consentita”. Un tema, quello delle emozioni, strettamente attuale. “Viviamo nell’epoca del positivo- dice Borgia- in cui dobbiamo essere tutti perfetti, belli e felici. Ma quest’ideale ha creato dei danni perche’ noi siamo fatti di tutte le emozioni, piacevoli e spiacevoli, e tutte sono necessarie per la crescita”.

PAROLE AL TEMPO DEL COVID

Il nuovo anno si apre portandosi dietro la pandemia da Covid-19 e tutto quello che ha comportato: scuole aperte a singhiozzo, Natale lontano dai familiari, distanziamento sociale, volti coperti dalle mascherine. Questo e’ un momento in cui le parole da scegliere con i bambini sembrano avere un peso ancor maggiore. “Innanzitutto bisogna sempre dire la verita’- sottolinea Borgia- ma bisogna farlo in un modo che sia comprensibile per le varie eta’. Il principio che deve guidarci e’ quello di non nascondere mai la verita’ perche’ magari abbiamo paura che nostro figlio soffra”. Una cosa e’ certa: “I bambini ascoltano tutto, anche i nostri non detti. Se vedono che di un determinato argomento non se ne parla o lo si fa difficilmente, allora o vanno a cercare altrove le risposte alle loro domande oppure le immaginano. Nei primi anni di vita i bambini sono permeati dal pensiero fantastico- spiega la pedagogista- e quindi possono sviluppare dei pensieri angoscianti, perche’ magari hanno dato una spiegazione fantastica a una determinata cosa che non gli e’ stata detta”. Di solito “quando un bambino fa una domanda e’ anche pronto a ricevere la risposta. Quindi la verita’ puo’ anche essere raccontata a pezzettini, rispondendo domanda dopo domanda. E’ importante collegarsi emotivamente con i bambini, spiegando senza nascondere le emozioni, ma tenendo anche presente che la figura dell’adulto e’ sempre anche di conforto, rifugio e solidita’. E in un momento come questo, fatto di tante incertezze, i bambini hanno bisogno di solidita’. E poi aggiungiamo un messaggio di speranza: le cose non saranno sempre cosi’, non porteremo le mascherine per sempre, potremo tornare ad abbracciarci. Questo e’ un periodo faticoso ma passera’”, conclude Borgia.

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