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Da Scampia al mare, Napoli si ferma per un altro argentino

La lunga giornata di Bergoglio tra le mille anime della città

Pubblicato:21-03-2015 17:07
Ultimo aggiornamento:16-12-2020 20:12

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NAPOLI – La primavera, il sole, il riscatto, Gomorra, il male e il bene. I simboli vanno a passo d’uomo sulle strade lastricate di asfalto posticcio che Papa Francesco copre con la sua Papamobile. Napoli si spalanca in tutte le sue cartoline, accogliendo il Pontefice in un riassunto, lungo dieci ore, di tutti i contrasti di cui la città si traveste. Da Pompei al Lungomare liberato di De Magistris, passando per Scampia, il tinello ormai trapassato dalla retorica di Gomorra, alla messa in Piazza del Plebiscito, il salotto buono un po’ in malora, impacchettato per l’occasione. E poi ancora il carcere di Poggioreale, il Duomo, il sangue di San Gennaro, i disabili e gli ammalati nella Basilica del Gesù Nuovo. “Cia’ France’”, “Che a’ Maronna v’accumpagne”. Si salutano così il Papa e la gente, fa parte del canovaccio folkloristico che fisiologicamente abbraccia “il cuore napoletano” del Pontefice “dell’altro mondo”, abusando fin dalla fumata bianca del Conclave dell’accostamento Napoli-Argentina. E poi, quello di Bergoglio, è anche un rinascimento dei modi e dell’atteggiamento: invoca il coro, chiama la folla, con un approccio quasi da Chiesa Evangelica.

La Diocesi più grande del sud non vedeva l’ora di trasformare il ricordo dell’ultima visita papale, quella del 21 ottobre di 8 anni fa di Benedetto XVI, bagnata da una pioggia incessante da piazza teutonica. Invece Bergoglio apre il cielo accigliato di Napoli nel primo giorno di Primavera, e il sole incornicia a pennello la metafora della primavera portatrice di “riscatto”. Così esordisce quando scende dall’elicottero nel campo sportivo comunale di Scampia, dopo la precedente tappa a Pompei con annessa visita al Santuario. All’atterraggio lo aspettano le istituzioni, Stefano Caldoro, presidente della Regione Campania, Luigi de Magistris, sindaco di Napoli ed il prefetto del capoluogo, Gerarda Maria Pantaleone. Francesco fa il primo tuffo in città a piazza Giovanni Paolo II, l’ampia area all’ombra delle vele intitolata al suo predecessore che qui, nel novembre 1990 invitò la folla di fedeli “a non arrendersi al male”. Seimila persone, cinquecento bambini e circa ottocento fedeli delle comunità parrocchiali, pendono dalle labbra del Papa. Ci si fanno i selfie, con il Santo Padre del nuovo millennio. E lui risponde da vera rockstar:  “Si vede che i napoletani non sono freddi. Ringrazio il vostro Cardinale che mi ha invitato e quasi ‘minicciato’ perché venissi qui. Voi siete un popolo che ha vissuto sempre nelle difficoltà, ma non siete mai stato un popolo triste. La mancanza di lavoro ci ruba la dignità. E senza lavoro ciascuno di noi può scivolare verso la corruzione. E la corruzione “spuzza”.

Quando fa capolino in Piazza del Plebiscito è già visibilmente provato, col naso arrossato dal raffreddore. Ma indossa il sorriso delle grandi occasioni e la Papamobile taglia a zig zig i 60.000 che in festa lo aspettavano già dall’alba, pure dalle logge che s’affacciano sulla piazza, ascoltando il coro del Teatro di San Carlo intonare l’ “Et vitam venturi saeculi” dalla “Petite messe solennelle” di Rossini. Ci sono le bandierine e gli striscioni d’ordinanza. Fuori è tutto un rosario di ambulanti che vendono oggettistica varia, c’è persino il furgoncino delle Poste per il francobollo ufficiale.


E’ la Napoli che si offre con i suoi perpetui mille colori, per sfrogoliare pure la canzone di Pino Daniele, l’ultimo a riempire così questa piazza nei giorni più tristi. E’ il momento solenne della Santa Messa. L’ultima volta Benedetto XVI s’era lasciato andare ad un’omelia anticlimatica, scura come il meteo:  mancanza di prospettive, disoccupazione, criminalità. Sono sempre gli stessi, inscalfibili marchi che Napoli fatica a scrollarsi di dosso. La differenza stavolta sta nella chiave di lettura: Bergoglio ‘usa’ il trucchetto della primavera per imporre immediatamente il tema “riscatto”. E il richiamo all’ottimismo segue in sottotraccia tutta la sua omelia:  “Cari Napoletani non lasciatevi rubare la speranza. Non cedete alle lusinghe di facili guadagni o redditi disonesti. Questo è pane per oggi e fame per domani. Reagite con fermezza alle organizzazioni che sfruttano e corrompono i giovani, i poveri e i deboli, col cinico commercio della droga e altri crimini. Non lasciate che la vostra gioventù sia sfruttata. La corruzione e la delinquenza non sfigurino il volto di questa bella città. Oggi comincia la primavera e porta la speranza. L’oggi di Napoli è tempo di riscatto. Il futuro di Napoli non è ripiegarsi rassegnata su se stessa, ma aprirsi con fiducia al mondo. Sperare è già resistere al male. Dio vive a Napoli, e che a maronn v’accumpagne!”. Il Cardinale Sepe non si fa scappare l’occasione di riportare Napoli al centro dell’altro mondo papale, e al Papa dice: “Lei ha un cuore napoletano, non se lo lasci rubare”. Francesco prima di ripartire rende omaggio all’immagine della Madonna di Piedigrotta, mentre il coro dei cantori di Posillipo avvolge il momento con l’ “Ave Maria”, e i fedeli più prosaicamente lo liberano col “surdato nnammurato”.

Dalla bellezza del Plebiscito il tour de force francescano lo porta all’inferno del carcere di Poggioreale, dove per suo espresso volere pranza con un gruppo di detenuti, tra cui anche alcuni giovani che arrivano dall’istituto di pena minorile di Nisida. Per loro in tavola, maccheroni al forno e arrosto preparati dagli stessi detenuti.  “Conosco le vostre situazioni dolorose – dice il Santo Padre – mi arrivano tante lettere dai penitenziari di tutto il mondo. I carcerati vivono troppo spesso in condizioni indegne della persona umana, e dopo non riescono a reinserirsi nella società. Ma l’amore può trasformare le persone. E allora un luogo di emarginazione può diventare un luogo di inclusione e di stimolo per tutta la società”.

Il percorso, studiato perché nessuna delle mille anime di Napoli finisca sotto il tappeto, lo porta poi in Duomo per la venerazione delle reliquie di San Gennaro. Monache, diaconi, seminaristi, religiose e religiosi e circa un migliaio di fedeli ad animare il “totomiracolo”:  la liquefazione del sangue non “riuscì”  né a Giovanni Paolo II il 21 settembre 1979 tantomeno a Benedetto XVI il 21 ottobre del 2007. Ma questo Papa è apprezzato proprio per la sua diversità, anche, evidentemente dal santo patrono di Napoli. Insomma, a Bergoglio riesce anche questo “miracolo”, e il sangue si scioglie, almeno parzialmente. Dopo l’incontro con un gruppo di cinquanta ammalati e disabili nella basilica del Gesù Nuovo l’evento di chiusura della giornata: l’approdo al lungomare per l’abbraccio finale con altre 50000 persone, soprattutto giovani. La cartolina si ricompone con il panorama mozzafiato, e la festa “pop” tra pizzica, balli e coreografie animate da 350 ragazzi provenienti dalle periferie napoletane che stanno seguendo un percorso educativo attraverso la musica. Il Papa sale sul palco a braccetto di una coppia di anziani e una di giovani, ai quali augura saggezza e speranza. Il tuffo finale nel sociale, che Bergoglio non ha mai nascosto di tenere come stella polare del suo pontificato. Quando il golfo abbassa le luci, la banda lo accompagna suonando “O’ sole mio” verso Roma. Mentre Napoli si abbandona alla prima sera della sua primavera.

di Mario Piccirillo

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