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Sindrome di Down, l’appello di Irene: “Non chiamateci mongoloidi”

Un appello a superare gli stereotipi, proprio come vuole il tema di quest'anno della Giornata mondiale: 'Stop agli stereotipi'

Pubblicato:20-03-2024 16:37
Ultimo aggiornamento:20-03-2024 16:37

sindrome down
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ROMA – “Giudicare una persona è una cosa davvero molto brutta, e usare una parola come ‘mongoloide’ è una mancanza di rispetto verso tutti i ragazzi che come me hanno un cromosoma in più. Io odio i pregiudizi e ne sono stata vittima, soprattutto a scuola. Poi mi sono diplomata al liceo scientifico con 82/100 e oggi so fare tante cose. Quindi l’appello che lancio è: non giudicate!”. Irene Galli, ragazza 24enne con sindrome di Down, parla chiaro e lo fa guardando il pubblico presente alla conferenza stampa che si è svolta questa mattina a Roma, in Campidoglio, in occasione della Giornata mondiale della sindrome di Down che si celebra il 21 marzo. L’appello di Irene è rivolto a tutti: politici, giornalisti, cittadini. È un appello a superare gli stereotipi, proprio come vuole il tema di quest’anno della Giornata mondiale: ‘Stop agli stereotipi‘. L’obiettivo è, infatti, superare le concezioni limitanti e preconcette che spesso circondano le persone con sindrome di Down. Come per esempio l’idea diffusa che siano incapaci di avere rapporti interpersonali che possano portare ad amicizia, fidanzamenti o matrimoni o quella che dovranno sempre vivere con i genitori e poi con i fratelli. Molti passi sono stati fatti per superare questi stereotipi, ma la strada è ancora lunga.

Per ‘fare di più’ in favore delle persone con sindrome di Down, nell’ottobre 2020, in occasione del 4° convegno scientifico nazionale su ‘Sindrome di Down: dalla Ricerca alla Terapia’, è nata la Task Force per la sindrome di Down (DS Task Force). “È un gruppo di persone, soprattutto ricercatori, provenienti da diversi settori, con l’obiettivo di operare in favore delle persone con sindrome di Down, facilitando lo sviluppo di idee, creando nuove opportunità, rispondendo a domande e risolvendo problemi. I suoi membri operano a livello internazionale, fornendo rilevanti contributi in organismi quali la T21RS e la Fondazione Jérôme Lejeune. La Task Force ha come obiettivi generali: migliorare la qualità ed accrescere la quantità della ricerca scientifica sulla sindrome di Down; promuovere la divulgazione scientifica e l’interazione tra ricercatori, associazioni e famiglie; migliorare la qualità della vita delle persone con sindrome di Down”, ha spiegato nel corso della conferenza Lucio Nitsch, professore emerito di Biologia Applicata, Università di Napoli Federico II e coordinatore della Italian Down syndrome Task Force.
“Attualmente- continua Nitsch- la Task Force sta aggiornando le linee guida sul management della sindrome di Down e partecipa alla creazione di un Registro Nazionale della sindrome di Down. È, inoltre, tra gli organizzatori della Conferenza internazionale della T21RS che si terrà a Roma dal 5 all’8 giugno 2024”.

La famiglia resta il fulcro dell’assistenza, anche in età adulta. Secondo l’indagine ‘Non uno di meno’ di Censis e Aipd Associazione italiana persone down, in molti vivono in ambito familiare, soprattutto con i genitori (55,3%) o con genitori e fratelli (36,6%), a seconda dell’età. Tra i più anziani è significativa la percentuale di chi vive con i fratelli e/o la loro famiglia (26,2%). Si capisce, quindi, come le questioni collegate, ossia caregiver, progetto di vita e dopo di noi, risultino fondamentali. Non a caso, per quanto riguarda i caregiver, da sempre Anffas ha evidenziato che il familiare e caregiver non va inteso come persona costretta a sostituire la carenza di servizi integrati su un dato territorio, che vanno sempre garantiti, ma come chi si pone spontaneamente al fianco della persona con disabilità e in sinergia con la rete integrata di servizi. Si rende quindi necessario costruire attorno alla persona con disabilità e al suo caregiver un sistema integrato di interventi, servizi e prestazioni e ri-pensare un welfare di comunità. Un obiettivo a cui come Anffas lavoriamo costantemente anche attraverso la partecipazione al ‘Tavolo tecnico per l’analisi e la definizione di elementi utili per una legge statale sui caregiver familiari’ istituito dal ministro per le Disabilità Alessandra Locatelli e dal ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Marina Calderone”, ha spiegato Roberto Speziale, presidente nazionale Anffas.


Sulla stessa scia Antonella Falugiani, presidente Coordown, ha sottolineato: “L’inclusione delle persone con sindrome di Down negli ultimi 20 anni ha fatto significativi passi in avanti in ogni ambito della vita sociale, a scuola, nello sport, sul lavoro e nella vita indipendente. Il numero sempre crescente di persone con disabilità intellettiva che oggi lavorano con successo è un segnale di quanto sia cambiata la nostra società. Ma questo si verifica dove le associazioni seguono e indirizzano le aziende nei percorsi di formazione, quando non c’è un forte tessuto associativo non c’è lavoro per le persone con disabilità. Cambiare lo sguardo con cui ci si approccia alla disabilità è la sfida che CoorDown affronta da 12 anni. Per il 2024 abbiamo deciso di lanciare con il film ‘Assume That I Can’, pensa che io possa, un messaggio di attivazione, che punta a coinvolgere l’intera società, non solo la nostra comunità, perché la disabilità riguarda davvero tutti e tutti devono poter agire per cambiare la cultura che determina la discriminazione. Ciascuno di noi può contribuire all’inclusione ascoltando e guardando senza filtri distorti le persone con sindrome di Down. Solo così possiamo abbattere i muri che ancora limitano le vite delle persone con disabilità intellettiva”.

Gli stereotipi sono dannosi perché generano pregiudizi che influenzano pesantemente le prospettive e le potenzialità delle persone con sindrome di Down, agendo negativamente su autostima e sviluppo– ha rimarcato Gianfranco Salbini, presidente Aipd- Lo stereotipo più comune è che le persone con sindrome di Down sono sempre felici, eterni bambini e incapaci di portare a termine compiti specifici. E questo nell’ambito lavorativo limita fortemente le opportunità di chi vive questa condizione, alimentando un ambiente di discriminazione ed esclusione. Eliminiamo i pregiudizi e iniziamo a riconoscere il loro pieno valore e le loro possibili potenzialità. Ogni persona con sindrome di Down ha delle proprie passioni e delle proprie capacità da offrire alla società”.

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