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E’ il giorno di Trump, anche grazie a Putin

di Luciano Tirinnanzi, direttore responsabile Lookout È ufficiale. Anche gli Stati uniti parteciperanno ai negoziati di pace per la

Pubblicato:20-01-2017 11:16
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 10:49

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di Luciano Tirinnanzi, direttore responsabile Lookout

È ufficiale. Anche gli Stati uniti parteciperanno ai negoziati di pace per la Siria, che avranno inizio lunedì 23 gennaio ad Astana, in Kazakhstan, dove siederanno i delegati diplomatici di Russia, Iran e Turchia. Lo ha confermato il ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov: “Sono già stati invitati”, ha affermato il capo della diplomazia di Mosca, rispondendo alla domanda di un giornalista. Il Cremlino sapeva fin troppo bene che, senza gli Stati Uniti, il summit e le eventuali decisioni prese avrebbero rischiato di valere molto poco. Mentre con quest’astuzia, Valdimir Putin non solo si è assicurato il premio “scaltrezza diplomatica” dell’anno, ma ha anche messo in cassaforte un credito con Washington che potrà riscuotere più avanti. L’invito ufficiale ad Astana avrà un peso notevolissimo nelle relazioni diplomatiche tra Washington e Mosca e questa notizia, a nostro giudizio, oscura persino il battesimo di Donald Trump alla Casa Bianca. Perché ci racconta di come forse è stata definitivamente archiviata l’era della Guerra Fredda, e di come adesso vi siano davvero i presupposti perché le due superpotenze possano davvero ricominciare da zero, impostando una nuova era di relazioni internazionali fondata sul dialogo franco, finalmente scevro da condizionamenti storici ed eccessivi pregiudizi politici.

Nel marzo 2009, pochi mesi dopo l’insediamento di Obama alla Casa Bianca, durante un viaggio a Ginevra, in Svizzera, l’allora segretario di Stato Hillary Clinton affermò che gli Stati Uniti erano intenzionati a premere il pulsante ‘reset’ nelle relazioni con la Russia. Ma – ironia della sorte – sarà invece Donald Trump a premere quel pulsante. L’annunciato ‘reset’ con Mosca, infatti, non c’è mai stato e, anzi, Barack Obama invece di inaugurare un nuovo corso politico, si è fatto alfiere di una consolidata prassi politica americana, quella che non si è mai discostata dal concepire la Russia come il principale nemico. Complici la crisi in Ucraina e l’annessione della Crimea, dall’insediamento di Obama i rapporti tra i due Paesi si sono deteriorati anno dopo anno, fino alle sanzioni economiche comminate per volere di Washington a numerosi settori industriali e ad alti papaveri della società russa. Il 2017 ci racconta un’altra storia. Quella in cui Astana può forse rappresentare una nuova Yalta mediorientale, portando a un’intesa sulla guerra e a una nuova ripartizione della regione secondo aree d’influenza e protettorati che ridisegneranno i vecchi confini, resi ormai obsoleti da anni di guerre civili. Ma non s’illuda il Cremlino: anche se Mosca ha acquisito un vantaggio notevole sul campo sin da quando è intervenuta militarmente in Siria e da quando ha aperto il dialogo con il mondo arabo e musulmano – variando dalla Siria alla Libia, dall’Iraq alla Palestina – il peso complessivo di Washington è schiacciante in confronto. Mentre gli Stati Uniti sono davvero una superpotenza, la Russia oggi come ieri fatica non poco a inseguire il rango del suo principale competitor. Questo Vladimir Putin lo ha sempre saputo e, da abile giocatore di scacchi, si è sempre mosso in anticipo per tentare di colmare quel gap che ancora oggi mantiene i russi a distanza siderale dagli americani.


È successo anche per il caso di Astana, ed è una buona notizia. Vedremo se si tradurrà in qualcosa di concreto e fruttuoso per i numerosi attori internazionali. Di certo, Iran e Turchia, che già sognavano un ruolo da comprimari nella definizione del “nuovo ordine mediorientale”, adesso tremano all’idea di poter giocare in Kazakistan solo un ruolo da comparse. Sia come sia, al tavolo della pace di Astana il Presidente russo può contare sul fatto che, d’ora in avanti, qualunque sarà il comportamento di Donald Trump in politica estera è chiaro che, almeno durante la sua presidenza, il nemico numero uno non è più la Russia ma è la Cina. Ecco perché, secondo Mosca, vale la pena fare un tratto di strada insieme agli americani.

(www.lookoutnews.it)

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