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Violenza domestica, commissione Femminicidio: “Magistrati, avvocati e psicologi senza formazione, perizie Ctu critiche”

Per la commissione Femminicidio "stereotipi e cultura" entrano nelle sentenze sulla violenza domestica per mancanza di formazione

Pubblicato:17-07-2021 18:21
Ultimo aggiornamento:17-07-2021 18:22
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giustizia
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ROMA – “Ascolto e minor delega al consulente, i giudici non prendano a piene mani queste perizie. E ancora: far entrare nelle separazioni civili la violenza che oggi è invisibile tanto che si parla spesso di conflitto e far dialogare civile e penale. Ci troviamo di fronte, quando c’è una vicenda di separazione con sottesa la violenza, a minori che vengono portati via con la forza pubblica e non è accettabile“. Questo l’appello a intervenire in nome della Convenzione di Istanbul e le raccomandazioni che la presidente di Commissione, la senatrice Valeria Valente, ha lanciato al termine della presentazione dei risultati emersi dall’indagine su violenza domestica e sistema giudiziario, a cui hanno partecipato ieri al Senato anche rappresentanti degli organi della magistratura, psicologi ed esperti. La formazione degli operatori, tema centrale della Convenzione di Istanbul, è emersa come una delle forti criticità dall’indagine svolta dalla Commissione d’inchiesta sul Femminicidio su violenza e sistema giudiziario.

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“Formazione e specializzazione, ma anche stereotipi e cultura”, ha ribadito la senatrice, entrano nelle sentenze. E’ emerso che il contesto nel quale operano gli uffici giudiziari è obiettivamente difficile, segno di mancanza di investimenti che hanno determinato gravi carenze anche strutturali. Evidente anche la scarsa consapevolezza in chi opera nel settore sulla necessità di adeguare i propri standard operativi alle mutate esigenze, nonché dell’esigenza di una effettiva cooperazione e collaborazione inter istituzionale.


Si registrano importanti progressi nel percorso indicato della magistratura, più evidente per quella inquirente, la quale interpreta il proprio ruolo con modalità organizzative più aderenti alle mutate esigenze investigative. C’è spazio anche per pratiche positive che la relazione ha rilevato. E’ innegabile che sia in atto un grande sforzo messo in campo da alcuni uffici giudiziari più virtuosi che possono essere trainanti per tutti gli altri, purché sostenuti anche da adeguate iniziative di tipo organizzativo. Ma la strada da fare, lo dice chiaro questo studio, è ancora tanta.

Le maggiori criticità sono state rilevate per quanto riguarda la formazione specifica sui temi della violenza di genere e domestica nell’ambito dell’at­tività forense ed in quella dei consulenti tecnici, psicologi in particolare: ciascuno nel proprio ambito e nell’esercizio delle proprie competenze ha evidenziato mancanza di attenzione e di sensibilità per il tema della violenza di genere e domestica, soprattutto nella formazione e nell’aggiornamento professionale. Sia gli avvocati che gli psicologi hanno soltanto avviato un percorso di sensibilizzazione alle tematiche indicate e sono in grave ritardo nella specializzazione dei professionisti.

Riguardo alla magistratura la formazione appare infatti piuttosto carente: nel triennio 2016-2018 la Scuola superiore della magistratura ha organizzato solo 6 corsi di aggiornamento in materia di violenza di genere, frequentati nel 67 per cento dei casi da donne. I corsi riguardavano soprattutto il settore civile delle separazioni, dei divorzi e dei provvedimenti riguardanti i figli. A livello distrettuale, nello stesso periodo, sono stati organizzate 25 iniziative di formazione, che hanno visto il coinvolgimento di circa il 13 per cento dei magistrati, contro il 5% dei frequentanti quelle della Scuola superiore della magistratura.

Per quanto riguarda gli avvocati, dai dati comunicati dal Consiglio nazionale forense, dal 2016 al 2018 sono stati organizzati più di 100 eventi in materia di violenza di genere e domestica, ai quali hanno partecipato oltre 1000 avvocati (su un totale di 243 mila), di cui l’80 per cento donne. In tre anni, dunque, solo lo 0,4 per cento degli avvocati ha partecipato a eventi formativi in materia di violenza di genere e domestica.

Anche per gli psicologi si deve prendere atto di una generalizzata carenza di sensibilità alla formazione e alla costituzione di gruppi di lavoro specifici per consentire agli psicologi che svolgono attività di consulenza e di perizia nel processo sia civile che penale di acquisire anche una formazione specifica forense.

L’esito delle indagini svolte segnala, perciò, una sostanziale difficoltà, anche di tipo culturale, nella conoscenza del fenomeno. Ciò comporta una sottovalutazione dei fenomeni di violenza di genere e domestica, che non viene ‘letta’ correttamente. Per queste ragioni può affermarsi che vi è ancora molto da fare e che il percorso di adeguamento ai principi della Convenzione di Istanbul appare solo avviato.

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