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Gli attivisti in Nigeria: “Rapire gli studenti venga considerato un crimine contro l’umanità”

Olúwádàre Kóláwolé, vicedirettore dell’organizzazione nigeriana Socio-Economic Rights and Accountability Project, esprime i suoi dubbi sul blocco delle telecomunicazioni imposto dal governo

Pubblicato:14-09-2021 18:26
Ultimo aggiornamento:14-09-2021 18:26
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Olúwádàre Kóláwolé, vicedirettore dell’organizzazione nigeriana Socio-Economic Rights and Accountability Project (Serap)
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ROMA – “Dobbiamo capire quale sarà il risultato delle operazioni militari in corso nello Stato di Zamfara, ma al momento è difficile dire che lo stop alle comunicazioni che è stato imposto alla popolazione risponda ai principi di proporzionalità e necessità richiesti dalla legge internazionale”. A parlare con l’agenzia Dire è Olúwádàre Kóláwolé, vicedirettore dell’organizzazione nigeriana Socio-Economic Rights and Accountability Project (Serap), nata nel 2004 per spingere il governo della Nigeria a impiegare gli strumenti del diritto internazionale nella lotta contro corruzione e disuguglianze.

Nello Zamfara, nel nord-ovest della Nigeria, è in vigore da quasi due settimane un blocco alle telecomunicazioni imposto dal governo. La motivazione ufficiale è “facilitare le operazioni militari” contro i gruppi armati che da mesi portano avanti attacchi e soprattutto rapimenti di studenti. Lo Zamfara, situato al confine con il Niger, è diventato l’emblema di un problema che colpisce con sempre maggiore intensità le regioni settentrionali del Paese: i sequestri che gruppi armati di varia natura conducono per finanziarsi con i pagamenti dei riscatti.

Stando ai dati della piattaforma di intelligence Sbm, sono 2.371 le persone sequestrate nei primi sei mesi del 2021, 13 al giorno. Di queste numerosi sono gli studenti e le studentesse, delle scuole pubbliche, private ma anche degli istituti religiosi. Ultimo in ordine di tempo, il rapimento di 72 allievi di un liceo della località di Kaya-Maradun, avvenuto a inizio mese, e conclusosi oggi con la liberazione degli studenti.


“Stiamo assistendo a una escalation della violenza”, denuncia Kóláwolé, di base a Lagos, la città più popolosa della Nigeria. Al netto della gravità della situazione, l’attivista denuncia che al momento “non c’è contezza dell’operato dell’esercito nella zona” e che quindi “non si può fare una valutazione dell’efficacia di queste misure”. Stando al quotidiano locale Nigerian Tribune, alcuni giorni fa l’esercito avrebbe arrestato cento sospetti banditi, ma le notizie che arrivano dalla regione non sono molte.

Secondo il vicedirettore, è chiaro che “l’impatto sulla popolazione civile è tale che è davvero difficile credere che questi provvedimenti possano rispondere ai principi di proporzionalità, necessità e legalità che informano il diritto internazionale”.

Secondo gli attivisti di Serap, i passi da fare per poter meglio affrontare la situazione devono essere di altra natura. “Abbiamo presentato una petizione alla Corte penale internazionale con sede all’Aia – dice Kóláwolé – chiedendo che il tribunale includa i rapimenti degli studenti nella sua giurisdizione come crimini contro l’umanità”. L’obiettivo della campagna di Serap è “far si che i responsabili e i complici di questi gesti vengano giudicati all’Aia”.

Secondo Kóláwolé, l’iniziativa “sembra il modo più efficace per mettere fine agli omicidi e alla chiusura delle scuole”, imposta anche in questi giorni in Zamfara per motivi di sicurezza, “che sono un grande violazione dei diritti di questi ragazzi”. Un modo per migliorare la condizione di regioni, secondo l’attivista, “caratterizzate da gravi lacune in fatto di accesso all’istruzione e al mondo del lavoro”.
Sollecitato sulle ragioni di chi decide di arruolarsi in questi gruppi armati, che secondo alcuni analisti sono loro stessi vittime di un sistema assente, Kóláwolé è lapidario: “Nulla giustifica il fatto di prendere le armi e commettere un crimine”.

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