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ROMA- E’ il Foro romano a custodire il limone più antico mai ritrovato in un’area archeologica del Mediterraneo, risalente al I secolo dopo Cristo. Una scoperta, avvenuta durante gli scavi effettuati dalla Soprintendenza speciale al Carcere Mamertino, che rivela la presenza di questi frutti asiatici a Roma “prima di quanto non si pensasse finora”. Ma non solo, perché i resti del limone sono in grado di raccontare un pezzo della storia di Roma ancora più antico. Già, perchè quel luogo proprio a ridosso del Campidoglio, prima ancora di ospitare il famoso carcere, che secondo la tradizione vide prigioniero anche San Pietro, era un’area sacra, l’edificio circolare conosciuto come Tullianum.
Sono le archeologhe a ricostruire la complessa stratificazione del carcere, oggi restituita a Roma con un Museo che ripercorre secoli e tappe di questo pezzo di Foro, passato dal culto alla prigionia, per poi tornare al sacro con la chiesa di San Giuseppe dei Falegnami. A tracciare cronologia e usi del carcere, invece, sono gli stessi reperti trovati durante le ultime campagne di scavo, a cui ha contribuito anche l’Opera romana pellegrinaggi. Grazie alla misura del radiocarbonio, gli esperti sono riusciti a datare il limone all’anno 14 dopo Cristo.
Il Museo adesso conserva semi e polpa, trovati in una piccola fossa votiva insieme ad altri resti vegetali e animali e a pezzi di ceramica, risalente però all’età arcaica e repubblicana. “Va dal VI al II secolo avanti Cristo- racconta l’archeologa Patrizia Fortini, responsabile degli scavi- perciò dobbiamo immaginare che questo fosse già un luogo adibito a culto probabilmente delle acque sotterranee, vista la presenza dell’acqua tulliana”. Ancora un’ipotesi, precisa l’archeologa, ma senza dubbio suggestiva: “Quando durante il I secolo dopo Cristo i romani costruirono la facciata del carcere, probabilmente trovarono queste ceramiche e capirono che si trattava di materiale sacro. Era dunque necessario compiere un rito espiatorio, visto che avevano alterato la funzione sacrale del luogo e disturbato una divinità”. E allora deposero altro materiale, tra cui piccoli maiali sacrificati e frutta. “Ma era fresca- specifica Fortini- e questo è un particolare importante, perché generalmente alle divinità che si trovavano sopra il cielo le offerte venivano bruciate, perché gli Dei si alimentano con il fumo. Questi frutti, invece, sono interi perché probabilmente il culto è rivolto a una divinità sotterranea, forse l’aspetto infero di Demetra o di Proserpina”. In ogni caso, dice ancora Fortini, “sicuramente una divinità femminile, data la presenza dell’acqua e dei feti di animali”.
di Nicoletta Di Placido, giornalista professionista
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