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Il dramma dei bimbi usati come kamikaze, in 3 anni 117 nella zona del lago Ciad

Secondo il rapporto dell’Unicef pubblicato nei primi mesi del 2017 sono già 27 i casi. Segnale di "una pericolosa tattica dei ribelli"

Pubblicato:12-04-2017 09:26
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 11:06

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ROMA – Secondo il rapporto dell’Unicef pubblicato oggi, ‘Silent Shame: Bringing out the voices of children caught in the Lake Chad crisis’, il numero di bambini utilizzati in attacchi suicidi nel conflitto del lago Ciad – che coinvolge Nigeria, Ciad, Niger e Camerun – è aumentato a 27 nei primi tre mesi del 2017, rispetto ai 9 casi nello stesso periodo dell’anno scorso.

Secondo il rapporto questo incremento rispecchia una pericolosa tattica dei ribelli. Finora, dal 2014, sono stati utilizzati 117 bambini per portare a termine attacchi con bombe in luoghi pubblici in Nigeria, Ciad, Niger e Camerun: 4 nel 2014, 56 nel 2015, 30 nel 2016 e 27 solo nei primi tre mesi del 2017.

Nella maggior parte di questi attacchi sono state utilizzate ragazze. Per questo, le ragazze, i ragazzi e anche i bambini vengono visti con maggiore timore presso i mercati e ai checkpoint, in quanto si sospetta che trasportino esplosivo.


“Nei primi tre mesi di quest’anno, il numero di bambini utilizzati in attacchi con bombe equivale quasi al numero complessivo dello scorso anno – questo è l’utilizzo peggiore possibile di bambini in un conflitto” ha dichiarato Marie-Pierre Poirier, Direttore regionale Unicef per l’Africa Centrale e Occidentale.

Questi bambini sono vittime, non colpevoli. Costringerli o raggirarli per utilizzarli in questo modo è riprovevole”.

Il rapporto, lanciato tre anni dopo il rapimento di oltre 200 studentesse a Chibok, fornisce racconti preoccupanti di bambini cresciuti in cattività per mano di Boko Haram e su come questi bambini siano guardati con sospetto quando tornano nelle proprie comunità.

Nelle interviste, molti bambini che sono stati associati a Boko Haram hanno dichiarato di non parlare con nessuno della loro esperienza perché hanno paura sia di essere stigmatizzati, sia di possibili rappresaglie violente da parte delle loro comunità.

Molti di loro sono costretti a sopportare gli orrori subiti in silenzio e si allontanano da altri gruppi per paura di essere banditi o stigmatizzati.

Il rapporto, inoltre, sottolinea le sfide che le autorità locali devono affrontare con i bambini che sono stati fermati ai checkpoint e presi in custodia amministrativa per fare loro domande e controlli, facendo crescere la preoccupazione sui prolungati periodi di custodia.

Nel 2016, circa 1.500 bambini sono stati in custodia amministrativa in Nigeria, Ciad, Niger e Camerun. Il rilascio di oltre 200 bambini dalle autorità nigeriane, il 10 aprile, rappresenta un passo positivo per la protezione dei bambini colpiti dalla crisi in corso.

Le richieste dell’Unicef

L’Unicef chiede alle parti in conflitto di impegnarsi nelle seguenti azioni per proteggere i bambini nella regione:

– Porre fine alle gravi violazioni di Boko Haram contro i bambini, compreso il reclutamento e l’utilizzo di bambini in conflitti armati con attacchi suicidi;

– Trasferire i bambini da contesti militari a civili prima possibile. I bambini presi in custodia esclusivamente per il loro presunto o effettivo collegamento a gruppi armati dovrebbero essere immediatamente consegnati alle autorità civili per il loro reintegro e supporto. Questa procedura dovrebbe essere attuata in ognuno dei 4 paesi per i bambini che vengono ritrovati durante operazioni militari;

– Garantire cure e protezione ai bambini separati e non accompagnati. Tutti i bambini colpiti dalla crisi hanno bisogno di ricevere supporto psicosociale e spazi sicuri per riprendersi.

Nel 2016, l’Unicef ha raggiunto oltre 312.000 bambini fornendo sostengo psicosociale in Nigeria, Ciad, Camerun e Niger, e oltre 800 bambini sono stati riuniti alle loro famiglie. L’Unicef sta lavorando con le comunità e le famiglie per combattere lo stigma verso i sopravvissuti a violenze sessuali e per costruire ambienti sicuri per le persone che erano state rapite. In una crisi in cui oltre 1,3 milioni di bambini sono stati sfollati, l’Unicef supporta anche le autorità locali per garantire acqua sicura e servizi sanitari salva vita; ridare accesso all’istruzione creando spazi temporanei per l’apprendimento e distribuire alimenti terapeutici per curare i bambini malnutriti. La risposta alla crisi è ancora ampiamente sotto finanziata. L’anno scorso, l’appello dell’Unicef per il bacino del lago Ciad, di 154 milioni di dollari, è stato finanziato solo per il 40%.

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