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Hasnain, dai talebani alla laurea: “L’Italia includa”

Rifugiato afgano: alla 'sapienza' grazie a coraggio di mia madre

Pubblicato:11-12-2019 17:56
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 16:44

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ROMA – “Ho discusso da poco la tesi, sono davvero felice. Anche mia madre, che ho appena sentito al telefono, e’ contentissima. Per lei si e’ realizzato il sogno di garantirmi un presente di sicurezza e pace”. Come ogni studente che ha appena concluso il proprio percorso universitario, Syed Hasnain trasmette gioia e soddisfazione in ogni parola che pronuncia.

L’agenzia Dire lo ha raggiunto mentre e’ ancora all’universita’ ‘La Sapienza’ di Roma, fuori della facolta’ di Scienze politiche dove ha appena discusso la tesi.

Rispetto ai suoi colleghi, pero’, Hasnain ha un motivo in piu’ per essere felice. Nato in Afghanistan 30 anni fa, come ha scritto oggi il quotidiano ‘La Repubblica’, dopo la morte del padre e del fratello maggiore gli viene ordinato di arruolarsi nelle file dei talebani, destino che tocca a tutti i figli maschi di un jihadista. Ma la madre Sediqa decide che il destino non e’ ineluttabile: a dieci anni, viene affidato a un uomo che lo porta in Pakistan dove per quattro anni Hasnain lavora e frequenta la scuola. Un giorno pero’ e’ arrestato perche’ privo dei documenti e allora inizia la sua odissea di 40 mesi per raggiungere una terra sicura: l’Iraq, la Turchia, la Grecia e infine l’Italia, la sua “terra santa”.


Nel nostro Paese, Hasnain ottiene l’asilo politico e cosi’ puo’ riprendere gli studi, diventando mediatore per aiutare altri migranti e rifugiati. “Mia madre ha compiuto un gesto di puro amore e coraggio” racconta ora, aggiungendo: “Nessuna madre si separerebbe dal figlio, ma lei voleva un futuro diverso per me. Ho dedicato a lei la mia tesi, perche’ a lei devo tutto”. Hasnain in Italia non si e’ solo costruito una vita serena, ma e’ espressione di quei giovani stranieri che vogliono cambiare le cose. Anche la sua tesi rispecchia tale impegno: ‘La partecipazione dei rifugiati nei processi decisionali’.

Alla Dire spiega ancora: “Ho maturato l’idea di questo studio partendo dalla mia esperienza personale e professionale. In Italia migranti, richiedenti asilo e rifugiati non vengono coinvolti nei processi decisionali, ne’ quando le decisioni li coinvolgono direttamente, ne’ quando si tratta di altri ambiti. Ma questa e’ una grossa falla per un Paese democratico: come si giustificano certe scelte, se le istituzioni non coinvolgono tutti, se non rappresentano tutti?” Per sviluppare il tema, Hasnain ha esaminato alcuni casi di coinvolgimento di migranti a tre livelli istituzionali: l’Unione europea, il governo italiano e le amministrazioni locali.

Il quadro e’ desolante: “Non solo i casi di coinvolgimento sono rari – dice Hasnain – ma dimostrano che non esiste un meccanismo che garantisca l’inclusione di queste persone, ne’ un organismo di riferimento a cui chiedere di essere coinvolti”. A peggiorare il quadro, il fatto che “l’opinione pubblica e le istituzioni ci vedano come una categoria passiva che ha bisogno di aiuto e che non e’ necessario interpellare”.

E’ anche per questo che con alcuni amici il mediatore ha fondato l’Unione nazionale italiana rifugiati ed esuli (Unire), di cui e’ oggi presidente: “Il nostro obiettivo e’ proprio garantire a migranti e rifugiati l’inclusione nei processi decisionali. Non possiamo votare ne’ candidarci, ma viviamo qui, paghiamo le tasse, riconosciamo i valori comuni. Vogliamo essere coinvolti”.

Almeno a livello europeo, pero’, la situazione potrebbe cambiare: “La settimana scorsa – riferisce l’attivista – siamo stati invitati assieme ad altri 400 partecipanti da tutta Europa alla Conferenza sull’integrazione, organizzata dalla Commissione europea. Ne e’ emersa la volonta’ di creare un organo consultivo che coinvolga migranti, rifugiati e richiedenti asilo sulle politiche migratorie e di rimpatrio, da convocare tre-quattro volte all’anno. Non e’ un organismo permanente, ma almeno e’ un primo passo”.

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