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ROMA – “Io così ho già vinto”. Emozionarsi a 60 anni. Fabrizio Poggi è un musicista che, come si dice, ha fatto gavetta, tanta. Ed oggi, può dire di suonare con i più grandi esponenti della musica blues, con artisti che prima ammirava semplicemente ma con cui oggi scambia opinioni, prova e registra pezzi. Armonicista di fama internazionale, dopo aver sfidato nel gennaio scorso i Rolling Stones ai Grammy Awards 2018 sul palco del Madison Square Garden di New York, il 10 maggio prossimo sarà a Memphis (la città di Elvis Presley) per la sua seconda candidatura ai ‘Blues Music Awards’, gli Oscar della Musica Blues con il disco “Sonny & Brownie’s Last Train registrato in duo con la leggenda americana del blues Guy Davis in corsa come miglior disco acustico dell’anno. “È una grande soddisfazione che si rinnova ogni volta- ha detto Poggi all’agenzia Dire- Per il fatto di essere un italiano, e anche in qualche modo apprezzato per il valore che ho saputo dare ad una musica come il blues, americana per eccellenza”.
Un genere, invece, che in Italia stenta a decollare: “È ancora un genere di nicchia– ha proseguito- Anche se le giovani generazioni iniziano ad avvicinarsi al genere. C’è una riscoperta del rock, dell’hip hop e tutto viene dal blues. È la mamma di tutte le musiche moderne di oggi”. Nomination, riconoscimenti internazionali, “tutti risultati che arrivano dopo una vita di sacrifici. In un periodo in cui si sogna poco, spero che risultati così possano dare speranza a chi invece si sente deluso”. Galeotto fu ‘L’ultimo valzer (The Last Waltz)’, il film concerto del 1978 diretto da Martin Scorsese, in cui una serie di artisti accompagnavano ‘The Band’, il gruppo americano, nella sua ultima uscita live. “Con la musica ho iniziato strimpellando la chitarra, poi vedendo ‘L’ultimo valzer’ sono rimasto folgorato da uno strumento allora sconosciuto, appunto l’armonica a bocca, feci letteralmente un salto rimanendo con la bocca aperta. È stato come se avessi visto la luce, come in Blues Brothers di John Landis”.
Fabrizio Poggi, 60 anni a luglio, in quarant’anni di carriera ha inciso 22 album, di cui molti registrati negli Stati Uniti. Ha suonato con tanti grandi del blues come i Blind Boys of Alabama, Charlie Musselwhite, The Original Blues Brothers Band. Inoltre con Guy Davis ha anche inciso ‘Juba Dance’, per otto settimane al primo posto della classifica dei dischi blues più trasmessi dalle radio americane e nominato ai Blues Music Award 2014 come miglior disco acustico dell’anno. In Italia ha suonato con Eugenio Finardi, Enrico Ruggeri, Gang, Luigi Grechi De Gregori, Nomadi e Francesco Baccini. “Ora i miei eroi sono i miei collaboratori- continua- A gennaio ero candidato ad un Grammy Award e quando gli altri mi vedevano, i miei colleghi soprattutto afroamericani, mi dicevano ‘ma cosa ci fa qui un italiano?’ Tutto nasce dal blues”.
Nato in Italia, a Voghera, ha vissuto, e vive ancora, gli Stati Uniti: “Rispetto al nostro paese c’è un approccio diverso con la musica, in generale e dal vivo. È una questione culturale. Qui ci sono pochi spazi e spesso gestiti male, come tante altre cose. E c’è molta competizione. Negli Usa non ci sono tutte queste barriere come da noi, ti mostri per quello che sei e vieni apprezzato. E l’America non è un paese perfetto”. All’estero, ha continuato Poggi, “si pensa che qui la musica sia rispettata. Ma non è così. Magari si spendono 250 euro per una grande star, ma non 10 o 20 euro per sentire chi non si conosce. Nella musica bisogna essere curiosi”.
Per chi vive di musica e vorrebbe continuare a farlo, andare negli Usa potrebbe essere una buona idea, per migliorarsi, per crescere artisticamente: “Oggi per i giovani le cose sono più semplici. Ma bisogna capire che quando si va magari all’estero, si va con rispetto, bussando, chiedendo permesso. E bisogna essere se stessi. Serve fare un percorso, serve fare la gavetta. E ai giovani consiglierei di farlo, ho imparato molto lì e non solo a livello musicale, ma per esempio anche come si sta nel backstage. Un giorno senza ascoltare musica è un giorno buttato“. Oggi fare la gavetta è soprattutto fare talent: “Ma poi per prima non c’era la Corrida?- sorride- L’arte nella competizione rende tutto complicato. Sono anche un po’ pericolosi…”.
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