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La marcia per la pace di Leopoli innesca quella di Bologna il 2 giugno

Il Portico della pace di Bologna, di ritorno da Leopoli, sta pensando di organizzare una marcia per la pace sotto le Due Torri: "Tutti non fanno che parlare di pace e si crea un'escalation, noi vorremmo parlare di pace in onore delle vittime"

Pubblicato:09-04-2022 11:25
Ultimo aggiornamento:13-04-2022 12:03

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BOLOGNA – Dalla marcia silenziosa per la pace nel freddo delle strade di Leopoli del 2 aprile alla marcia per la pace del 2 giugno nella primavera di Bologna. Il movimento pacifista, di ritorno dal viaggio della carovana di “Stop the war now”, guarda avanti: tradizionalmente a Bologna viene organizzato “l’altro 2 giugno”, evento-manifestazione dedicato alla pace che fa da contraltare alle parate militari. Quest’anno “l’altro 2 giugno” potrebbe avere le forme di una marcia per la pace: quella che di solito si svolge l’1 gennaio e che quest’anno si voleva spostare alla fine del mese, ma che alla fine è saltata per le restrizioni Covid. Ora però l’idea ha ripreso piede al rientro da Leopoli, da cui la carovana di “Stop the war now” è tornata portando in Italia 300 persone che volevano lasciare l’Ucraina in guerra. Molte di loro in condizioni di estrema fragilità: come la famiglia, padre e madre disabili, che ha viaggiato sul pulmino di Alberto Zucchero, uno dei volti in prima fila del Portico della pace di Bologna, realtà che ha coordinato il progetto della carovana sotto le Due torri.

Le foto della marcia per la pace di Leopoli:

“UN’UMANITA FRAGILE IN PROCESSIONE PER SCAPPARE DALLA GUERRA”

“In questa famiglia c’era una bimba dal pianto inconsolabile, piangeva lei, piangeva la sua mamma… Quando siamo ripartiti da Leopoli abbiamo assistito alla scena di una impressionate processione di umanità fragile in fuga dalla guerra“, ha raccontato lo stesso Zucchero all’incontro di due sere fa, “Scambiamoci segni di pace”, alla parrocchia della Bertalia organizzato con la parrocchia della Beverara. E’ lì che ha raccontato del viaggio, e non solo. “Ora c’è l’intenzione di tenere vivo il legame con i volontari dell’Operazione Colomba della Papa Giovanni XXIII che sono ancora a Leopoli” per vedere se e come attivare nuovi canali di aiuti. “Ma stiamo pensando anche a fare una marcia della pace il 2 giugno”, ha detto.

Il viaggio a Leopoli “è stata una esperienza estremamente coinvolgente”, ha detto ancora Zucchero: non c’è stata solo la distribuzione di aiuti in quattro punti della città (Caritas, centro ucraino per la formazione e due ospedali), ma anche l’incontro con chi chiede aiuto, il freddo, le lunghe attese alla frontiera, gli allarmi aerei e il rifugiarsi nei bunker; e poi episodi quasi paradossali: “Appena varcata la frontiera, entrati in Polonia, in Europa, la famiglia che era con noi era preoccupata di dover vaccinare il gatto che si erano portati in viaggio. Avevano preso anche l’apposito passaporto: 200 metri prima c’era la guerra, appena entri in un mondo nuovo vogliono mettersi in regola, essere a posto…”.


“GLI UCRAINI VOGLIONO LA FUGA OPPURE LE ARMI PER POTER COMBATTERE”

In Ucraina chiedono due generi di aiuto: cibo e medicinali, oppure armi. O chiedono di poter lasciare il paese o di poter essere messi in condizione di restare per combattere. “Abbiamo dovuto fare una scelta”. E così si è messa in moto una macchina organizzativa con enti ucraini, anche orfanotrofi, che ha fatto arrivare a Leopoli 170 persone dal sud del paese per unirsi alle 130 partite poi per l’Italia. “Quel paese è aggredito, c’è una idea di resistenza. E occorre cercare di restare lucidi per capire cos’è meglio fare senza entrare nelle ideologie e nella politica. Abbiamo scelto di portare quanti più aiuti possibili visto che la crisi sanitaria e alimentare si fa sentire”, ha detto Zucchero. “E’ stato un modo per iniziare una relazione- continua- quel popolo si è stretto con se stesso e chiede di stringersi a loro: farlo in quest’ora buia è un raggio di luce che alimenta una speranza. E’ stato un modo di stare dentro quello che ci sta succedendo”. Ma una volta tornati si pone anche il problema di cosa fare ‘qui’. E’ ‘il’ problema del movimento per la pace: “Ci siamo resi conto che non riusciamo a bloccare nemmeno una cassa di munizioni”.

“SI PARLA SOLO DI GUERRA E NON DI PACE”

Una delle suggestioni al rientro da Leopoli a Bologna è quella di “fare qualcosa che ha la forza di un’arma senza ammazzare nessuno: rinunciare al gas russo”. Ma, dice ancora Zucchero, il punto è che “si parla solo di guerra e non di pace. Tutto la comunicazione finisce per alimentare l’escalation. E questo pone il problema di non essere riusciti a rendere efficaci le azioni e gli ideali del movimento pacifista in termini politici”. Ecco perchè prende corpo l’idea della marcia della pace per il 2 giugno a Bologna, per alzare la voce qui e farsi ascoltare qui, ma sulle ‘orme’ di quella di Leopoli: 200 italiani in cammino dalla stazione al centro città, in silenzio “per rispetto a una cittadinanza provata; in silenzio, come simbolo della nonviolenza in una città sotto attacco. E’ stato bello e incoraggiante vedere tante persone in strada fermarsi a guardarci. A Leopoli abbiamo visto- ha raccontato Zucchero- la realtà e la verità della guerra: la guerra si fa sulla pelle dei civili e dei cittadini. E siccome si continua a parlare di guerra e non di pace, abbiamo scelto di stare dall’unica parte possibile, quella delle vittime”.

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