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Beatrice Borromeo racconta Vittorio Emanuele di Savoia: “Senza maschere per rompere lo stigma del passato”

La docuserie 'Il principe' racconta in 3 episodi l'ultimo erede al trono d’Italia partendo dall’omicidio di Dirk Hamer nel 1978 sull’isola di Cavallo

Pubblicato:08-07-2023 09:00
Ultimo aggiornamento:07-07-2023 23:58

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ROMA – “Per diciassette anni ho dovuto difendermi. Da tutti quanti che volevano, come nella corrida, la morte del toro. Ma il toro ha le corna“. Queste le parole del principe Vittorio Emanuele di Savoia, che si è messo a nudo nella docuserie Netflix ‘Il principe’ per raccontare la sua versione dell’omicidio di Dirk Hamer che lo ha visto coinvolto nel 1978 sull’isola di Cavallo (in Corsica). Alla regia c’è Beatrice Borromeo Casiraghi, brillante ed elegante regista, giornalista, ex modella e icona di stile, che lo ha anche prodotto insieme a Francesco Melzi d’Eril con la sua MDE Films.

Dopo aver raccontato le donne di mafia, Borromeo (attualmente al lavoro su ‘The Rock’, un franchise internazionale che racconta i reali di Monaco), è tornata dietro la macchina da presa per raccontare i Savoia. Tre episodi – disponibili su Netflix – che ripercorrono i fatti della tragica notte tra il 17 e il 18 agosto nel 1978 a Cavallo in cui Dirk – figlio del chiacchierato ex dottore Ryke Geerd Hamer, radiato dall’albo per la sua medicina alternativa – è stato colpito da un proiettile sparato, secondo l’accusa, da Vittorio Emanuele di Savoia. Il ragazzo, dopo varie operazioni, è morto.

Per anni, Vittorio Emanuele ha negato di essere stato lui a sparare. Tra giustizie, ingiustizie e oscurità che hanno animato la vicenda giudiziaria dell’omicidio, la sorella di Dirk, Birgit, non ha mai smesso di cercare la verità. In questo racconto intimo e sfaccettato emerge anche un ritratto più intimo di Vittorio Emanuele: il suo tormentato rapporto con i genitori, la storia d’amore con Marina Doria, gli anni di lavoro in Iran, gli scandali e molto altro. 


Con esclusive interviste al principe Vittorio Emanuele, inediti contributi e testimonianze da parte di giornalisti, membri della famiglia Savoia, della famiglia Hamer – tra cui Emanuele Filiberto, Marina di Savoia, Birgit Hamer – e con le prime dichiarazioni da parte dei testimoni presenti quella fatidica notte a Cavallo, la docuserie si presenta come un racconto oggettivo della vita di una delle figure più controverse dell’ultima famiglia reale italiana. Allo stesso tempo, ‘Il principe’ – il cui direttore artistico è Marco Ponti – è anche un racconto più ampio che riflette sull’impatto e le conseguenze che azioni delle generazioni precedenti possano avere su quelle successive

IL PRINCIPE, L’INTERVISTA A BEATRICE BORROMEO

Ciao Beatrice, come stai?

Bene! Onestamente, sono molto emozionata. Stiamo avendo un ottimo riscontro. Siamo secondi in classifica su Netflix. Per me è una cosa totalmente inaspettata.

Questa serie non santifica e non condanna nessuno. Il racconto è equilibrato tra Savoia, sostenitori di Savoia e famiglia Hamer e testimoni di quella famosa notte del 1978 sull’isola di Cavallo. Quale necessità ti ha spinto a raccontare questo fatto?

Essere obiettiva in questa storia è stata la mia grande sfida perché è una storia per me molto personale che vivo da quando sono nata. Mia madre (Paola Marzotto, figlia di Marta, ndr) è una delle migliori amiche di Birgit Hamer (sorella di Dirk, ndr) e l’ha accompagnata in questa battaglia per decenni. È una storia personale anche perché è stato argomento di conversazione quotidiana in casa mia: il processo che non c’era, poi quella sentenza di cui nessuno si capacitava, le prove che sparivano e molto altro. Ha rappresentato un primo incontro con i concetti di potere, di giustizia, di ingiustizia e anche di isolamento, quello di Birgit che per me è sempre stata una zia. Raccontare questa storia con quel pregresso e con quel vissuto alle spalle è stato difficile perché c’era il rischio di cadere in un racconto in cui venisse fuori solo la versione della mia famiglia e questo volevo assolutamente evitarlo. Sono rimasta abbastanza sorpresa dal fatto che Giovanni Bossetti di Netflix abbia deciso di affidarmi questo racconto nonostante tutto quello che c’era nel mio passato rispetto a questa storia. Si è fidato molto del fatto che volevo fare un lavoro oggettivo e diverso da quello svolto da cronista agli anni del Fatto Quotidiano, quando ho ritrovato la video confessione di Vittorio Emanuele e l’ho accusato in maniera molto più unilaterale. Questa volta non era mia intenzione. Il mio intento era quello di trovare più fatti e testimonianze possibili anche per creare dei ponti di empatia con tutte le persone che hanno dato il loro contributo alla serie. Onestamente penso di esserci riuscita perché anche la mia opinione su Vittorio Emanuele, su Emanuele Filiberto, su Birgit e sulle sue figlie, e su quasi tutti è un pochino cambiata durante questo lavoro.

Ed è cambiata in positivo?

Dipende dai casi. Vittorio Emanuele si è ridimensionato. Io pensavo fosse una persona molto fredda alla quale non interessava l’accaduto. In realtà penso che sia una persona che non riesce a fare i conti con quella storia, non riesce a prendersi le responsabilità. Una persona cui il sistema lo ha molto protetto e, forse, non gli ha fatto un buon servizio a proteggerlo perché non se ne libererà mai, proprio per via del fatto che non è riuscito ad affrontare la verità. La mia opinione su Emanuele Filiberto è cambiata in positivo. Prima lo assimilavo molto al padre in maniera irrazionale. Invece è stato una vittima anche lui di questa storia. Sì, lo difende ma perché è stato un buon padre. Nonostante Vittorio Emanuele abbia avuto dei genitori anaffettivi e assenti a sua volta, è riuscito a spezzare una dinamica precedente per l’amore che nutre nei confronti di suo figlio Emanuele Filiberto. A scuola, come si vede nel documentario, è stato additato come il figlio dell’assassino. Non deve essere stato facile per Emanuele, quindi ora ho una comprensione completamente diversa nei suoi confronti. Inoltre, si è impegnato per far sì che in questa docuserie ci fosse la loro presenza. Mi ha molto aiutato a parlare col padre, anche se ci sono voluti mesi per riuscire a convincere Vittorio Emanuele. Credo che l’abbia fatto per chiudere questa storia una volta per tutte e perché non ricada sulle sue figlie come è successo con lui. È cambiata anche la mia opinione nei confronti delle figlie di Birgit, sono riuscita a comprenderle in modo più profondo. Una delle due, per esempio, è sempre stata l’anima della festa, quella sempre allegra, sempre sorridente. E poi, durante le riprese, mi ha detto che lei da bambina faceva così per tirare su la madre, che era disperata per Dirk. E facendo un po’ la giullare ha scoperto che la mamma tornava a sorridere. Questo non l’ho raccontato nel documentario, purtroppo abbiamo dovuto lasciare fuori tantissime cose belle (per esigenze tecniche, ndr). Piano piano sono cadute tutte le maschere che le persone avevano o che io pensavo che avessero e le ho scoperte con un po’ più di autenticità.

‘Il principe’ mette in luce potere, connivenza, soldi, favori, oscurità che hanno accompagnato la vicenda Hamer. Ma la nuova generazione nobile vuole assumersi la responsabilità della propria storia. È così?

Per me personalmente non ha a che fare con la nobiltà. È una quesitone di famiglia. Credo che sia così anche per Emanuele Filiberto. Lui lo ha fatto perché vuole bene alle sue figlie e non vuole che ricada su di loro, senza nessun motivo, lo stesso stigma di responsabilità che fa parte del passato.

Pensi Vittorio Emanuele di Savoia abbia deciso di partecipare a questo progetto come tentativo di riabilitarsi?

Non credo che l’abbia fatto per riabilitarsi, ma penso che lo abbia fatto perché non c’è stato mai nessuno disposto ad ascoltare la sua versione dei fatti. C’è sempre stato un approccio molto scandalistico nei suoi confronti e credo che volesse raccontare il suo punto di vista anche perché questo non è un documentario solo sui fatti del 1978 a Cavallo. ‘Il principe’ racconta anche la sua infanzia, la sua storia d’amore, gli anni dell’Iran, l’esilio, il rientro in Italia e tanti altri momenti. Forse lo ha fatto anche per esasperazione perché gliel’ho chiesto per sei mesi, più o meno, scrivendo lettere su lettere a lui e a tutti quelli che conosceva. Ho telefonato a chiunque. Alla fine mi ha permesso di parlare con suo figlio, mi ha detto ‘sarà lui a decidere’. Ho parlato con Emanuele e, piano piano, l’ho convinto. Gli ho spiegato che la mia intenzione non era quella di mettere alla gogna il padre, ma volevo cercare di capirlo. Ho chiesto scusa a Vittorio Emanuele per non averlo voluto veramente ascoltare nei miei anni da cronista, per essere stata molto aggressiva. Io sono stata molto fiera di aver trovato la sua video confessione, resterà uno dei momenti più importanti della mia carriera a Il Fatto Quotidiano. Ma non ho fatto lo sforzo che ho fatto questa volta per avere la sua versione dei fatti. All’epoca era meno importante per me, era più una questione personale. Questa volta volevo spezzare quella dinamica e rendermi ascoltatrice disposta a dare a tutti la stessa possibilità.

Il principe Vittorio Emanuele ha chiesto le domande in anticipo?

No, non ha chiesto di leggere le domande prima delle riprese.

I Savoia e gli Hamer hanno visto ‘Il principe’? Qual è stata la loro reazione?

Brigit è felicissima, penso che si sia tolto un enorme peso dalle spalle. In questa docuserie ci sono tutti i fatti concreti e provati, ho parlato anche con gli avvocati di Vittorio Emanuele. Per Brigit il fatto che la verità sia disponibile a così tante persone è una cosa straordinaria, si sente di aver ottenuto giustizia per Dirk. Emanuele Filiberto ha visto la serie due giorni prima che uscisse. Gliel’ho mandata perché volevo dargli il tempo di prepararsi, è stato molto corretto con noi. Ha detto che ci sono cose che non gli hanno fatto piacere ma la ritiene una serie equilibrata che ha rispettato il loro punto di vista. Questo mi ha fatto immensamente piacere. Non so se Vittorio Emanuele abbia visto la docuserie.

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