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‘La mafia uccide, il silenzio pure’, a Roma una mostra per combattere l’oblio

L'esposizione curata dalla fotografa Lavinia Caminiti e promossa dal Campidoglio in occasione del trentennale degli omicidi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino

Pubblicato:07-11-2022 16:47
Ultimo aggiornamento:07-11-2022 16:47

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Un’offesa sull’offesa. Quella dell’indifferenza sulla violenza, dell’omertà che uccide due volte, dell’oblio su quei morti ammazzati dalla mafia che diventano invisibili. Magistrati, politici, persone comuni, donne, bambini. Freddati spesso in mezzo alla strada, luoghi ogni giorno attraversati da migliaia di persone che non ricordano, non sanno, non vedono. E invece quegli angoli inghiottiti dall’anonimato possono parlare, ricordare, imprimere nella memoria. Rivitalizzare. È questo quello che fa la mostra ‘La mafia uccide, il silenzio pure’, allestita da oggi in piazza del Campidoglio. “Nel cuore della Capitale d’Italia, visibile dalle tantissime persone che passano qui, perchè la mafia rappresenta ancora una sfida terribile e criminale a tutta la comunità nazionale”, ha detto il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, presentando oggi l’esposizione curata dalla fotografa Lavinia Caminiti e promossa da Roma Capitale in occasione del trentennale degli omicidi dei magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, con l’organizzazione di Zètema Progetto Cultura.

L’ESPOSIZIONE

Dopo aver esordito nel 2014 a Palermo e aver toccato negli anni molti luoghi della Sicilia e dell’Italia intera, Caminiti porta a Roma le immagini attuali di quei luoghi con le foto e gli articoli di stampa realizzati immediatamente dopo i tragici eventi. Una sorta di mappa virtuale del terrore, da ricostruire con rigore e sensibilità partendo dall’assassinio del poliziotto italo-americano Joe Petrosino, avvenuto in piazza Marina a Palermo nel lontano 12 marzo del 1909, fino ad arrivare all’uccisione del diciassettenne Genny Cesarano, avvenuta il 6 settembre 2015 nel rione Sanità a Napoli. In mezzo, oltre un secolo di delitti che hanno colpito vittime a volte del tutto inconsapevoli, a volte protagoniste della lotta a favore di giustizia e libertà. Peppino Impastato, Boris Giuliano, Carlo Alberto Dalla Chiesa, la moglie Emanuela Setti Carraro e l’autista Domenico Russo. E poi Piersanti Mattarella, Pio La Torre, Don Pino Puglisi, Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i componenti della scorta Vito Schifani, Antonio Montinaro e Rocco Dicillo. E ancora: Paolo Borsellino e gli agenti Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. O i magistrati Rocco Chinnici e Pietro Scaglione, Cesare Terranova, Gaetano Costa e Rosario Livatino.

L’IMPORTANZA DEI LUOGHI

Una lista troppo lunga, una lista che non dovrebbe esistere, ma c’è e allora va ricordata, ripercorsa, ritracciata. “La gente passa per questi luoghi e non sa cosa è successo, c’è immondizia, targhe rotte, nessun tipo di ricordo, e questa è un’offesa sull’offesa- ha detto l’autrice e curatrice- Quando ero ragazzina la parola ‘mafia’ non si poteva neanche pronunciare. Siamo tutti delle vittime in maniera consapevole e inconsapevole. La mafia- ha detto rivolgendosi alle ragazze e ai ragazzi delle scuole che questa mattina hanno visitato la mostra- uccide quotidianamente i vostri sogni”. L’indagine fotografica si conclude con le immagini di quei luoghi ripresi oggi, simbolo in cui, nella tragica annata stragista del 1993, la mafia decise di sferrare il suo tremendo attacco allo Stato attraverso gli attentati dinamitardi, e purtroppo ancora sanguinari, di Roma, alla Basilica di San Giovanni in Laterano e alla Chiesa di San Giorgio al Velabro (27 – 28 luglio), di via Palestro a Milano (27 luglio) e di via dei Georgofili a Firenze (28 maggio). “Non voglio altarini in questi luoghi- ha detto infine- ma opere che fanno in modo che chi passa da lì si ferma e legge quelle lapidi, come è accaduto in via dei Georgofili, a Firenze”.


“SERVE COSCIENZA CIVICA”

Giuseppe Santalucia, presidente Associazione nazionale magistrati, presente in piazza del Campidoglio ha tenuto a dire che “questa mostra l’abbiamo voluta anche noi magistrati perché è il miglior modo di usare il linguaggio potente della fotografia per rinnovare la memoria e richiamare tutti ai doveri della cittadinanza, che sono quelli della legalità. Il senso è non pensare che ci sono eroi e altri chiamati fuori dal dovere della testimonianza. Sono stati uomini come noi che hanno interpretato in modo genuino il senso del dovere. Sono ormai confinati nell’Olimpo del mito- ha detto- ma bisogna strapparli da questa dimensione di distanza rispetto alla comunità. Soprattutto per i giovani, perché capiscano l’importanza del ruolo della legalità e della vita altrui”.

La memoria come elemento di consapevolezza, dunque, per “continuare a essere vigili e attenti per contrastare il fenomeno delle mafie- ha aggiunto infine il sindaco- che in questa città è forte e presente e va contrastato con tutti gli strumenti di cui dispone lo Stato e con la capacità della comunità di essere parte attiva in questa grande battaglia. Come amministrazione stiamo cercando di fare il massimo per rafforzare i presidi soprattutto con questa stagione di investimenti senza precedenti legati al Pnrr, ma pensiamo che senza una coscienza civica larga questa battaglia non può essere vinta”.

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