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Pnrr, Livolsi: “I 12,4 miliardi destinati alle imprese servano anche per migliorare il sistema Italia”

Nel Pnrr ci sono 12,4 miliardi destinati alle imprese: il consiglio di Livolsi è di utilizzarli per superare le mancanze che accomunano molte aziende italiane e per rendere più attrattivo il sistema Italia per quelle straniere

Pubblicato:06-12-2023 08:34
Ultimo aggiornamento:06-12-2023 08:34
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ROMA – “Condivisibile la soddisfazione espressa dal Governo. La Commissione europea verserà entro la fine dell’anno la quarta rata da 16,5 miliardi del Pnrr e ne ha approvato la rivisitazione proposta da Roma. Come previsto dai Regolamenti europei, s’è tenuto conto di circostanze oggettive che hanno pregiudicato l’esecuzione o il rallentamento degli obiettivi fissati nel 2021, come l’inflazione più alta del previsto che ha gonfiato i prezzi, o la guerra in Ucraina che ha creato problemi ad alcune catene produttive”. Il giudizio è di Ubaldo Livolsi, professore di Corporate Finance e fondatore della Livolsi & Partners S.p.A., nel nuovo appuntamento con la sua rubrica con l’agenzia Dire, curata da Angelica Bianco.

“Il precedente Piano dell’Esecutivo Draghi- continua- viene radicalmente modificato. Vengono introdotti 7 nuovi obiettivi di riforma, 11,5 miliardi sono spostati da progetti in ritardo o non realizzabili, altri 9 vengono rimodulati e arrivano 2,8 miliardi aggiuntivi da Bruxelles, che con i fondi ricavati dalla revisione finanzieranno RepowerEu con una cifra di 11,1 miliardi per la transizione ecologica. La dotazione del Pnrr italiano sale a 194 miliardi, cui si aggiungono i 30 miliardi del Fondo nazionale complementare. In particolare, la premier Giorgia Meloni esulta – malgrado le polemiche circa la fine del mercato tutelato dell’energia – perché una parte importante dei fondi saranno destinati alle imprese, che (come avevo sostenuto in un mio anteriore contributo su questa testata) sembrano essere penalizzate nella Legge di Bilancio, che dovrà essere approvata prima della fine dell’anno. Tra Repower e altre misure, sono stimati 12,4 miliardi i fondi complessivi per le imprese: 6,3 per gli incentivi alla Transizione 5.0, 320 milioni per l’autoproduzione energetica delle piccole imprese, 850 per l’agrisolare, 2,5 per la competitività e la resilienza delle filiere produttive, altri 2 per i contratti di filiera agricola, 308 per il turismo. Da segnalare, fatto molto importante, gli 1,2 miliardi destinati all’Emilia-Romagna per il dissesto causato dall’alluvione del maggio scorso”.

“L’errore da evitare- spiega poi Livolsi- è che ci si limiti a spendere questi soldi concentrandosi sui vari progetti con uno sguardo miope, che cioè non si considerino le caratteristiche delle imprese italiane: queste, se da un lato eccellono in molti casi virtuosi come campioni mondiali di innovazione, tecnologia e creatività, dall’altro hanno delle mancanze. Secondo i dati della The European House Ambrosetti, il 99% delle società italiane ha un fatturato inferiore ai 30 milioni, solo 9mila sono quelle tra i 30 e i 100 e calano a 4mila quelle sopra i 100. Le aziende di dimensioni importanti sono poco più di 20, contro le 50 tedesche e le quasi 300 cinesi”.


“Come ricordo spesso- aggiunge- altro grande limite delle nostre imprese è che non accedono al mercato dei capitali ma continuano a privilegiare l’indebitamento bancario. Eppure le possibilità ci sono, pensiamo a tutte le opportunità offerte dalla finanza alternativa: dal private equity e venture capital alle forme di finanziamento in debito (minibond, crowdfunding, invoice trading, direct lending) alla quotazione in Borsa su listini specifici per le Pmi, come Euronext Growth Milano. Solo circa il Venture Capital, lo scorso anno gli investimenti si sono fermati a 2,2 miliardi contro i 15 della Francia. È però fondamentale che il Governo assecondi tale tendenza favorendo una maggiore diffusione di queste pratiche con nuovi strumenti normativi, informativi e agevolazioni fiscali. Per giunta il Governo ha sbagliato a cancellare l’Ace, che permetteva a chi investiva nel rafforzamento del capitale della propria azienda di usufruire di alcune agevolazioni”.

“C’è anche il grande tema della scarsa appetibilità del sistema Italia per le aziende che vorrebbero venire a investire da noi ma che si trattengono dal farlo, frenate da mali storici quali la burocrazia e il sistema infrastrutturale – sia fisico che digitale – e il ritardo del Sud del Paese. Stando al Global Attractiveness Index di Wpp, il nostro Paese è al 17esimo posto su 148 economie per quanto riguarda l’attrattività e l’87% degli intervistati vorrebbe fare business in Italia ma vi rinuncia.
Serve quindi utilizzare i nuovi fondi resi disponibile dal Pnrr per fare crescere le nostre imprese e al contempo per migliorare il sistema Paese e renderlo più attrattivo per le aziende straniere che vogliono investire in Italia. Tutto ciò porterà crescita alla Nazione. In questo senso sono di buon auspicio i nuovi impegni che il Governo ha inserito nel Piano di nuove riforme. Si prevede- conclude Livolsi- un’ulteriore accelerazione dei tempi della giustizia civile e penale, una nuova semplificazione degli appalti, la razionalizzazione degli incentivi alle imprese, nuove misure per favorire la concorrenza e altre per assicurare i pagamenti tempestivi della Pa”.

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