NEWS:

Giustizia, Roia: “Giudici poco competenti su affidi minori, errore delegare Ctu”

Fabio Roia, presidente della sezione delle misure di prevenzione del tribunale di Milano, ad un seminario su diritto di visita, affido condiviso e bigenitorialità

Pubblicato:06-09-2021 12:05
Ultimo aggiornamento:06-09-2021 19:09

giustizia-tribunale
FacebookLinkedInXEmailWhatsApp

ROMA – “C’è ormai una certa deriva, molto preoccupante, da parte del giudice civile e minorile che tende, specie se non specializzato, ad adagiarsi sulle decisioni del Ctu. Fermo restando che è sempre sbagliata la delega decisionale, qui si pone il problema della competenza del Ctu: il giudice deve avere la capacità di controllare la scuola di pensiero di appartenza del Ctu nominato e non può delegare a lui l’accertamento della violenza domestica”. Così Fabio Roia, presidente della sezione delle misure di prevenzione del tribunale di Milano, intervenendo ad un seminario organizzato dalla Fondazione Pangea onlus su diritto di visita, affido condiviso e bigenitorialità.

“Un rapporto della Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio presentato prima dell’estate – sottolinea il giudice- ha analizzato una precondizione necessaria per intervenire in materia di affidi di minori, ovvero la specializzazione e la competenza di tutti gli attori del processo civile e giudiziario. Quindi non solo dei giudici, ma anche dei Ctu, e devo dire che i risultati sono veramente deludenti”.

Sul piano delle competenze, registra Roia amaramente, “siamo davvero all’anno zero. In magistratura c’è maggior competenza nei tribunali metropolitani, ma se andiamo sui mediopiccoli vediamo realtà con giudici chiamati a fare un po’ di tutto. Qui entriamo in un problema di cultura del giudice, significa che dovrebbe avere l’umiltà, la capacità e la voglia di andare a conoscere competenze che non appartengono alla sfera giuridica ma che sono principi primordiali di psicologia, medicina legale e conoscenza sociologica del fenomeno. I giudici abbiano dunque l’umiltà di andare a farsi formare da altri operatori”.


Il campo in cui ci si muove, spiega Roia, è molto delicato. “Nel comune sentire- spiega- crediamo che se un bambino non vede scene di violenza è protetto, ma non è così. La giurisprudenza di legittimità ha affermato che è sufficiente che il bambino respiri una situazione di violenza, la percepisca o che la viva, per rappresentare una forma di violenza. Spesso invece sentiamo dire ad un uomo che, quando ha messo le mani addosso alla donna, o l’ha insultata, il bambino non era presente“. 

Roia vuole “sfiorare solamente” il tema della sindrome di alienazione partentale (Pas), “ora camuffata con la sindrome della madre malevola, in cui un bambino non vuole vedere più un padre violento e la madre, che ha difficoltà a favorire l’incontro, passa per essere soggetto ostacolante, fino a subire provvedimenti che incidono addirittura sulla responsabilità genitoriale. Una cosa per me aberrante”.

“Come sottolineato dal Grevio- continua il giudice- in Italia abbiamo un buon quadro normativo per fronteggiare la situazione ma il punto di crisi è determinato dall’intersezione penale-civile quando non viene applicato l’art.31 della convenzione di Istanbul“, che impone di prendere in dovuta considerazione gli episodi di violenza vissuti dai figli minori al momento di determinare i diritti di custodia e di visita dei figli, “e impone al giudice di pesare la sua decisione, sempre previa accertamento della violenza domestica. Ma prima di pesarla bisogna riconoscerla, prima di riconoscerla bisogna averla presente, e prima di averla presente bisogna capire che ancora esiste. Qui forse c’è un pregiudizio, perchè oggi è ancora più presente per un contesto culturale che non la condanna senza se e senza ma, ma procede a intermittenza e tende a sottolinearla come un fenomeno che si consuma in casa e in famiglia, luoghi sacri dove lo Stato deve entrare il meno possibile. Così ovviamente è tutto sbagliato”.

“Se le cose in Italia non cambiano rapidamento, se si continua a rimanere con una giurisdizione frammentaria che decide secondo la cultura del Ctu, senza un contradditorio tra le parti, senza un pm che deve essere invece presente quando il Ctu richiama temi ascientifici- conclude Roia– allora credo che bisognerebbe pensare, come avvenuto in Spagna, di costitruire un Tribunale della crisi della Famiglia, con giudici specializzati che hanno competenze civili e penali”. 

Le notizie del sito Dire sono utilizzabili e riproducibili, a condizione di citare espressamente la fonte Agenzia DIRE e l’indirizzo www.dire.it