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Emergenza migranti anche in Costa Rica

di Cristina Eguizàbal, Ambasciatore di Costa Rica presso la Repubblica Italiana

Pubblicato:04-10-2016 15:48
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 09:08

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di Cristina Eguizàbal, Ambasciatore di Costa Rica presso la Repubblica Italiana

La storia degli esseri umani si confonde con la storia delle migrazioni. Per centinaia di anni spostarsi e’ stato facile e naturale, basti pensare che la Grande migrazione del XIX secolo dall’Europa verso il continente americano prima della Grande guerra e’ stata fatta senza passaporti. Con il consolidamento degli stati le cose sono cambiate, i confini tra Paesi sono diventati simboli delle nazionalita’. Dopo la Seconda guerra mondiale, le migrazioni internazionali sono rallentate, ma non sono scomparse. Le ex potenze coloniali hanno dovuto rimpatriare i propri cittadini: inglesi e olandesi sono tornati tra il 1945 e il 1950 quando l’India e l’Indonesia hanno dichiarato l’indipendenza. Dopo la divisione dell’India nel 1945, milioni di musulmani indiani hanno abbandonato le loro case e hanno fondato un nuovo Paese: il Pakistan. Negli anni Sessanta, piu’ di un milione di francesi sono tornati in Francia dall’Africa del Nord. Un numero simile di persone e’ fuggito dall’isola di Cuba quando Fidel Castro e’ salito al potere, e ancora oggi ci sono dei cubani che scelgono di fuggire dalla Rivoluzione.

Dopo la caduta del muro di Berlino la globalizzazione ha dato un nuovo impeto ai flussi migratori, ma stavolta la direttrice diventa Sud-Nord. Sebbene le ragioni siano le stesse – fuggire da guerra, violenze e poverta’ – ora diventano disponibili nuove tecnologie nelle comunicazioni e nei mezzi di trasporto, che permettono una circolazione piu’ veloce di notizie e e persone. Se cio’ e’ positivo per i migranti, lo e’ anche per i criminali che, oltre a droga, armi, opere d’arte e petrolio, ora trafficano anche gli esseri umani. E per i governi non e’ affatto facile proteggere le vittime.


Oggi, questi e altri problemi affliggono l’Europa mediterranea e la frontiera sud degli Stati Uniti, che diventano ‘paesi d’accoglienza’, oppure ‘di transito’. A loro i media internazionali dedicano grande spazio, ma non sono le sole aree del mondo toccate dal fenomeno.

Prendiamo l’esempio del Costa Rica. L’autorita’ migratoria costaricense calcola che arrivano ogni giorno tra le 150 e le 200 persone alla nostra frontiera con il Panama. Tra aprile e settembre ne sono arrivate altre 9.500.  Il resto del mondo non definisce questo fenomeno ‘emergenza umanitaria’, perche’ le cifre sono irrisorie se comparate con quelle di altri Paesi. Ma se pensiamo che la popolazione del Costa Rica e’ di 4.750.000 persone, la prospettiva cambia, e diventa preoccupante. Per noi la sfida e’ affrontare degnamente, con le poche risorse di cui disponiamo, una crisi migratoria che – per le nostre dimensioni – ha raggiunto davvero grandi proporzioni.

Il Costa Rica tuttavia e’ sempre stata una terra d’accoglienza. Nel XIX secolo e fino alla Seconda guerra mondiale, europei, latinoamericani e asiatici – soprattutto cinesi – sono venuti nel nostro Paese a cercare fortuna, e nel caso degli ebrei, protezione. Siamo una societa’ prodotta dalla migrazione. Il costaricense generalmente viaggia e ritorna alla sua terra, non migra. Dopo gli anni ‘60 in Costa Rica abbiamo avuto bisogno di lavoratori nel settore agricolo in particolar modo durante il periodo dei raccolti. I nicaraguensi sono diventati i lavoratori agricoli per eccellenza. Si tratta di una migrazione circolare, ma generalmente i migranti rimangono nel Paese d’accoglienza e infatti molti vicini ‘nicas’ (li chiamiamo cosi’) sono rimasti, e i loro figli, nati in Costa Rica sono ‘ticos’, (ci chiamiamo cosi’). Oggi quasi l’8% della popolazione del Costa Rica e’ nata in Nicaragua, e non siamo a conoscenza del numero di connazionali di origine nicaraguense. Nei censimenti, infatti, non c’e’ una domanda specifica riguardo alla nazionalita’ dei genitori. Tutti quelli che nascono nel nostro territorio sono ‘ticos’, e’ la legge che lo vuole.

Nella seconda meta’ del secolo scorso la composizione de la popolazione migrante in Costa Rica e’ cambiata. All’epoca il Paese divento’ una terra d’asilo per molti politici e intellettuali latinoamericani di sinistra che cercavano di scappare dalla repressione delle dittature militari nei loro Paesi. Acnur gestiva i campi di rifugio per centinaia di contadini centroamericani che fuggivano dalla guerra nel Salvador, Guatemala e Nicaragua. La grande maggioranza di questi rifugiati e’ ritornata a casa quando la pace e la democrazia sono state ripristinate.  Molti, i nicaraguensi in particolare, sono rimasti in Costa Rica lavorando nell’agricoltura, come facevano prima, o nelle costruzioni.

Oggi stiamo affrontando una nuova ondata migratoria molto diversa dalle precedenti, ciononostante alcuni fattori rimangono invariati: le persone cercano sicurezza, opportunita’ di lavoro, prosperita’ e qualita’ di vita. Tuttavia esiste una grande differenza: la migrazione e’ diventata un business e i migranti sono considerati nient’altro che merce di scambio. Il traffico di migranti non e’ un fenomeno nuovo, abbiamo tutti sentito parlare della tratta di persone e dei casi di schiavitu’ ovunque. Le novita’ nascono dalla globalizzazione e dalle possibilita’ che le nuove tecnologie offrono al crimine organizzato.

Negli ultimi anni arrivano in Costa Rica sempre piu’ centroamericani principalmente alla ricerca di sicurezza. Tutti vedono il Costa Rica come un ponte con la terra promessa, gli Stati Uniti. I cubani vogliono abbandonare la loro isola prima che Washington abroghi il Cuban Adjustment Act che concede, ipso facto, la residenza a chi calpesti terra statunitense, nel senso letterale del termine. I cubani che arrivano via mare o via aerea senza documenti sono deportati. I cubani che sono arrivati nel nostro Paese generalmente passavano per l’Ecuador, dove il governo del Presidente Correa aveva soppresso per tutti l‘obbligo di visto, ma questa disposizione migratoria e’ stata modificata alla luce degli ultimi flussi di migranti clandestini. Una volta in terra continentale i migranti si incamminavano verso il Nord, seguendo strade controllate da ‘passeur’, o ‘coyote’ come li chiamiamo in America Latina.

Gli haitiani vengono dal Brasile. Sono arrivati li’ come rifugiati dopo il terremoto di Porto Principe. Hanno trovato lavoro sia per i mondiali di calcio che per le Olimpiadi, ma una volta terminati i lavori, si sono ritrovati disoccupati e hanno deciso anche loro di cercare fortuna nell’America dei loro sogni. Non e’ sicuro che questa decisione l’abbiano presa da soli: e’ stato infatti dimostrato che in America Centrale un fattore che ha contributo alla formazione di ondate migratorie massicce sono stati proprio i coyote che, per aumentare la domanda di “servizi”, hanno iniziato a diffondere informazioni fittizie come ad esempio abbondanti richieste di lavoro o l’incombenza di restrizioni legali nel prossimo futuro.

‘Il business dei coyote’ che lavorano per la comunita’ cubano-americana si e’ sviluppato senza problemi fino a marzo scorso, quando le autorita’ del Costa Rica hanno scoperto questo racket e lo hanno smantellato. Per evitare di danneggiare le vittime, il governo del Presidente Solis ha pero’ permesso ai migranti cubani di passare legalmente dal confine con il Panama a quello con il Nicaragua e ha dato visti di transito a quasi 8mila cubani per permettere loro di proseguire il cammino in sicurezza. Invece, il governo di Managua, sin da subito, aveva deciso di chiudere la frontiera comune. Dopo parecchie settimane San Jose’ riusci’ a ottenere l’accordo dei governi di El Salvador e del Messico per permettere ai cubani di continuare verso il Nord, e la garanzia di Washington di accogliere i rifugiati.

Lo scorso giugno, in un’operazione coordinata, la polizia del Costa Rica congiuntamente a quella di Panama, El Salvador, Honduras, Colombia, Messico, Stati Uniti e Brasile ha disarticolato una rete di traffico di migranti africani e asiatici. Questa rete riuniva i migranti a Dubai, li trasportava in Brasile con documenti falsi e dopo attraversavano la Colombia, i Paesi dell’America Centrale, il Messico fino ad arrivare negli Stati Uniti, la loro destinazione finale. La realta’ e’ che non e’ facile sapere esattamente da dove provengano queste persone perche’ non hanno i documenti. I servizi d’intelligence del nostro Paese credono siano molti gli haitiani che dicono di essere africani per evitare la deportazione o almeno ritardarla.

Nonostante cio’, l’Oim (Organizzazione internazionale per le migrazioni) riporta la presenza a Paso Canoas, la nostra frontiera con il Panama, di persone provenienti dal Togo, Senegal, Congo, Somalia, Burkina Faso, Ghana, Costa D’Avorio, Nepal, Bangladesh e Afghanistan. Solo ad aprile, sono arrivati 5.600 asiatici e africani (o haitiani, non si sa), di questi, 3mila sono partiti e non se ne hanno piu’ notizie. Al momento rimangono ancora nel nostro Paese 2.500 persone in attesa di rimpatrio – o deportazione – in un Paese terzo, che non siano gli Stati Uniti. Solo i cubani sono i fortunati che hanno il diritto d’entrare legalmente nella terra promessa, solo perche’, appunto, cubani.

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