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Turchia, 500 magistrati sotto processo per il ‘golpe’ ricorrono alla Corte Europea

A darne notizia, la Corte europea stessa, che fa sapere in una nota di aver chiesto al governo di Ankara di fare chiarezza sulla situazione

Pubblicato:03-06-2019 14:34
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 15:21
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ROMA – Ben 546 magistrati hanno adito la Corte europea dei diritti dell’uomo per essere stati sospesi dalle loro funzioni e posti in custodia cautelare per affiliazione a un gruppo terrorista, in seguito al fallito colpo di stato del 15 luglio 2016. A darne notizia, la Corte europea stessa, che fa sapere in una nota di aver chiesto al governo di Ankara di fare chiarezza sulla situazione legale di queste persone.

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Secondo i ricorrenti, le azioni eseguite presenterebbero profili di illegalità: alcuni affermano di essere stati posti in custodia cautelare in violazione delle garanzie procedurali previste dalla legge nazionale per i magistrati, mentre altri sostengono che non sussistano “motivi pertinenti e sufficienti” a giustificare il reato che gli viene contestato.


Altri, tra le altre cose, lamentano restrizione nell’accesso al fascicolo di indagine, oppure una comunicazione troppo tardiva del procedimento disciplinare, che non avrebbe lasciato loro il tempo di presentare ricorso. Contestata anche un’assistenza legale insufficiente per contestare la propria detenzione.

Tutti i ricorrenti sono stati accusati di far parte del movimento legato al religioso sciita Fetullah Gulen, ritenuto dalle autorità turche il responsabile del tentato golpe del luglio del 2016, che aveva come scopo quello di rovesciare il governo del presidente Racep Tayyip Erdogan.

I processi penali a carico degli oltre 500 magistrati sono ancora in corso.

Il 17 maggio scorso, la Corte europea per i diritti dell’uomo ha pertanto comunicato alla Turchia di aver ricevuto i 546 ricorsi, e invitato le autorità a fornire per ogni caso una risposta motivata, sia alla luce degli articoli del codice turco, sia della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu), che anche la Turchia ha ratificato.
In particolare, i ricorrenti fanno appello al rispetto dell’articolo 5 della Cedu, secondo cui “ogni persona ha diritto alla libertà e alla sicurezza” e “nessuno può essere privato della libertà, salvo che nei casi previsti e nei modi prescritti dalla legge”.

I difensori per i diritti umani denunciano che in Turchia, in seguito al fallito golpe del 2016, migliaia di persone sono state arrestate per presunta affiliazione al movimento legato a Gulen, sia tra componenti delle Forze armate che della società civile. I provvedimenti hanno colpito anche avvocati, magistrati, insegnanti e giornalisti. Centinaia le condanne all’ergastolo già comminate.

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