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Sebastiani: “Che opportunità lo sviluppo africano”

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Pubblicato:31-01-2017 15:52
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 10:51

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Pietro Sebastiani

ROMA – “Far conoscere quello che di buono l’Italia fa è importante” sorride Pietro Sebastiani, il direttore generale della Cooperazione allo sviluppo. Oltre 30 anni di carriera diplomatica, in servizio a Mosca, New York, Parigi e Bruxelles, poi rappresentante presso le Agenzie romane delle Nazioni Unite e ambasciatore in Spagna. Con una sensibilità che lo porta di continuo ad allargare lo sguardo dalle capitali alle periferie globali, a quel Sud del mondo oggi categoria essenziale di una proiezione internazionale rinnovata dell’Italia. Il colloquio con la DIRE si tiene alla Farnesina, negli uffici della Dgcs, la Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo. Il tema è l’Africa e si va dritto al cuore. Con impegni decisivi: dalla “lotta alle cause profonde delle migrazioni” alla “valorizzazione delle diaspore“.

Direttore, nel 2016 i migranti giunti sulle coste italiane sono stati più di 180 mila. Uomini, donne e bambini continuano a rischiare la vita in fuga da guerre, povertà e mancanza di prospettive. Cosa sta facendo la Cooperazione italiana, in una prospettiva di sviluppo, per contribuire a contenere e prevenire questo fenomeno? Indicherebbe uno o due progetti specifici per questo 2017?

“Consideriamo una priorità la lotta alle cause profonde delle migrazioni, con interventi mirati alla creazione di impiego e al miglioramento delle capacità occupazionali nei Paesi d’origine, al rafforzamento istituzionale degli Stati africani e alla valorizzazione delle diaspore, favorendo anche le eventuali migrazioni di ritorno. Tra le iniziative ricordo il contributo (2,8 milioni di euro) al programma Migration for Development in Africa (Mida) Somalia che, in collaborazione con l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), promuove il ruolo dei migranti nella crescita socio-economica dei Paesi di origine; il Progetto per la creazione di microimprese nel sud della Tunisia (1,9 milioni di euro), realizzato nelle aree più svantaggiate del Paese, origine di flussi migratori verso l’Italia, destinato al rafforzamento dell’autonomia economica di giovani e donne grazie ad attività formative e di assistenza finanziaria in favore di giovani imprenditori; e il contributo di 2,7 milioni di euro per un programma triennale con l’Oim, e con il coinvolgimento di organizzazioni della società civile, per il rafforzamento dell’occupazione e dell’imprenditorialità giovanile in Burkina Faso. A questo, si aggiunge il contributo che l’Italia sta fornendo al Fondo fiduciario Ue della Valletta, di cui è membro fondatore e secondo contributore. Il Fondo mira ad affrontare le cause profonde delle migrazioni e dell’instabilità in 23 Paesi africani, attraverso interventi nei settori della creazione di impiego, della resilienza, della gestione delle migrazioni, della sicurezza e della governance. Nel primo anno di attività, il Fondo ha impegnato due terzi delle risorse, approvando 105 programmi per 1,582 miliardi. L’Italia è affidataria di sette programmi in cinque Paesi per noi prioritari (Etiopia, Senegal, Sudan, Burkina Faso e Egitto), per un valore di 86 milioni di euro”.


Un capitolo decisivo per le politiche di sviluppo è la “cooperazione delegata” per una divisione del lavoro ottimale tra l’Italia e l’Europa. Quale bilancio a oggi?

Quali aspetti da migliorare e quali nuovi impegni? “Il bilancio è sicuramente positivo. La Cooperazione delegata è, infatti, una modalità di gestione che consente alla Commissione europea non solo di delegare fondi anche ad uno Stato Membro per l’esecuzione di programmi di cooperazione, ma favorisce una maggiore concentrazione degli aiuti in quei Paesi partner ed in quei settori nei quali è più evidente il valore aggiunto di un donatore specifico. L’ottica è, quindi, quella della reciprocità e ottimizzazione dell’efficacia dell’aiuto. L’ammontare dei fondi Ue assegnati al ministero degli Esteri in cooperazione delegata è quasi quadruplicato nel corso dello scorso anno: siamo passati da tre programmi per un totale di 33 milioni di euro (al dicembre 2015) a 11 programmi, per un totale di quasi 130 milioni di euro (al dicembre 2016). Le ragioni di questo incremento, che conferma la fiducia che l’Ue ripone nella Cooperazione italiana, sono da individuarsi nel buon andamento dei primi programmi affidati nel 2013-14 in Egitto e Sudan nel settore agricolo e sanitario rispettivamente; nella scelta politica del nostro Paese di avere un ruolo molto profilato nei Trust Fund Ue della Valletta sulle Migrazioni e Madad in risposta alla crisi siriana, istituiti nel 2015, attestandoci da subito tra i primi e maggiori contributori; e nella determinazione e tempestività con cui abbiamo perseguito l’obiettivo della presentazione di progetti italiani. In conclusione, la cooperazione delegata contribuisce a una politica europea dello sviluppo più integrata ed efficace. Accresce la nostra visibilità di donatore e lo stesso volume delle risorse a disposizione del sistema Paese, soprattutto in settori che sono punti di forza del nostro intervento, come quelli dello sviluppo rurale e sanitario e della creazione di opportunità per i giovani. Su questi risultati è possibile oggi costruire ulteriormente, e gli sforzi della Cooperazione italiana sono rivolti in tale direzione”.

In più occasioni, Lei ha sottolineato come l’Africa offra opportunità da cogliere in quanto potenziale “grande mercato” prossimo all’Europa e all’Italia. Indicherebbe alcuni esempi di interventi virtuosi a sud del Sahara, anche alla luce della centralità che la Legge 125 attribuisce a imprese e gruppi privati?

“Lei giustamente evidenzia che la Legge 125 riconosce e valorizza l’apporto delle imprese ai processi di sviluppo e offre la possibilità di consolidare e innovare il rapporto fra cooperazione ed impresa. Il settore privato svolge un ruolo insostituibile nella crescita economica, promotore dell’occupazione, investitore nello sviluppo del capitale umano, e promotore di nuove tecnologie ed innovazione. Con la sua azione di stimolo, il settore pubblico può creare le condizioni per favorire l’intervento responsabile del settore privato nel promuovere uno sviluppo sostenibile nei Paesi partner. Tali considerazioni sono a maggior ragione valide quando pensiamo alle esigenze di sviluppo dell’Africa, che secondo le stime vedrà la sua popolazione raddoppiata nel 2050 e che ha un tasso medio di crescita del Pil pari a circa il 5%. Se il continente rappresenta per l’Europa e l’Italia una sfida in termini di sviluppo sostenibile e fenomeno migratorio, ci dobbiamo impegnare per trasformare tale sfida in opportunità. In una ottica di partnership pubblico-privata, Paesi donatori e società civile, potremo contribuire ad alleviare anche la pressione dei fenomeni delle migrazioni provenienti dall’Africa e allo sviluppo del continente. In questo contesto, i nostri progetti si concentrano sulla creazione di impiego e di possibilità economiche nei Paesi dell’Africa Sub-sahariana, che sono spesso Paesi di origine e transito di migranti. Molte delle nostre iniziative hanno ottenuto ottimi risultati in termini di sviluppo inclusivo e di sinergia tra settore pubblico e privato. Segnalo per esempio la Piattaforma d’appoggio al settore privato e alla valorizzazione della diaspora senegalese in Italia, un progetto noto come Plasepri, considerato un progetto modello. Recentemente è stata approvata la sua seconda fase, finanziata con un credito d’aiuto di 13 milioni di euro, e co-finanziata anche dall’Unione Europea e dal Governo senegalese. Crediamo che possa consolidare e migliorare i risultati della prima fase in termini di creazione d’impiego e di valorizzazione della diaspora senegalese, nell’ottica di contribuire alla prevenzione delle migrazioni irregolari. Un altro settore nel quale abbiamo ottenuto ottimi risultati, è quello del sostegno alle filiere produttive e alle piccole imprese di Paesi da noi ritenuti prioritari, quali l’Etiopia. Nella valle di Oromia, per esempio, la nostra cooperazione è tradizionalmente impegnata nel sostegno alle filiere del grano e del caffè, mentre nel giugno scorso è stato approvato un finanziamento di circa 2,8 milioni di euro all’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo sviluppo industriale (Unido) per la seconda fase di un progetto di assistenza tecnica per il miglioramento dell’industria del pellame”.

Dove corre, in Africa, il confine tra legittimo interesse privato e tutela degli interessi dei popoli? Diritti umani, lavoro dignitoso, tutela dell’ambiente sono il prisma attraverso il quale individuarlo?

“L’Agenda 2030, approvata dalle Nazioni unite nel 2015, che costituisce il documento di riferimento della Cooperazione italiana, ha riaffermato l’importanza di un approccio universale da perseguire sia nei paesi avanzati sia in quelli in via di sviluppo e tale principio orienta le scelte della nostra Direzione. I 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile mirano, infatti, ad affrontare gli ostacoli sistemici allo sviluppo sostenibile, come le disuguaglianze, i conflitti, i disastri ambientali, la violenza, in particolare quella contro le donne e le bambine, e la mancanza di un lavoro dignitoso. Uno dei punti qualificanti e nuovi dell’Agenda è, infatti, quello di includere il rispetto e la promozione dei diritti umani universali secondo il principio di ‘non lasciare nessuno indietro‘. Tale criterio implica la necessità di collegare sistematicamente, in tutti gli interventi di cooperazione, l’azione economica alla sostenibilità sociale e ambientale e costituisce il ‘prisma’ attraverso cui l’Italia intende dare il suo contributo alla partnership globale. Inoltre, l’Agenda d’azione di Addis Abeba per il finanziamento allo sviluppo chiama in causa anche la capacità del settore privato di contribuire a un modello di sviluppo inclusivo. La Cooperazione italiana, con la Legge 125, si è dotata degli strumenti per coinvolgere il settore privato attraverso schemi innovativi, in cui gli investimenti privati siano affiancati ai criteri e all’azione più generale della politica di cooperazione. Nell’attuare questi nuovi indirizzi, la Cooperazione italiana può vantare una serie di buone pratiche, realizzate soprattutto in Africa, e basate sul potenziamento dello sviluppo locale. Tali pratiche hanno dimostrato di essere particolarmente efficaci per promuovere l’empowerment economico delle donne, i diritti dei minori e il lavoro dignitoso nel contesto di un’economia sostenibile, in particolare negli Stati fragili. Inoltre, le iniziative in favore delle filiere produttive, del sostegno al settore privato e alle piccole imprese diffuse a livello locale sono tutti esempi di come una sinergia con il settore privato e per lo sviluppo del settore privato, che tenga in considerazione le esigenze delle comunità locali, possa essere un fattore determinante della riuscita di alcuni interventi di cooperazione. Uno stretto raccordo con le autorità locali e con le loro priorità politiche, inoltre, nel rispetto del principio dell’appropriazione, garantisce che le nostre attività siano in linea con i piani di sviluppo stabiliti in loco, e si inseriscano quindi in modo armonico nell’azione perseguita dai governi dei Paesi interessati. Questo ci permette di intervenire su settori che a livello locale si ritengono prioritari per il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione, con particolare attenzione ai gruppi più vulnerabili, e per la creazione di società più eque”.

di Vincenzo Giardina, giornalista professionista

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