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Wu Yuren a Roma: “Riparto dalle macerie, cerco l’umanità”

https://www.youtube.com/watch?v=WnZBL-uHQ5c&feature=youtu.be ROMA - “Roma mi piace tantissimo, ma non mi trasferirei qui. Vivere in questa città mi metterebbe troppa pressione psicologica.

Pubblicato:14-12-2018 15:48
Ultimo aggiornamento:14-12-2018 15:48

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ROMA – “Roma mi piace tantissimo, ma non mi trasferirei qui. Vivere in questa città mi metterebbe troppa pressione psicologica. Voi avete conservato le vostre antichità, e questo mi fa soffrire perché a Pechino invece non ci sono più. Arrivando qui, ho capito di essere un ‘pechinese fallito’. Altra storia è New York: moderna e caotica come Pechino. Lì mi sento a casa”. Così all’agenzia ‘Dire’ Wu Yuren, artista di origine cinese oggi residente negli Stati Uniti, dopo che il suo lavoro nel 2010 gli è costato una condanna al carcere.

Aveva protestato contro l’abbattimento dei vecchi quartieri di Pechino, conseguenza della speculazione edilizia. Con altri colleghi ha cercato di opporsi ai bulldozer che puntavano sui distretti di 008 e Zhengyang, dove si concentravano gli studi di pittori, scultori, fotografi, performer. In prigione per dieci mesi, ha denunciato di aver subito torture.


Wu è ospite del Macro Asilo di Roma, dove con la sua performance ‘The truth is concrete’, inaugura un ciclo di cinque appuntamenti al Museo di via Nizza dal titolo ‘Lezioni sulla fine del mondo. La Ri-costruzione delle città’, curata da Marta Francocci per ‘Rai Cultura’ che, insieme a Stemo production, realizzerà per ogni incontro un documentario.

La performance che Wu Yuren dona alla capitale prevede due momenti: un flash mob domani alle 11 a Piazza Bocca della verità, dove ha invitato un centinaio di persone a marciare stringendo in mano “i detriti” della città: pietre, frammenti di muro rotto, persino i resti dei crolli come quello del Ponte Morandi a Genova. Poi domenica, al Macro Asilo, una lectio magistralis alle 11. A seguire, dalle 12 alle 20, l’artista laverà gli oggetti offerti dalle persone e li userà per comporre un’opera, metafora della ricostruzione e della rinascita. “Questi materiali rappresentano il fallimento della società di oggi, sono ‘corpi rotti’, mentre chi li porta simboleggia la speranza per il futuro”.

L’immateriale passivo, che si incontra con l’umanità, attiva e senziente. “Serve forza per opporci ai poteri che cercano di opprimerci” dice il dissidente. “Le città sono fatte per gli esseri umani. Eppure non sempre funzionano. Con la mia performance voglio attirare l’attenzione su questa realtà, per capire che dobbiamo prenderci cura l’uno dell’altro”.

Per l’artista, classe 1971, ogni uomo “ha questa responsabilità”. Tuttavia, alla fine, “ci si deve salvare da soli”. Wu si definisce anarchico, ma riconosce “l’importanza delle istituzioni. In questa epoca ne abbiamo bisogno”. Salvarsi da soli, sì, ma senza rinunciare alla “rete”: “Sono stato in carcere e i miei amici si sono battuti per la mia liberazione. Tra loro anche Ai Weiwei (il più noto artista cinese al mondo, ndr). Ma anch’io ho aiutato Ai e ora mi sto battendo per Lou Quam, attualmente incarcerato nella regione dello Xinjiang per aver fotografato la realtà”.

Il governo di Pechino, denuncia Wu Yuren, “ha paura degli artisti, dei registi, degli scrittori e di chiunque racconti la verità”. E gli intellettuali dicono la verità? “Il punto non è dire la verità. Gli intellettuali devono potersi esprimere liberamente. E in Cina il governo non ci lascia spazio”.

Di recente le autorità cinesi hanno fatto proprie una serie di innovazioni – occhiali per i poliziotti per la scansione facciale, telecamere in grado di identificare le persone in base al modo in cui camminano – al fine di identificare i propri cittadini in ogni spazio pubblico.

La tecnologia dunque è nemica dell’uomo? “No, è uno strumento” risponde Wu Yuren. “Anche gli artisti ne fanno uso. Ma è vero che molti governi la usano per diventare più forti”.

In che modo deve cambiare la Cina? “Attraverso un movimento forte, dal basso, stimolato dall’educazione e la presa di coscienza. In Europa, voi vi chiedete se la democrazia e la libertà ci siano o meno. In Asia è diverso. La domanda è: ce n’è tanta o poca?”.

Un salto all’attualità recente: il movimento dei gilet gialli in Francia. “Lo sto seguendo, mi piace, sono cittadini che contestano chi li governa” dice Wu Yuren. “Ma non saprei dire se è una speranza per tutto il vostro continente…”.

L’attenzione ai fatti recenti per l’artista “è normale”. “Mi piace definirmi un internazionalista” sottolinea. “Sono un artista dissidente che mette in conto anche di rischiare il carcere per le sue idee, per difendere i diritti degli altri. Col mio lavoro parlo al mondo. Per me l’artista ha la responsabilità di occuparsi di ciò che avviene nel presente. Aiuto gli altri per aiutare me stesso, è questo che mi fa sentire libero”.

Cos’è la libertà? “La possibilità di fare arte”. Che, a sua volta, “è l’essenza dell’umanità”.
Quale messaggio per l’Italia? “L’Italia è la mia maestra, io non ho niente da dirle. Ho iniziato a fare l’artista ispirato dal Rinascimento e da figure come Michelangelo e Leonardo, ma anche da movimenti più recenti come quello dell’arte povera. In questi giorni mi trovo a parlare coi romani, sono belle persone. Si lamentano però molto della città e dei politici… Vorrei dare voce alla loro insofferenza”.

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