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Rosati (Pd): “Per Giachetti serve fronte largo, rischia di non arrivare al ballottaggio”

Antonio Rosati, esponente del Pd romano, intervistato dall'agenzia Dire fa una riflessione sul suo partito, a partire dalle primarie di domenica scorsa

Pubblicato:11-03-2016 17:50
Ultimo aggiornamento:16-12-2020 22:22

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ANTONIO ROSATI

ROMA –  L’imbarazzo per il caso delle schede bianche, un “errore molto grave” sintomo di un partito, il Pd di Roma, che vive “un malessere” e che “rischia di non arrivare nemmeno al ballottaggio”. La necessità di affrontare un congresso, a livello locale ma anche nazionale, per affrontare le sfide del futuro e riaffermare che “no, non siamo tutti uguali”.

Antonio Rosati, esponente del Pd romano, intervistato dall’agenzia Dire fa una riflessione sul suo partito, a partire dalle primarie di domenica scorsa. Fino al “rischio di trasformismo” che grava sul governo nazionale.


Sono passati ormai cinque giorni dalle primarie, ma le polemiche sulle schede e sui numeri ancora non si placano. Che cosa succede? Di che cosa sono sintomo?

“Non nascondo un certo imbarazzo. Quello delle primarie è stato un risultato deludente non tanto sul piano dei numeri, quanto del clima. Sono andato a votare in un silenzio assordante. Non c’era discussione, curiosità, dibattito tra le varie opzioni. Questo è il sintomo di un malessere profondo nel variegato popolo del centrosinistra a Roma. E penso che questa storia delle schede bianche sia stata veramente un’idiozia. Due sono le cose: o non si sanno fare bene i conti, e questo sarebbe comunque grave, oppure in maniera meschina si è cercato di gonfiare i numeri della partecipazione. Ma questo vuol dire vivere su Marte. Urge un sussulto, una discussione. Invito il commissario Orfini, che è uomo attento, ad aprire un grande dibattito nella città”.

A proposito di Orfini: “È tempo di commissariare il commissariamento affidando le gestione della campagna elettorale a un Consiglio dei Garanti”. Questa la riflessione (e proposta) di Walter Tocci. Condivide?

“Nel merito della proposta, Tocci è sempre immaginifico e, a pochi mesi dal voto, non mi convince. Ma c’è bisogno di un congresso, su questo ha ragione. Bisogna farlo subito dopo il voto, che mi auguro positivo, ma vorrei che già da ora si aprisse una discussione dentro il Pd, le associazioni e nei quartieri, chiamando persone esperte, compresi tutti coloro che hanno dato una mano negli anni passati, perché io non ci credo a questa antitesi giovane-vecchio: Veltroni, Rutelli, Tocci, Morassut o Bettini e tanti ragazzi e ragazze che ci sono. Una discussione per cercare di vincere con Giachetti, che ha passato le primarie in maniera limpida. Come possiamo aiutarlo ad arrivare al ballottaggio e possibilmente vincerlo senza ridare questa città a una destra inconcludente e corrotta o a un’esperienza del tutto ignota, e in alcuni casi dilettantesca e anche di censo, come quella grillina?”.

Dunque anche lei, come ha fatto Morassut subito dopo l’esito delle primarie, sosterrà Giachetti come candidato unico del centrosinistra.

“Assolutamente sì. Giachetti è una persona perbene e ha vinto in maniera chiara le primarie. E tutti noi abbiamo un dovere, finché siamo dirigenti e militanti di questo partito, che però sta vivendo un malessere, così come la politica. Ecco perché l’errore delle schede bianche, volontario o no, è molto grave perché alimenta l’idea di una politica furba, che tenta sempre mezzucci e scorciatoie, come se gli italiani fossero stolti. Questo è insopportabile e non ricrea un clima di nobiltà intorno alla politica, ma soltanto di fastidio, alimentando il fatto che siamo tutti uguali”.

 Tuttavia, non sembra che tra gli obiettivi di Giachetti ci sia quello di allargare il campo. Tant’è che ormai sono sempre più insistenti voci di altre candidature, da Massimo Bray a Ignazio Marino.

“Credo che Giachetti sia cosciente, come lo era anche Petroselli, che lui ha omaggiato con un gesto che mi è piaciuto molto, che non si può governare questa città senza un fronte molto largo. Il centrosinistra può essere guida di un grande schieramento in grado di andare dalle tantissime realtà cattoliche addirittura ai centri sociali, che in alcuni casi sono un’esperienza di aggregazione nei quartieri e di lotta alla droga, di educazione alimentare e anche di offerta civica. Si tratta di un campo larghissimo, ma la sfida delle città come Roma oggi è questa: essere il paradigma di una grande visione del mondo. Mi auguro che di questo Giachetti faccia tesoro, ma sono convinto, e voglio sperare, che ci sorprenderà. D’altro canto, una candidatura della sinistra, pur legittima, avrebbe il senso di guardare a un’idea un po’ onnipotente di se stessi. Certamente il Pd non deve essere arrogante, perché nelle condizioni date rischiamo addirittura di non arrivare al ballottaggio. Se davvero abbiamo a cuore gli interessi della città, e in particolare dei meno abbienti, dobbiamo raccogliere quella eredità che ci insegna che prima viene il progetto, l’idea, e poi le eventuali bandiere. E io su questo ho fiducia”.

Tornando alla necessità di un congresso, nelle ultime ore c’è chi paventa la nascita di forze nuove che nel Pd non trovano più spazio. È necessaria una riflessione anche a livello nazionale?

“Il Partito democratico ha bisogno, in particolare a Roma, ma in Italia, di capire come attrezzarsi per le grandi sfide contemporanee dei prossimi anni. Sì, c’è bisogno di un congresso. Certamente Renzi ha smosso la situazione della stantia politica italiana, come dimostra un documento per Europa che il governo ha prodotto e che considero uno dei testi più a sinistra degli ultimi anni per quella che deve essere una nuova Europa, unita e più giusta. Ma avverto anche il rischio del trasformismo. Perché un conto è usare i voti di Verdini e di una parte della destra per far passare le unioni civili e per raggiungere cose importanti. Non è uno scandalo, in Parlamento si è sempre fatto. Un altro conto, però, è correre il rischio di avverare il disegno di Verdini, nemmeno troppo nascosto, di costruire un partito di Centro un po’ trasformista, senza anima e senza idee. In questi mesi, Renzi ha guardato molto al ceto medio impoverito e alla classe imprenditoriale. E credo sia stato giusto. Tuttavia, per fare un omaggio alle ‘liste’ di Umberto Eco, credo che il Pd sia anche la forza politica che guarda a coloro che non hanno voce: le segretarie, le guardie giurate, gli infermieri, gli insegnanti, gli operai, gli elettricisti, i camerieri. Persone che costruiscono le proprie speranze intorno al lavoro, ma che vedono le loro condizioni materiali minacciate da una disuguaglianza sempre più acuta. Magari ci può essere il Renzi di turno – per carità, in gamba e brillante – ma queste persone hanno bisogno di una prospettiva. Ecco perché è necessario fare il congresso, perché anche Renzi deve capire che abbiamo bisogno di una politica non transitoria né trasformista, ma che sia una grande forza di progresso immediatamente riconoscibile. Tale per cui ai Verdini di turno non possa mai venire il dubbio di diventare un iscritto al Partito democratico”.

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