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Pasticcetto tedesco in salsa partitica

Paolo Pombeni per www.mentepolitica.it   Adesso sembra si sappia qualcosa di più sul sistema elettorale che la larga

Pubblicato:05-06-2017 17:04
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 11:18

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Paolo Pombeni per www.mentepolitica.it

 


Adesso sembra si sappia qualcosa di più sul sistema elettorale che la larga coalizione di chi vuole andare presto al voto vorrebbe far passare. Che poi questo sia l’approdo finale si vedrà: non solo per imboscate parlamentari ed altro, ma anche per un po’ di scogli tecnici su cui al momento si sorvola.


La questione di fondo è però una sola: la proposta presentata dall’on. Fiano è una riprova della miopia di una classe politica stupidamente chiusa in sé stessa. Essa infatti punta semplicemente alle elezioni come una specie di sondaggio di opinione formalizzato per sapere quale sia la quota di consenso che raccoglie ciascun gruppo politico. Questo è l’unico diritto che viene riconosciuto all’elettore. Tutto il resto lo faranno le segreterie e i vertici dei partiti.

Si è confezionato un meraviglioso assit al M5S che deve solo approfittarne senza pagare alcun pegno. Infatti esso potrà, grazie a questa legge, fabbricarsi il gruppo parlamentare che più gli aggrada (a meno che qualche ingenuo non creda davvero alle “parlamentarie”), ma al tempo stesso presentarsi come l’unico gruppo “pulito” perché esente dal mercato che sta alla base dell’accordo su cui si basa questa legge. I pentastellati, che non sono da tempo più quel partito di ingenui principianti che apparivano alle origini, hanno già capito tutto e infatti hanno iniziato una campagna elettorale in cui presentano sé stessi come l’unica alternativa a tutti gli altri, a capo dei quali starebbe Renzi.

Paradossalmente questo sembra stare bene anche al segretario del PD che punta su un confronto bipolare fra lui e M5S, nella convinzione che alla fine la gente non può buttarsi nelle mani dell’avventura grillina e dunque confluirà su di lui. Qualcuno dovrebbe spiegare a Renzi che questa è una sua illusione, fondata sul mito dell’elettore razionale, che, ahimé, è una specie piuttosto rara. Per di più sottovaluta che i vertici di M5S ormai da tempo hanno iniziato una azione di accreditamento presso tutti quei ceti dirigenti che delle vocazioni partitocratiche rinascenti hanno paura (e talora rigetto). Perché è inutile girarci attorno: fra quelli a cui comunque sta bene la confusione politica attuale e quelli che non si fidano di nuove stabilizzazioni che appaiono piuttosto vampiresche, tanto poco sono capaci di guardare oltre i loro cerchi più o meno magici, c’è una quota rilevante di ceti dirigenti che è disposta a fare aperture di credito al movimento del duo Grillo-Casaleggio.

E dire che i partiti avevano in mano una buona carta per cercare di ricostruire quel rapporto con la società civile che è il loro punto debole: consentire un vero uso del voto per i candidati di collegio. Come si sa, nella bozza presentata non solo non c’è il voto disgiunto, cioè la possibilità di votare in maniera diversa per candidato dell’uninominale e lista nella quota proporzionale, ma addirittura i capilista di quella quota vengono prima dei candidati di collegio nella assegnazione dei seggi. Aggiungiamoci che, per stare nel sicuro, un candidato può presentarsi in un collegio ed essere capolista in altre tre circoscrizioni e comprendiamo subito che è tutto strutturato per ridurre, come dicevamo all’inizio, il voto ad una vaga scelta di schieramento a prescindere dalla classe politica che la gestirà.

Si capisce benissimo che i partiti hanno voluto evitare due rischi. Togliendo il voto disgiunto, quello per cui il voto potrebbe andare ad un candidato più appealing di quello presentato dalla lista verso cui normalmente si orienterebbe l’elettore, si è impedito di mettere a rischio i propri consensi. Si è visto in pratica come a volte questo sia successo nelle elezioni dei sindaci (si ricordi il famoso caso di Guazzaloca). Con una classe politico-partitica che non è esattamente al top nel giudizio del pubblico il problema non era piccolo, fra l’altro perché avrebbe costretto i partiti a selezionare candidati con un forte patrimonio di consensi propri. Facendo poi prevalere i capilista sui candidati di collegio ci si è assicurati che in ogni caso anche l’eventuale presenza di qualche personalità rilevante che nonostante tutto emergesse dai collegi venga annegata in una compagine parlamentare di fedeli alle logiche del sistema-partito (sulla fedeltà ai capi del momento è bene andare cauti: quelle sono fedeltà che si dissolvono facilmente non appena i capi perdono il loro potere).

Se a questo quadro si aggiungerà poi una prevedibilmente sgangherata campagna elettorale condotta a cavallo fra gli ombrelloni e il ritorno a scuola (cioè alla vita normale delle famiglie) non ci sembra ci sia da aspettarsi buone cose. Fra il resto Renzi si è dimostrato già nel referendum costituzionale un cattivo stratega della comunicazione, quando non ha capito che a buttarla sul populismo (riduciamo le poltrone e via dicendo) dava vantaggio a quelli che come populisti sono più credibili.

L’arma chiave antigrillina è del resto spuntata, perché sostenere che consegnare il paese a loro sarebbe un’avventura rischiosa suona un po’ buffo nel momento in cui non si sa se consegnandosi a Renzi davvero si evitino gli azzardi che vengono da un programma confuso e da una squadra almeno in parte piuttosto discutibile.

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