NEWS:

VIDEO | Non solo profitto, con Hera le imprese riflettono sul proprio scopo

"Alla ricerca del purpose", sostenibilità per dare senso al business

Pubblicato:07-11-2019 17:13
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 15:56

FacebookLinkedInXEmailWhatsApp

BOLOGNA – Perché esiste un’azienda? Per fare soldi, generare profitto. Basta? Non più. “Cosa c’è oltre il profitto?”. HerAcademy, la corporate university della multiutility, prova a dare un risposta con il convegno “Alla ricerca del purpose”, perché non di soli utili e margini vivono oggi le imprese, che hanno bisogno anche di capire qual è il loro posto nel mondo, il loro ruolo nel contesto sociale e quale contributo possono dare allo sviluppo sostenibile della società attraverso nuovi modelli di business, possibilmente circolari e inclusivi, che piacciono, peraltro, anche agli investitori.

“Credo che il tema sia nato da una spinta che arriva dall’esterno. Attorno a noi c’è un po’ sfiducia nelle istituzioni tradizionali e la gente guarda alle imprese come a dei soggetti a cui chiedere risposte alle sfide che abbiamo di fronte, che sono quelle di natura ambientale, ma anche quelle di natura sociale, economica, tecnologica rispetto ai rischi di una divisione all’interno del tessuto sociale. Le imprese hanno la necessità e il dovere di provare a ragionare su queste tematiche”, spiega l’amministratore delegato di Hera, Stefano Venier, a margine del convegno, al quale hanno partecipato esponenti del mondo delle imprese e ricercatori.












Precedente
Successivo

Le caratteristiche di un’azienda che si interroga sul suo scopo

Che caratteristiche deve avere un’azienda che si interroga sul proprio ‘purpose’, sul senso di quello che fa? “Sono quattro. La prima è un orientamento al futuro: il purpose è un progetto rispetto al futuro, un progetto di cambiamento dell’interno dell’organizzazione e del rapporto con i clienti”, chiarisce Luca Solari dell’Università degli studi di Milano. Il secondo elemento di ‘purpose’ “è la capacità di capire che è un processo continuo, continua a cambiare nel rapporto con il contesto e con gli stakeholder. In terzo luogo deve essere autentico, non può essere costruito da un’agenzia di marketing, deve essere parte del modo in cui l’azienda vive in maniera diretta il rapporto con i portatori d’interesse. Infine, il purpose ha senso solo nel rapporto con altri, dentro e fuori dell’organizzazione”, continua Solari.

“Nel caso di una multiutility questa spinta è ancora più forte, ed è partita nel nostro caso da molto lontano, e deriva dalla sua presenza nel territorio, dal suo radicamento, dalla necessità, lavorando con elementi essenziali come l’acqua, l’energia e la materia, di trovare delle risposte per le generazioni future. Lo facciamo promuovendo un utilizzo intelligente delle risorse”, rivendica Venier.

Il ‘purpose’ dell’Osteria Francescana di Massimo Bottura

Anche l’Osteria Francescana dello chef stellato Massimo Bottura ha un ‘purpose’ che va oltre la rincorsa alle stelle Michelin. E’ nato così Food for soul, un progetto avviato con l’Expo di Milano, quando Bottura, assieme a decine di chef da tutto il mondo, ha aperto un refettorio per i poveri dove venisse servito il cibo non utilizzato nei sei mesi dell’esposizione universale. “Abbiamo iniziato nel 2015 a Expo a creare i primi refettori e abbiamo continuato. Adesso ne abbiamo sette in giro per il mondo e cantieri dall’America al Messico per creane altri. Abbiamo scoperto che la cucina è fatta di ingredienti e idee, ma sopratutto di persone, il purpose dà identità a un’azienda, a tutte le persone che ci lavorano”, racconta Lara Gilmore, moglie dello chef modenese e presidente di Food for soul, relatrice al convegno di Hera Academy. 

Una delle sfide per le aziende che provano a dare un senso al loro lavoro è quello di convincere l’opinione pubblica che non si tratta solo di operazioni di marketing. “Io credo che la risposta sia nella serietà e nella trasparenza nel riportare quello che facciamo. Si migliorano le cose che si misurano. Noi misuriamo da tempo, rendicontiamo. Per esempio, spieghiamo che abbiamo ridotto l’impronta di carbonio del 16% lo scorso anno, ridotto i consumi energetici del gruppo del 4%. Tutti i nostri clienti ricevono energie rinnovabili, elementi fattuali che servono a spiegare ai cittadini che molte aziende fanno sul serio”, sottolinea ancora Venier, ricordando l’impegno di Hera sul tema del riciclo della plastica. E fare sul serio accresce anche l’appeal nei confronti di potenziali investitori.

Sandri: “Una ‘licenza sociale’ aiuta a mantenere un business più in salute”

“Le aspettative da parte dei consumatori stanno evolvendo. L’aziende devono avere, dunque, un sorta di ‘licenza sociale‘ per poter operare e senza questo riconoscimento sociale non sono in grado di riuscire a mantenere una sostenibilità dei loro profitti. Da lì arriva l’importanza dello scopo di un’azienda. Il purpose che cos’è? E’ il motivo per cui un’azienda esiste, è il motore che determina il modo in cui l’azienda si muove e genera profitti in maniera sostenibile. E questa è una cosa sempre più valida sul mercato. Lo vediamo nelle performance delle aziende in cui investiamo: quelle più attente a questi aspetti, che non guardano solo alla trimestrale, riescono a mantenere un business più in salute e profitti nel lungo periodo”, certifica Giovanni Sandri, managing director di BlackRock Italia.

Tommasi di Vignano: “Al centro del workshop le politiche aziendali e i temi di attualità.”

“Questo è l’undicesimo workshop che facciamo qui e i temi si sono sempre collocati tra le politiche aziendali e i temi di attualità. Siccome proprio la caratteristica delle politiche di finalizzazione dell’attività aziendale riguarda l’insieme degli stakeholder, tra questi, una delle categorie fondamentali e destinatarie della nostra azione, è proprio quella dei lavoratori”, tira le somme il presidente di Hera, Tomaso Tommasi di Vignano. “Hera è nata dall’aggregazione di 11 municipalizzate per superare la situazione negativa di eccesso di frammentazione del settore, anche in rapporto con la situazione degli altri paesi dell’Europa occidentale. Eravamo in ritardo, possiamo dire che siamo ancora in ritardo, ma di strada ne abbiamo fatta molta. Direi che una buona parte di quel percorso di aggregazione è stata realizzata. Oggi siamo la più grande azienda italiana per capitalizzazione”, conclude.

Le notizie del sito Dire sono utilizzabili e riproducibili, a condizione di citare espressamente la fonte Agenzia DIRE e l’indirizzo www.dire.it