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Iraq, la reporter Hasan: “Guerra e crisi, ma i giovani sono speranza di pace”

Da domenica, nella capitale si susseguono le manifestazioni di protesta, convocate dai giovani a un anno di distanza da analoghe marce antigovernative e dagli scontri nei quali persero la vita 600 persone.

Pubblicato:30-10-2020 17:59
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 20:09

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ROMA – “L’unica speranza per l’Iraq sono i movimenti giovanili: in questo anno si sono evoluti e ora invocano un cambiamento radicale nel sistema politico iracheno e nella gestione di economia e servizi, come scuola e sanità. Vogliono al più presto nuove elezioni da tenersi sotto la supervisione delle Nazioni Unite. Vogliamo lavoro, pace e libertà di espressione”. Sanar Hasan è una giornalista di 26 anni di Baghdad. L’agenzia Dire l’ha contattata mentre, da domenica, nella capitale si susseguono le manifestazioni di protesta, convocate dai giovani a un anno di distanza da analoghe marce antigovernative e dagli scontri nei quali persero la vita 600 persone.

Solo nel primo appuntamento di domenica, ci sarebbero stati oltre 40 feriti nei disordini tra dimostranti e forze di sicurezza. Sospettati per le violenze gruppi sciiti che, nel Paese, rappresenterebbero un potere parallelo.

“A Baghdad – continua la giornalista – i miliziani sono ovunque, a volte seguono noi giornalisti, soprattutto se siamo donne, perché sono contrari all’emancipazione femminile. C’è poi la crisi economica, che non fa che peggiorare. I problemi in questo Paese sono tanti e molti sperano nella vittoria di Donald Trump alle presidenziali americane: è ritenuto l’unico in grado di fermare l’Iran, il Paese che finanzia le milizie”.


Secondo la reporter, il sostegno all’amministrazione Trump è dovuto anche all’uccisione a gennaio scorso all’aeroporto di Baghdad, da parte di un drone americano, del generale iraniano Qasem Soleimani nonché di Abou Mahdi Al-Mouhandis, numero due della Al-Hashd Ash-Sha’bi (Unità di mobilitazione popolare), un’organizzazione integrata nell’esercito iracheno che raduna una quarantina di gruppi armati, per lo più di orientati all’islam sciita. Un attacco sanzionato da più voci della comunità internazionale come “guerrafondaio” e “pericoloso”, ma che in Iraq gode in parte di sostegno.

“Ne va della libertà”, prosegue la giornalista, spiegando che in Iraq “chiunque esprima una voce contraria, denunciando governo o milizie di corruzione e violenze, rischia la vita”. Ad esempio, “sebbene l’omosessualità non sia reato, la comunità Lgbt in Iraq è soggetta a persecuzioni, spesso proprio per mano dei gruppi armati sostenuti dall’Iran”. La cronista avverte: “Anche attivisti e giornalisti devono fare i conti con gli stessi rischi. Le donne sono un altro bersaglio perché i miliziani sanno che se le donne si emancipano diventerà impossibile mantenere il controllo sulla società”.

Al conflitto che, dopo quasi 20 anni dalla caduta di Saddam Hussein ancora non si esaurisce, si aggiungono le difficoltà economiche: “Un giovane laureato non ha la garanzia di trovare lavoro” spiega Hasan, convinta che i politici siano incompetenti. “Se sapessero gestire il settore agricolo, le infrastrutture o il sistema fiscale – denuncia – lo Stato avrebbe molti più introiti e invece ancora dipendiamo unicamente dal petrolio, il cui prezzo, a causa della pandemia di Covid-19, è crollato, aggravando la crisi”.

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