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Etiopia, dal Tigray alla diga Abiy rischia tutto

Intervista a William Davidson, esperto del centro studi International Crisis Group

Pubblicato:30-07-2021 15:27
Ultimo aggiornamento:30-07-2021 15:49
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ROMA – “Aprire un corridoio di approvvigionamento con il Sudan è un obiettivo strategico per il Fronte popolare di liberazione del Tigray”: William Davidson, esperto del centro studi International Crisis Group, in un’intervista con l’agenzia Dire allarga lo sguardo dall’Etiopia al Corno d’Africa e oltre.

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William Davidson

Il conflitto armato, preparato dalle elezioni convocate dal Tplf a settembre ed esploso due mesi dopo con l’offensiva dell’esercito federale di Addis Abeba, sta avendo ripercussioni dal Mar Rosso al Mediterraneo. Oltre al Sudan c’è anche l’Egitto, osservatore degli scontri nel Tigray tutt’altro che disinteressato. Il nodo non è solo la terra. In gioco c’è l’acqua, la posta della Diga della rinascita etiope. L’impianto è stato costruito sul corso del Nilo azzurro dal gruppo italiano WeBuild su commissione del governo di Addis Abeba a 15 chilometri dal confine con il Sudan.

L’Etiopia sostiene di voler elettrificare i suoi distretti rurali, creando sviluppo sociale e vendendo energia anche all’estero. I Paesi a valle, il Sudan e soprattutto l’Egitto, non ci stanno: rivendicano la loro quota di acqua sulla base di un trattato del 1959, denunciando qualsiasi tentativo di alterare la portata del fiume in modo unilaterale.


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“La Diga è un fattore complicante anche se non esiste un legame diretto con il conflitto nel Tigray” osserva Davidson. “Sono peggiorati in particolare i rapporti tra l’Etiopia e il Sudan, per il nuovo sbarramento e pure per i contenziosi sul cosiddetto Triangolo di Fashaga, una zona al confine percorsa da milizie e rivendicata da Khartoum”.

I dissapori internazionali sulla Diga sarebbero un’occasione per il Tplf, passato al contrattacco nel Tigray, riconquistando il capoluogo Macallè a fine giugno e costringendo al ritiro le truppe federali. Secondo Davidson, “il Fronte vuole riprendere il controllo dei distretti occidentali della regione dove adesso sono posizionate milizie delle comunità amhara alleate di Addis Abeba”.

La tesi dell’esperto è che in questo modo il Tplf potrebbe garantirsi l’apertura di un corridoio di approvvigionamenti dal Sudan e magari anche oltre, persino dall’Egitto. “A oggi non ci sono prove che Il Cairo sostenga i ribelli tigrini” premette al riguardo Davidson. Convinto che però ad Addis Abeba sia diffusa la percezione che sia l’Egitto sia il Sudan conducano “una guerra per procura” non solo in Tigray ma anche nel Benishangul-Gumuz, la regione dove sorge la Diga.

Viste queste premesse, c’è il rischio di una “guerra mondiale africana”? “Uno scenario improbabile” risponde Davidson. “Egitto e Sudan sono in una posizione di debolezza, possono aggravare la destabilizzazione nell’immediato ma in una prospettiva di lungo periodo dovranno cercare di rafforzare la cooperazione con l’Etiopia”.

Pochi giorni fa Addis Abeba ha annunciato la fine di una seconda fase di riempimento dell’invaso della Diga, con la possibilità di attivare due turbine per produrre elettricità. La velocità delle operazioni è tema controverso. Il Cairo e Khartoum temono che ritmi troppo rapidi rischino di compromettere la possibilità di ripristino e la fertilità dei suoli agricoli, privati di acqua e limo.

Molto dipenderà anche dagli sviluppi politici in Etiopia. “Il primo ministro Abiy Ahmed è sotto pressione” annota Davidson. “Ha vinto le ultime elezioni ma, tre anni dopo il Nobel per la pace, ha di fronte la sfida militare dei tigrini”.

L’ONU E GLI USA PREMONO PER PORTARE AIUTI NEL TIGRAY

La prossima settimana la responsabile dell’Agenzia statunitense per la cooperazione allo sviluppo (Usaid), Samantha Power, sarà in Etiopia per incontrare le autorità di governo nel tentativo di negoziare una soluzione alla crisi umanitaria del Tigray. Nella regione, da ormai nove mesi, prosegue un conflitto che secondo le agenzie delle Nazioni Unite e diverse ong internazionali, ha spinto alla fame 400.000 persone.

I responsabili del World Food Programme (Wfp) hanno denunciato che i propri convogli non riescono a portare gli aiuti alimentari alle popolazioni del Tigray a causa dei combattimenti, mentre un proprio convoglio è stato attaccato a inizio luglio.

Sempre con l’obiettivo di portare sollievo alle popolazioni locali, ieri ad Addis Abeba è arrivato anche Martin Griffiths, sottosegretario generale per gli Affari umanitari delle Nazioni Unite e coordinatore degli aiuti di emergenza, il quale ha denunciato che i bisogni umanitari della popolazione stanno aumentando a causa del conflitto, che intanto si starebbe espandendo. Ieri, media internazionali hanno riferito che nella vicina regione di Amhara si stanno intensificando gli scontri tra l’esercito federale, sostenuto dalle truppe dell’Amhara, contro i miliziani del Tigray. Questo nonostante il governo dell’Etiopia abbia proclamato un cessate il fuoco unilaterale a giugno.

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