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A Rimini riapre il teatro Galli, luogo simbolo della città. Il racconto degli ultimi 30 anni

In scena la Cenerentola di Gioacchino Rossini: tanti riminesi hanno affollato piazza Cavour per guardarla sul maxischermo

Pubblicato:29-10-2018 20:20
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 13:43
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RIMINI – Rimini ricuce una frattura lunga 75 anni. La riapertura di ieri sera del teatro Galli, con la Cenerentola di Gioacchino Rossini magistralmente interpretata da Cecilia Bartoli, dai Les Musiciens du Prince e dal Coro dell’Opera di Montecarlo diretti da Gianluca Capuano, restituisce alla città un luogo simbolo, devastato dai bombardamenti alleati della Seconda guerra mondiale. Era il 28 dicembre del 1943 e sono seguiti 75 anni di silenzio.

Un silenzio interrotto dalla voce di Luciano Bagli, nato proprio nel giorno dei bombardamenti. È lui il primo a salire ufficialmente sul palco del rinato teatro Galli. Piena la platea, i palchi e il loggione. Gremita, fuori, piazza Cavour, da una folla composta ed emozionata di riminesi che non sono voluti mancare al momento storico della ricucitura.

“Non ho particolare meriti se non questo per essere qui. Avevo poche ore di vita e nessuna certezza del futuro”, non si lascia vincere dall’emozione Bagli, come invece succede al sindaco Andrea Gnassi appena sale sul palco per il suo saluto. “Chiudiamo per sempre un capitolo della nostra storia”, qui a Rimini dove “abbiamo trasformato la polvere nel sogno di milioni di italiani”. Ma dove “rimaneva anche un groppo in gola: oggi riconciliamo la comunità con la storia”.


Commozione ma anche un “coup de theatre”: mentre il primo cittadino spiega il dialogo tra teatro e rocca malatestiana una finestra si apre nel retropalco sulla torre medievale, sottolineato dall’ “oohhh” e applauso del pubblico. “Facciamo pace con chi siamo stati e con chi ci siamo dimenticati di essere stati- prosegue Gnassi- torna la musica, anche se la fiammella non si era mai spenta: il Galli è ritrovato e la città, come un teatro, è un’opera corale”.

Gli occhi vanno al soffitto, agli stucchi, all’oro, ai grifoni, a una “livrea all’italiana fatta con le mani e con il cuore”. Anche se poi è “un teatro di pellicce e anfibi”, sorride, “di spazi” perché “l’obiettivo più ambizioso è farne il motore di un quadrante della città”.

Questa riapertura, torna a commuoversi Gnassi, “ci dice che dobbiamo sempre ritornare a guardare il cielo. Oggi Rimini ritrova la sua identità, la sua memoria, per andare più solida nel futuro”. D’altronde come diceva Federico Fellini, “Tutto si immagina”. In platea le autorità cittadine e non solo. Il presidente della Regione, Stefano Bonaccini, che non ha fatto mancare il sostegno economico.

É una delle più belle giornate del mio mandato. Per Rimini, l’Emilia-Romagna e l’Italia intera una serata straordinaria. Sono davvero contento e orgoglioso”. Anche perché “di cultura si può mangiare, si creano posti di lavoro. In un’epoca in cui prende applausi chi alza muri ci salveranno bellezza e cultura”.

Diventano protagonisti gli artisti, a partire dalla star della lirica Cecilia Bartoli, lungamente applaudita durante e al termine del melodramma. Nel foyer alla cinquantina di appassionati che l’aspettano sottolinea più volte la perfezione dell’acustica: “Un’emozione unica, un’atmosfera magica”, commenta.

Tantissimi riminesi hanno voluto sentirla, entrando a teatro, aperto dalle 17, e affollando piazza Cavour per guardare lo spettacolo dal maxischermo, anche grazie a una tregua concessa dalla pioggia. E i molti quella emozione l’hanno poi condivisa, e la stanno condividendo, sui social, invasi da foto dentro e fuori dal teatro. Una festa dei riminesi e per i riminesi che apre una nuova storia, con l’attesa ora per le prossime “due prime”: il 3 novembre con Roberto Bolle e il 10 e 11 dicembre con il Simon Boccanegra diretto da Valery Gergiev.

di Cristiano Somaschini

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Dalla gara dell’85 al ‘com’era-dov’era’, 30 anni di teatro Galli

Bisogna tornare indietro di oltre trent’anni per ricostruire la storia recente del Teatro Amintore Galli di Rimini oggi, a 75 anni dai bombardamenti alleati che distrussero il 90% di sala e palcoscenico. Con l’inaugurazione di ieri sera arriva dunque il lieto fine per il teatro intitolato fino al ’47 a Vittorio Emanuele II, inaugurato nell’estate del 1857 (con l’Aroldo di Verdi scritto ad hoc, fu la sua prima rappresentazione in Emilia-Romagna) e attivo fino al 28 dicembre del ’43 nel solco del progetto del modenese Luigi Poletti: una sala all’italiana con tre ordini di 23 palchi ciascuno e balconata, per una capienza di 800 spettatori (adesso saranno 850).

Il sipario che si è riaperto ieri restituisce a Rimini e all’Italia un presidio culturale e un pezzo d’identità grazie a un cantiere da oltre 36 milioni di euro (31,7 comunali) voluto e concretamente ripartito nel 2014, dopo una lunga attesa, e che nel frattempo, tre anni fa, aveva già riaperto alla città il foyer (intanto, prosegue il percorso triennale col ministero per il riconoscimento dello status di teatro di tradizione, in un piano che coinvolge anche l’Alighieri di Ravenna e il Comunale di Bologna).

Di fatto bisognava rifare i conti con lo scenario del dopoguerra, quando alle demolizioni frettolose che si abbatterono sul teatro, fino al 1959, sopravvissero solo la facciata e una parte del foyer. Fu l’epoca forse più controversa per il Galli: nella parte danneggiata sorse un capannone adibito ad altri scopi (palestra, salone fieristico…) e fino agli anni ’70 altri interventi di ‘restauro’ compromisero l’avancorpo dell’edificio. Ma appunto è nel 1985 che il Comune bandisce il ‘concorso di idee’ dal quale spunta fuori il progetto modernista dell’architetto Adolfo Natalini.

Troppo modernista, evidentemente, visto che innesca, 15 anni dopo, una mobilitazione di migliaia di cittadini. Sostenuta dall’associazione di esperti ‘Rimini città d’arte’, la battaglia contro un progetto cambiato quasi 10 volte rispetto alla sua versione iniziale si incentra sui vincoli a tutela di Castel Sismondo, che non sarebbero rispettati, e sull’opera neoclassica del Poletti, più in generale. Era già passato il concetto ‘com’era-dov’era‘, insomma, e infatti ecco che nel 2001 il sottosegretario ai Beni culturali Vittorio Sgarbi affida la pratica alla sovrintendenza regionale. È un passaggio chiave per il destino del Galli.

Entrano in scena gli architetti Elio Garzillo e Pier Luigi Cervellati, che come consulente confeziona nel 2004 un piano di ripristino filologico, rigoroso e pesante 18,1 milioni di euro, e lo regala al sindaco Alberto Ravaioli l’anno dopo. È in fondo lo stesso piano che è arrivato in porto oggi (anche se Cervellati ha già avuto modo di dire che lo considera una brutta copia del suo e che il ‘com’era-dov’era’ si sarebbe snaturato). Già nel 2009, in ogni caso, i costi totali sfiorano quota 30 milioni. Sulla carta, la sala neoclassica viene modificata e ospita 50 posti in più, la torre scenica si alza, si ‘sprofonda’ nel sottosuolo dove infatti spuntano significativi resti romani (inclusi nel progetto in progress del museo storico-archeologico assieme al Galli Multimediale). I soprintendenti dicono che bisogna tornare alla sala polettiana e ritoccano la torre, ma nel sottosuolo e su Castel Sismondo si procede.

La gara d’appalto entra nel vivo nel giugno 2011, Andrea Gnassi è diventato sindaco da poche settimane ma ha già deciso di spingere a tutta forza e investire sul Galli, d’intesa con la Regione e secondo quella “idea di città” tanto cara all’attuale amministrazione, tra tradizione e innovazione. Si arriva al 2014, l’anno del rilancio, ma cade una tegola: la crisi morde ancora, nell’edilizia in particolare, e travolge la coop Cesi, protagonista dei lavori.

In luglio, tuttavia, si raggiunge l’accordo per un distacco dei lavoratori assegnati al cantiere del Galli all’altra azienda dell’associazione di imprese che aveva vinto l’appalto, Coop Costruzioni, e si procede poi a novembre con la Cmb di Carpi non senza difficoltà, visto il ricorso dello studio Formae. A settembre dell’anno dopo viene restituito il foyer, nel 2016 si comincia a posare il tetto della sala, nel 2017 si perfezionano decori e acustica. Fino a oggi, a un passo dal grande giorno.

di Luca Donigaglia

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