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Sedicimila anelli vaginali contro l’Hiv per le donne del Sudafrica

Il direttore del Fondo globale per la lotta all'Aids, Peter Sands, alla Dire: "Proteggere è decisivo"

Pubblicato:29-09-2023 14:52
Ultimo aggiornamento:29-09-2023 17:45
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ROMA – Sedicimila anelli per le donne del Sudafrica. Non in metalli preziosi ma in silicone; e forse ancora più preziosi perché tutelano la salute, proteggendo da un possibile contagio da Hiv.
“Si tratta di anelli vaginali Dapivirina e il loro acquisto consente di utilizzare un dispositivo di protezione importante” sottolinea in un’intervista con l’agenzia Dire Peter Sands, londinese, ex banchiere dal 2017 direttore del Fondo globale per la lotta all’Aids, alla tubercolosi e alla malaria. La missione dell’organizzazione, che ha base a Ginevra, è combattere le tre malattie e supportare i sistemi sanitari dei Paesi più fragili del mondo.

La prospettiva è il diritto alla salute, riferimento chiave per gli Obiettivi di sviluppo sostenibile fissati dall’Onu nell’Agenda 2030. La notizia, quella degli anelli, è invece di oggi. I 16mila dispositivi sono stati acquistati grazie al supporto del Fondo globale da tre organizzazioni locali: Aids Foundation South Africa, Beyond Zero e Networking Hiv & Aids Community of Southern Africa.

“Nella lotta contro l’Aids abbiamo ottenuto grandi progressi grazie alle cure antiretrovirali, che permettono a tante persone con l’Hiv di vivere a lungo e di essere felici” sottolinea Sands. “Dobbiamo però fare progressi anche sulla prevenzione; e l’annuncio che giunge dal Sudafrica è un passo in questa direzione, perché l’anello vaginale Dapivirina permette alle donne di proteggersi in modo molto efficace”.


Il dispositivo è stato raccomandato dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) nel 2021. In seguito ha avuto il via libera di autorità locali e regionali, dall’Agenzia europea del farmaco (Ema) ai governi di Paesi africani come Botswana, Kenya, Ruanda, Uganda, Zambia e Zimbabwe.

COME FUNZIONA L’ANELLO CONTRO L’HIV

L’anello rilascia gradualmente per circa 28 giorni un antivirale in grado di proteggere dal rischio di contrarre l’Hiv durante un rapporto sessuale. Secondo Sands, offre alternative ad altri metodi di profilassi, come l’assunzione di farmaci per via orale, consentendo di intercettare bisogni differenti, garantendo tutele e magari anche una riservatezza maggiore. “Bisogna considerare i contesti nei quali vivono le persone a rischio, che siano adolescenti, giovani o comunità particolarmente vulnerabili” sottolinea il direttore. “Le situazioni possono essere molto varie tra loro e per questo è importante avere più strumenti a disposizione, in modo che si possano adattare alle esigenze di ciascuno”.

Il Sudafrica è il Paese al mondo più colpito dall’Hiv, con circa otto milioni di persone che vivono con il virus. Il numero delle infezioni nel 2022, circa 160mila, resta il più elevato a livello internazionale ma è comunque in calo rispetto al passato.

Progressi sono stati segnati dal Fondo globale anche in un rapporto pubblicato questo mese. Secondo lo studio, tra il 2002 e il 2022 nei Paesi dove l’organizzazione investe i decessi legati all’Aids sono diminuiti del 72 per cento. Sempre dal 2002, programmi sostenuti dal partenariato del Fondo avrebbero permesso di salvare 59 milioni di vite. E dal 2002 sarebbe stato possibile ridurre del 55 per cento il tasso di mortalità dovuta ad Aids, tubercolosi e malaria.

Secondo Sands, però, “sfide come i cambiamenti climatici e i conflitti armati nonché le disuguaglianze sempre più profonde e la crescente minaccia ai diritti umani hanno messo sempre più a rischio l’obiettivo di porre fine alle epidemie entro il 2030”. La ricetta, sottolinea il direttore, è “continuare a investire nelle innovazioni, accelerando al contempo gli sforzi per cancellare le forti disuguaglianze che alimentano Hiv, tubercolosi e malaria“.

L’IMPATTO DELLA GUERRA UCRAINA

Tra il 2021 e il 2023 il Fondo globale ha messo a disposizione dei sistemi sanitari nazionali o comunitari dei Paesi fragili circa un miliardo e mezzo di dollari l’anno. Il contesto internazionale è però difficile, con tensioni che sono divenute più forti. “La guerra in Ucraina ha avuto senz’altro un impatto” sottolinea Sands. “Solo tre anni fa con il Covid-19 la salute globale era in cima alle priorità di molti Summit, mentre ora al G20 o al G7 le questioni chiave sono i conflitti e i cambiamenti climatici: la salute globale viene dopo”. Secondo il direttore, insomma, “la guerra in Ucraina ha insomma cambiato le dinamiche, non solo per la mobilitazione e la raccolta delle risorse ma anche per l’attenzione politica verso la salute globale che è indispensabile per ottenere risultati”.

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