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VIDEO | Padre Francesco Occhetta: “Rimettere fraternità al centro delle democrazie”

L'avvocato Cafiero: "Oggi i giovani richiedono di far sacra la propria vita"

Pubblicato:26-03-2024 16:23
Ultimo aggiornamento:26-03-2024 16:23

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ROMA – Un nuovo umanesimo basato sulla fraternità, che coinvolga anche il mondo del lavoro. È questa la strada segnata da padre Francesco Occhetta, docente alla facoltà di Scienze sociali della Pontificia università Gregoriana e segretario generale della Fondazione Fratelli tutti, nel libro ‘Democrazia, la sfida della fraternità’, edito da Il Pellegrino. Il libro contiene il contributo di esperti su quattro argomenti come la giustizia, il lavoro, l’ambiente e le riforme istituzionali.

La Chiesa di Francesco ha rimesso al centro dello spazio pubblico la fraternità, che va a bilanciare uguaglianza e libertà, che hanno preso dei corsi anche antidemocratici. La democrazia è sempre bilanciare il popolo con il potere, e possiamo farlo in due modi: ora lo stiamo vivendo in una dimensione di paura, e genera guerre. Se noi introduciamo una dimensione di speranza, portata dall fraternità, allora possiamo introdurre nuovi paradigmi. Com’è stato fatto nel 1948 con la Carta dell’Onu e con la nostra Costituzione. Quindi questo principio, che ha generato un nuovo modo di stare insieme, sta retroagendo, e noi lo vogliamo mettere nel cuore dello spazio pubblico. A partire dalla formazione e da scelte concrete”, ha spiegato Occhetta all’agenzia di stampa Dire.

“Questo volume è frutto di una comunità che pensa, e oggi fermarsi a pensare è un investimento per il futuro: pensare alle giovani generazioni che crescono, per consegnargli un mondo migliore di quello che abbiamo trovato- ha aggiunto l’autore e studioso- Riscoprendo la fraternità, ne acquistiamo tutti in utilità. L’individualismo esasperato porta a sentirsi monadi e decontestualizzati in un mondo che ti consuma e non ti valorizza. La dimensione comunitaria è trovare senso nelle cose, anche spirituali. La nostra Costituzione, quando regola l’articolo sul lavoro, dice che bisogna concorrere al bene materiale e spirituale del paese e la fraternità immette questa forza che è energia, sogno e gioia di stare insieme che poi fa nasce leggi, norme e comportamenti”.


Rimettere al centro l’umanità, quindi, anche nel lavoro, come ha spiegato l’avvocato giuslavorista Ciro Cafiero. “Oggi i giovani richiedono di far sacra la propria vita. E il mondo del lavoro si trasforma da un luogo fisico a uno spazio in cui le relazioni devono fiorire. Se questo non accade, i giovani abbandonano il lavoro, come ci insegna il fenomeno delle dimissioni di massa e come ci insegna quello che accade nei luoghi di lavoro poco generativi dal punto di vista delle relazioni: in quei luoghi di lavoro i giovani non trovano risposta alla domanda di senso che si fanno: ‘perchè lavoro?’. Se non sappiamo rispondere a questa domanda i luoghi di lavoro sono destinati al fallimento“.

Secondo l’esperto, quindi, bisogna guardare all’impresa come a una comunità, “uno spazio in cui, se i lavoratori provano benessere, lavoreranno molto più invogliati a raggiungere risultati. E vinceranno imprese e lavoratori”. Se da anni l’Italia si trova in una situazione di produttività stagnante, quindi, la ragione potrebbe essere anche il fatto che i luoghi di lavoro sono poco comunitari, ma “la colpa viene data sempre al gap tecnologico”. Questa generazione, però, “è la generazione chiave che ci spinge a fare meglio, quindi ascoltiamo i giovani perchè da lì ci arrivano i messaggi più importanti che dovranno trovare attuazione”.

Ma per inaugurare un nuovo corso, il “diritto non basta più: le Carte del 1948 non sono accolte da tutte le culture come quella musulmana ed indiana. Quindi in questo momento storico siamo chiamati a riscrivere ciò che è umano da ciò che non è umano. Noi dobbiamo però educarci a questo: c’è una coscienza sociale che non si pone più il problema del bene e del male. La tecnologia ci fa entrare in una ipnosi sociale, se non la governiamo umanamente”.

Per l’avvocato Ciro Cafiero, quindi, “c’è bisogno di politiche di inclusione e conciliazione dei tempi vita-lavoro. Il moto è il riconoscimento del bisogno dell’altro, e capire di cosa ha bisogno non la categoria omogenea e astratta di lavoratori, ma ogni singola persona”.

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