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Violenza sulle donne, l’avvocata Blasi al legale di Turetta: “Il suo ragionamento è totalmente errato”

Il legale, in un video di un paio d'anni fa, parlava di "situazione difficilmente controllabile" in caso di violenza sessuale

Pubblicato:23-11-2023 18:04
Ultimo aggiornamento:23-11-2023 18:04
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emanuele compagno avvocato turetta
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ROMA – Travolto dalle polemiche l’avvocato Emanuele Compagno, attualmente legale di Filippo Turetta, il 22enne di Torreglia accusato del femminicidio dell’ex fidanzata Giulia Cecchettin. Il motivo? Un discutibile ragionamento portato avanti in un video sulla violenza di genere, risalente a un paio di anni fa. Il video, rilanciato oggi dalla giornalista Selvaggia Lucarelli sui suoi profili social, sta facendo molto discutere. Tanto che, proprio in queste ore, è stato nominato per Turetta un nuovo avvocato difensore: si chiama Giovanni Caruso, del Foro di Padova, e affiancherà nel collegio difensivo il primo legale, l’avvocato Compagno.

Quali sono le espressioni usate da Compagno e oggetto di discussione? Eccole: “Ci dimentichiamo che cosa avviene all’interno del corpo e della mente di una persona quando scatta l’eccitazione sessuale- dice-, nel momento in cui scatta questa ‘ubriacatura’: da un certo punto di vista si perde il controllo della realtà, ci si mette in una situazione che poi è difficilmente controllabile e questo sia da parte della vittima ma anche da parte della persona che viene poi accusata di violenza”. Quanto c’è di vero, a livello penale e giuridico, in queste parole pronunciate da Compagno? L’agenzia Dire lo ha chiesto all’avvocato penalista Ida Blasi, dello studio legale Tonucci&Partners: “Non condivido giuridicamente il pensiero espresso dal collega. Il suo ragionamento- spiega- parte dal presupposto che sia molto difficile controllarsi quando è in atto un rapporto sessuale, perché l’eccitazione del momento renderebbe più complesso apprezzare se vi sia una revoca del consenso iniziale dall’altra parte oppure no. La premessa del ragionamento di Compagno è, quindi, che di fronte ad un consenso iniziale, la persona offesa sostanzialmente revochi il consenso. Se la premessa è questa, prescindendo dalle difficoltà anche comprensibili umanamente nel riconoscere la revoca del consenso, da un punto di vista giuridico è a mio parere pacifico che dalla revoca del consenso, comunque essa sia espressa e quand’anche non colta dal soggetto che sta compiendo l’atto, deriva la responsabilità penale del soggetto agente”. Tanto è vero che persino una recentissima sentenza della Corte di Cassazione, dell’aprile 2023 (n. 19599/2023), ribadisce un principio già consolidato secondo cui “neppure il caso della scriminante putativa (erroneamente supposta) del consenso dell’avente diritto può essere ritenuta configurabile quindi operante nel caso della violenza sessuale”.

In poche parole, se anche il soggetto agente, per errore, ritenga che l’altra persona stia prestando il consenso ad un rapporto sessuale, tale errore sul consenso dell’altra persona “è da considerare giuridicamente inescusabile e pertanto non scrimina una condotta che resta pienamente rilevante ai fini della responsabilità penale- sottolinea l’avvocato Blasi- Il ragionamento del collega Compagno, quindi, a mio parere non è corretto. Se vogliamo considerarlo da un punto di vista meta-giuridico, dunque umano, posso anche capire le difficoltà; ma da un punto di vista giuridico ritengo queste dichiarazioni del tutto errate”.

Ma per evitare i femminicidi è utile aumentare le pene oppure è necessario lavorare ad una educazione preventiva? “È difficile sintetizzare in poche battute una questione così complessa. Ma posso dire, per quanto mi concerne, che sono assolutamente d’accordo con chi dice che bisogna lavorare a monte– risponde l’avvocato di Tonucci&Partners alla Dire- perché la risposta penale implica che vi sia stato già un fallimento sul piano socio-culturale ed educativo. Non so quanto sia utile parlare di sanzioni e aggravamento delle pene, anche perché le sanzioni sarebbero in astratto già idonee a fungere da deterrente. Non credo, allora, in una risposta consistente in un ulteriore aggravamento delle sanzioni, ma piuttosto in tutto quello che si può fare a livello preventivo, culturale ed educativo. Su questo sono assolutamente d’accordo”. 

Ciò che ingenera grande timore nelle vittime rispetto all’evenienza di denunciare anche fatti che semplicemente sono dei precursori rispetto ad episodi di violenza più grave, molte volte risiede nel fatto che “la persona offesa ha paura di innescare un procedimento che sia irreversibile, nel quale si trova coinvolta spesso all’interno di dinamiche familiari, magari con figli minorenni di mezzo e con il rischio di far finire in galera il loro padre. Quindi l’aumento e/o l’aggravamento della risposta sanzionatoria, secondo me, non è una risposta. È un fatto educativo, si deve lavorare sulla scuola e sul territorio per cercare di cambiare una mentalità, improntata ad assoluta prevaricazione e insofferenza verso la libertà morale e fisica altrui, che è veramente folle”, conclude l’avvocato Blasi.


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