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Migranti, Giro: “L’Unione europea frena, ma l’Italia inizia da sola”

L'italia andrà avanti sul progetto del 'Migration Compact', dice Giro. Con i 3 milioni di fondi stanziati dalla Cooperazione allo sviluppo si creerà un fondo di garanzia per i privati che intendono investire in quei paesi

Pubblicato:19-10-2016 10:44
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 09:11

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Mario GiroROMA – L’Italia, nella gestione dei flussi migratori, “farà da sola. vale a dire, inizierà da sola”. Ne è convinto il viceministro agli Affari esteri e alla cooperazione internazionale, Mario Giro, intervenuto stamani in Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani di Palazzo Madama, per dare un aggiornamento sull’adozione della proposta del Migration Compact. Tale proposta, che punta a sostenere investimenti privati per creare sviluppo nei paesi africani, secondo il viceministro “è l’unica che c’è”, perché “è l’unica strategia possibile, e poi nessun paese europeo ne ha proposta un’altra”. Eppure Bruxelles, “se in un primo momento ha applaudito e si è complimentata con noi, poi ha subito frenato, come sua abitudine”, e l’ha smembrata, trasformandola in “Migration framework, mentre dal punto di vista finanziario ha riadottato il Trust fund for Africa approvato al vertice della Valletta dell’anno precedente”. Ma questo, come ricorda il viceministro, “presenta vari problemi”, poiché si rivolge a pochi paesi e non a tutta l’Africa – come il progetto italiano invece prevede – e soprattutto “mette sul tavolo pochi fondi”. Il vicecapo della Farnesina osserva quindi che l’Unione “vorrebbe trasformare l’Italia e la Grecia negli hotspot d’Europa“. Ma a suo avviso serve invece “una vera partnership comune con i paesi terzi, non per bloccare i flussi – cosa impossibile – ma per renderli circolari”.

MigrantiInfatti, dal suo punto di vista “i rimpatri sono praticamente impossibili – ai voli charter che li trasportano non viene consentito di atterrare, e fare accordi coi governi è molto complicato – mentre lo spostamento di persone in Africa è un movimento ormai inarrestabile: in 13 milioni si sono già trasferiti, e meno di un milione è arrivato in Europa. Si tratta di una dinamica sud-sud in cui noi europei non possiamo intervenire”. Poi, se da un lato ci sono sia problemi legati alla sicurezza delle persone (guerre, povertà, e non ultimo le crisi ‘ambientali’ date dai cambiamenti climatici), dall’altra c’è “la volontà di tanti giovani che semplicemente vogliono andare altrove per costruirsi un futuro. Sono più individualisti dei padri, non condividono più ideali nazionalisti o del panafricanismo”. Insomma, “fermare le migrazioni è impossibile“.

L’Italia, quindi, “come spesso ha detto il premier Matteo Renzi, farà da sola. Cioè, inizierà da sola. Useremo i fondi stanziati dalla Cooperazione allo sviluppo – circa 3 milioni – come un fondo di garanzia per gli investimenti del settore privato per investire in quei paesi (a fronte di tassi d’interesse troppi alti) e creare sviluppo. Questo ci conviene- sottolinea ancora Giro- perché così andrebbero le nostre imprese. Inoltre impiegheremo il Trust Fund europeo di 500 milioni per attività volte a bloccare l’immigrazione“. Dopo che l’Europa nei giorni scorsi ha individuato cinque paesi critici – Nigeria, Etiopia, Senegal, Niger e Mali – “creeremo dei ‘mini compactper la creazione di posti di lavoro, che dovrebbero bloccare i flussi”. Il processo tuttavia richiederà molto tempo, “perché il lavoro della cooperazione allo sviluppo è per sua natura lento”.


Per questo la proposta italiana, torna a ribadire il viceministro, “è migliore, perché chiede di intavolare un dialogo diretto con i governi di quei paesi, per capire di cosa hanno bisogno, e poi consentire al settore privato di realizzarlo”. Un impatto maggiore avranno invece i progetti per securizzare le frontiere, sebbene “in Africa siano molto più porose, perché storicamente l’idea del controllo di una nazione è sempre passata per quello della capitale, quindi di fatto non esistono”. Infine, il viceministro ricorda l’adozione da parte del governo del progetto dei corridoi umanitari: “Iniziativa nata dalla società civile che solo l’Italia ha adottato, e che si fonda sul criterio della vulnerabilità: si pensa prima di tutto alla persona, e ad identificarla, dotandola di documenti, non all’arrivo bensì al momento della partenza”. Tale criterio “è previsto dalla legge europea, ma nessuno ha avuto il coraggio di ricordarlo. Se l’immigrazione fosse stata gestita così sin dall’inizio, invece di essere lasciata sul piano dell’emergenza, il problema oggi non si porrebbe”, la conclusione del viceministro Giro.

di Alessandra Fabbretti, giornalista

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