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Medio Oriente, la storia di un professore israeliano: “Licenziato e detenuto perché pro-Gaza”

Meir Baruchin: "Siamo in un pantano, da Netanyahu solo vendetta"

Pubblicato:18-11-2023 13:31
Ultimo aggiornamento:21-11-2023 18:59
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giustizia
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ROMA – “In tanti in Israele sono contrari alla guerra nella Striscia di Gaza, ma non parlano perché hanno paura di perdere il lavoro. Pesano le parole ovunque: sui social, su WhatsApp, persino al bar. Io negli anni sono stato licenziato tante volte per le mie idee; ora ho fatto quattro giorni di carcere per aver denunciato i numeri folli dei palestinesi uccisi a Gaza e ricevo minacce di morte, ma non mi faranno tacere”. Meir Baruchin è un cittadino israeliano che da 35 anni insegna storia ed educazione civica alle scuole superiori. La settimana scorsa ha trascorso quattro giorni in carcere “senza accuse formali”, come ha riferito anche la testata israeliana Haaretz il 14 novembre, in un editoriale dal titolo ‘Arrestare arabi ed esponenti di sinistra: così Israele reprime il dissenso sulla guerra di Gaza’. All’agenzia Dire Baruchin racconta: “Da anni sono attivista per l’associazione ‘Guarda l’occupazione negli occhi’ (Looking the occupation in the eyes) e sul mio profilo Facebook ho una pagina in cui pubblico informazioni sulla pulizia etnica in corso contro i palestinesi nei Territori occupati: persone uccise dai soldati, case demolite, oliveti sradicati dai coloni”. Informazioni che, secondo il docente, “i nostri media mainstream oscurano”.

Dopo gli assalti in cui i commando di Hamas hanno ucciso 1.200 persone il 7 ottobre, a cui Israele ha risposto con una operazione militare nella Striscia che ha causato 11.500 morti, riferisce il docente, “ho condiviso foto e video delle vittime innocenti dei raid e questo non è piaciuto al preside della mia scuola”. In 48 ore, all’insegnante è stato notificato il licenziamento, mentre il ministero dell’Istruzione gli ha trasmesso la sospensione della licenza professionale. “Non potrò più trovare lavoro” dice Baruchin.
Ma i guai per il docente erano solo iniziati: “Sono stato denunciato e la polizia mi ha convocato con l’accusa di ‘intentato tradimento’ e ‘atti contro il welfare pubblico”. In questura, racconta Baruchin, “mi hanno ammanettato polsi e caviglie, sequestrato orologio da polso e cellulare, di cui hanno voluto la password, e riportato a casa: avevano un mandato di perquisizione”. Per due ore, racconta Baruchin, “hanno messo a soqquadro la casa in cerca di prove. Hanno sequestrato due pc portatili e hard disk esterni, poi mi hanno interrogato per quattro ore”.

L’insegnante chiarisce: “Gli agenti non mi hanno fatto domande: usavano locuzioni che contenevano già la risposta senza permettermi di rispondere, come per esempio: ‘Qualcuno che giustifica Hamas credi che potrebbe fare questo o quello?’. Implicitamente mi stavano accusando di sostegno al gruppo senza darmi diritto di replica”. Terminato l’interrogatorio, l’uomo è stato portato “in cella di isolamento, classificato come ‘detenuto altamente pericoloso'”. Il giorno dopo, di venerdì, continua il racconto, “mi hanno portato davanti al giudice, che sembrava avere una gran fretta di rincasare per iniziare lo shabbat”. Tramite il suo legale, Baruchin si oppone alla richiesta di fermo di sette giorni presentata dall’accusa; alla fine il magistrato conferma la misura per tre giorni. Nei quattro giorni trascorsi in cella, il professore racconta di non aver ricevuto cambi d’abito. “Mi hanno messo in una cella minuscola dove mi sono imposto di fare esercizio fisico ogni due ore per restare lucido” dice Baruchin. “Mi hanno concesso un’ora d’aria al giorno”. Il lunedì seguente, 13 novembre, il giudice ha confermato il rilascio per insussistenza di prove, ma ha imposto una cauzione e un divieto di accesso ai social per 15 giorni. Ma dopo l’udienza, ricorda Baruchin, “gli agenti mi hanno trattenuto per altre tre ore senza ragione. Quando mi hanno fatto uscire non mi hanno riconsegnato né lo smartphone né le altre cose. Il mio avvocato ha presentato un esposto”.


Baruchin definisce l’esperienza “una persecuzione politica”. E sottolinea: “Il mio non è un caso isolato: conosco uno studente universitario e una maestra a cui è successa la stessa cosa”. La stampa locale riporta di 200 arresti di arabo-israeliani dal 7 ottobre per post o affermazioni contro la guerra. “Ora ricevo minacce di morte, ma anche solidarietà da amici e colleghi” aggiunge il professore. “Tanti ammettono che, pur appoggiando le mie posizioni, non potranno dichiararle apertamente. Troppo alto il rischio diperdere il lavoro, con figli a carico o mutui da pagare”. Sebbene convinto che tanti cittadini in Israele siano contrari alla violenza, l’insegnante chiarisce: “Dopo Gaza, per noi andrà peggio. Non mi sorprenderebbe l’avvento di un governo analogo a quello attuale: sempre più persone affermano che le morti di Gaza sono giuste o le attribuiscono unicamente ad Hamas. Sono gli stessi che mi minacciano e militano nell’estrema destra, che sta crescendo”. E poi c’è quello che Baruchin chiama “il pantano Gaza”. “Ci vollero anni e centinaia di soldati morti per uscire da quello libanese”, ricorda il professore in riferimento alla guerra dal 1982 al 1985. “Il governo Netanyahu non ha una strategia politica, ha solo esercitato vendetta per l’attacco subito da Hamas”. Un gruppo armato che, accusa l’insegnante di storia, “è stato finanziato e addestrato proprio da Israele per contrastare l’azione di Yasser Arafat e dell’Organizzazione per la liberazione della palestina (Olp) e, in tempi recenti, di Mahmoud Abbas”, il leader dell’Autorità nazionale palestinese in Cisgiordania. A rischio ci sarebbero poi i legami con l’Occidente e i suoi cittadini. “Il 7 ottobre abbiamo ricevuto un’ondata di solidarietà” ricorda Baruchin. “Ora la situazione si è capovolta. D’altronde nessun essere umano può accettare la strage a Gaza. Sempre più governi criticano Israele”.

A chi propone di rispolverare la soluzione “due popoli e due Stati”, l’insegnante replica: “Ha dei pro e dei contro come la creazione di un unico, grande stato. Non sta a me scegliere ma ho un sogno: che ebrei e palestinesi convivano in pace, da amici, cooperando e garantendo a tutti dignità e uguaglianza”. Un desiderio che Baruchin nutre soprattutto per le nuove generazioni in Israele, “bersaglio continuo dalla propaganda velenosa dei governi di turno, che negano la storia e le ragioni dei palestinesi”. Il professore spiega: “A scuola insegno altro. Ne ho fatto una missione. Credo che, se chiedi la giustizia, devi assicurarti che l’abbia anche il tuo vicino. E lascio che ognuno dica la sua. Spesso vengono ad ascoltare le mie lezioni anche da altre classi e ho mantenuto buoni rapporti con tanti ex studenti. Libertà di espressione è prima di tutto ascoltare quello che non ti piace”.

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