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Nell’Egitto della Cop27 il detenuto politico Abdel Fattah promette: “La mia lotta non finisce”

Alla famiglia che non lo vedeva dal 24 ottobre ha raccontato dei giorni di sciopero della fame e della sete per chiedere diritti

Pubblicato:18-11-2022 19:51
Ultimo aggiornamento:18-11-2022 19:51

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ROMA – “Alaa ci è sembrato stravolto dallo sciopero della fame e della sete, ma è vivo e non intende fermarsi“: così i familiari di Alaa Abdel Fattah hanno descritto l’uomo, incontrato ieri per la prima volta dal 24 ottobre scorso nonostante nei giorni seguenti l’attivista anglo-egiziano avesse inasprito la sua personale forma di protesta contro il governo del presidente Abdel Fattah Al-Sisi: da otto mesi già osservava lo sciopero della fame, ma a partire dall’1 novembre ha eliminato anche le 100 calorie quotidiane assunte, mentre il 6 novembre ha smesso anche di bere, nel giorno in cui a Sharm El-Sheikh si apriva la Cop27, la Conferenza Onu sul clima. Il suo intento: attirare l’attenzione sugli oltre 60mila prigionieri politici finiti nelle carceri egiziane da quando il generale Al-Sisi è salito al potere, e sul suo caso personale: arrestato nel 2019, Abdel Fattah è stato condannato nel dicembre scorso a scontare cinque anni per diffusione di false notizie, reato che rientra nella legge egiziana sull’antiterrorismo.

A dare il resoconto dell’incontro alla testata Mada33, nel giorno in cui a Sharm el-Sheikh si conclude la Cop27, è stata la sorella Sana Seif, che dopo aver scontato la pena di 18 mesi è stata scarcerata proprio nei giorni in cui il fratello veniva condannato con una sentenza del Tribunale d’emergenza, quindi non appellabile. Anche lei è stata arrestata per via della sua appartenenza al movimento per la democrazia sia durante le rivolte popolari del 2011 che negli anni seguenti. Seif ha riferito i dettagli del colloquio con il fratello, raggiunto con la madre Leyla nel carcere di Wadi El-Natrun, circa 150 chilometri a nord del Cairo, attraverso un’auricolare e un microfono, separati da un vetro.

L’ACCUSA: “TANTE VERITÀ OMESSE DAI VERBALI

Abdel Fattah è apparso alle due donne debole e molto dimagrito. Nonostante ciò l’uomo è riuscito a raccontare come si è svolto e concluso il suo sciopero: “Due giorni dopo aver smesso di bere acqua- si legge nell’intervista a Mada33- è stato emesso l’ordine di portare tutti i detenuti nella clinica medica della prigione per ‘esami di routine‘”. Una volta lì, Abdel Fattah ha chiesto che “il suo sciopero venisse trascritto nel referto medico prima di sottoporsi alla visita”. Ma come continua Sana Seif, gli agenti si sono opposti, quindi sono arrivati altri ufficiali in borghese “per costringerlo a rientrare in cella, ma lui si è rifiutato ancora, minacciando il suicidio“. Una volta riportato lì, Abdel Fattah “ha sbattuto violentemente la testa contro il muro” e pertanto “è stato legato e messo sotto sorveglianza”. Il terzo giorno, mercoledì 9 novembre, “Abdel Fattah “ha sbattuto nuovamente la testa contro il muro, chiedendo ai funzionari della cella di registrare in un documento ufficiale i suoi attacchi” di autolesionismo.


Il giorno seguente, ha raccontato Abdel Fattah, si è presentato un funzionario del Pubblico Ministero “diverso dagli altri”, perché “ha trascritto le richieste e le istanze che hanno spinto mio fratello allo sciopero della fame e della sete, le sue denunce su quanto accaduto nel carcere di massima sicurezza di Tora (dove è iniziata la sua detenzione, ndr.) e le conseguenze di vedersi negare da tre anni musica, libri ed esercizio fisico all’aperto”. Tuttavia, secondo i familiari, nel verbale a cui avrebbero avuto accesso queste informazioni non ci sono e lo stato di salute dell’uomo è riportato come “buono”.

FINE DELLO SCIOPERO, E UN PO’ DI MUSICA DOPO 3 ANNI

Venerdì 11 novembre, quinto giorno dall’inizio dello sciopero della sete, alla sorella e alla madre l’attivista ha raccontato di essere svenuto due volte mentre faceva la doccia. Quando ha ripreso i sensi era in cella, con una flebo di glucosio collegata al braccio, circondato dai compagni di cella che hanno iniziato a dargli da mangiare, ponendo fine allo sciopero della fame e della sete per “salvargli la vita”.

A questo punto Sana e Leyla denunciano che, sebbene il giorno successivo Abdel Fattah abbia scritto loro una lettere per rassicurarle sul fatto che stesse bene, le autorità carcerarie hanno atteso due giorni per consegnarla, lasciando la famiglia nel dubbio che avesse perso la vita per gli stenti. A partire da lunedì 14 l’attivista ha ripreso a mangiare autonomamente e gli è stato consentito di ascoltare della musica, “e mi sono sentito rinato”, come ha dichiarato.

L’iniziativa di Abdel Fattah ha innescato un ampio movimento di solidarietà internazionale per il suo rilascio guidato dall’hashtag #freealaa, di cui l’attivista è stato informato dalla madre e dalla sorella, come le due donne hanno confermato alla testata egiziana. L’intervista si è conclusa con l’impegno annunciato da Abdel Fattah di proseguire dal carcere la sua azione per il rispetto dei diritti umani in Egitto. Sana Seif ha concluso biasimando l’atteggiamento del governo di Londra che non avrebbe “mosso un dito per Abdel Fattah, che ha la cittadinanza britannica”, ipotizzando che questo dipenda dal “forte legame d’amicizia che lega Londra al governo egiziano”, come ha avvertito la sorella.

NOURY (AMNESTY): “ALAA VERO PROTAGONISTA DELLA COP27”

Tale resoconto è drammatico“, commenta per l’agenzia Dire il portavoce di Amnesty International, Riccardo Noury. “E’ una ricostruzione feroce di come Alaa è stato trattato in quest’ultimo periodo. Oggi è il suo compleanno, il nono che trascorre in carcere”, tenendo conto degli altri periodi trascorsi in cella prima del 2019. “Noi- prosegue Noury- continuiamo a pretendere che sia scarcerato subito e intanto ammiriamo il suo coraggio e quello della sua famiglia. Dal carcere Alaa è stato il protagonista della Cop27 come ha riconosciuto la plenaria stessa, chiedendo a gran voce la sua scarcerazione”.

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