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Libia, l’attivista Khalifa: “Quant’è difficile credere a Berlino”

Ricercatrice e attivista libica, Asma Khalifa spiega che molti libici si sentono "distanti" dai negoziati di Berlino

Pubblicato:17-01-2020 11:15
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 16:51

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ROMA – “Fallito il tentativo di Russia e Turchia, gli europei potrebbero avere un ruolo più importante, ma il Processo di Berlino resta opaco, imposto dall’alto e imperniato su attori inaffidabili“: Asma Khalifa, 29 anni, ricercatrice e attivista libica per le donne amazigh, parla con l’agenzia Dire dalla Germania a due giorni dalla Conferenza. La prima domanda riguarda le sue aspettative in vista degli incontri di domenica. La cancelliera Angela Merkel ha invitato i rappresentanti di Stati Uniti, Russia, Cina, Gran Bretagna, Italia, Unione Europea, Nazioni Unite, Lega Araba, Unione Africana, Repubblica del Congo, Algeria, Egitto, Emirati Arabi Uniti e Turchia. Molte attese sono però legate alla partecipazione dei due rivali del conflitto in Libia, il primo ministro tripolino Fayez Al-Serraj e il generale Khalifa Haftar, alle guida delle forze con base in Cirenaica e nei distretti dell’est.

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Secondo l’attivista, che sta completando un dottorato di ricerca presso il German Institute of Global and Area Studies, molti libici si sentono “distanti” dai negoziati di Berlino. “C’è sconcerto per il mancato invito alla Tunisia, un Paese vicino che ha un ruolo importante, e lo stesso vale per l’Olanda, un donatore di rilievo in questi anni” sottolinea Khalifa. “Preoccupa poi l’affidamento che viene fatto su Paesi coinvolti in Libia in modo problematico e su personaggi come Al-Serraj e Haftar, che non controllano tutte le catene di comando e hanno dimostrato appieno la propria inaffidabilità”. Sperare, però, si deve. Khalifa lo sottolinea ricordando che a Tripoli gli sfollati a causa dei combattimenti cominciati ad aprile sono oltre 200mila e che solo un accordo internazionale consentirà la tenuta di un cessate il fuoco, messo quotidianamente a rischio ancora in questi giorni da “schermaglie e saccheggi”.


 









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Questa settimana un portavoce del governo tedesco ha sottolineato che la Conferenza mira a “sostenere il lavoro del segretario generale dell’Onu Antonio Guterres e dell’inviato speciale Ghassan Salamé per una Libia sovrana e un processo di riconciliazione”. Sin dai primi incontri tenuti a Berlino lo scorso anno, il Processo mirerebbe a negoziare una tregua e a favorire la trattativa tra le parti in lotta. Secondo Khalifa, però, come saranno sciolti alcuni nodi resta un rebus.”Non capisco – dice l’attivista – come si possa parlare di elezioni in un Paese dove per oltre nove mesi ci si è sparati addosso gli uni con gli altri“.

Khalifa ha fondato Tamazight Women Movement, una campagna che si batte per i diritti delle donne berbere e la parità di genere in Libia. In passato, l’attivista ha denunciato il rischio di nuove discriminazioni e le minacce rivolte dalle milizie di Haftar alle comunità non arabe. Rispetto a questi abusi, ora sottolinea che ricostruire sarà ancora più difficile se “non sarà affrontata la questione della giustizia”.

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