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Giustizia, oggi la sentenza del processo Condor. Figlia desaparecido: “Sarà precedente per il Cile”/VIDEO

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Pubblicato:17-01-2017 13:07
Ultimo aggiornamento:17-12-2020 10:48

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ROMA – Si chiude oggi un percorso iniziato due anni fa – il 12 febbraio del 2015 – quando si è aperto nell’Aula Bunker del Carcere di Rebibbia, a Roma, il processo per i responsabili delle stragi compiute nel corso delle dittature in Argentina, Bolivia, Uruguay e Cile a partire dagli anni Settanta.

La sentenza di oggi del cosiddetto ‘Processo Condor‘ – dal nome del Plan Condor, la strategia elaborata dalle dittature sudamericane di concerto con la Cia – vede alla sbarra 33 persone: agenti della repressione e membri delle giunte militari, responsabili del sequestro e dell’omicidio di 42 prigionieri argentini, cileni e uruguayani. Tra di loro anche 22 di nazionalità italiana. Tra questi anche Juan Josè Montiglio, un giovane di origini piemontesi, socialista, membro della scorta personale del Presidente Allende. Sequestrato nel 1973, morì nella Caserma Tacna insieme ai suoi colleghi. La loro morte è stata attribuita direttamente al generale Pinochet, colui che rovesciò il governo costituzionalmente eletto di Salvador Allende e instaurò in Cile una lunga dittatura.

“Per me questa sentenza è molto importante, poichè in Cile ancora non abbiamo avuto giustizia– spiega all’agenzia DIRE Tamara Montiglio, la figlia di Juan, arrivata nella capitale per assistere alla lettura della sentenza. La raggiungerà anche suo fratello, che attualmente risiede a Firenze. “Questa costituirà un precedente per la giustizia cilena. Mia madre- prosegue- non è potuta venire. Per noi è stata una lunga attesa. Io e mio fratello avevamo 2 e 3 anni quando mio padre è morto, lei ci ha cresciuto da sola. Ha sentito molto la mancanza di nostro padre: questa sentenza è significativa anche per lei. Noi sappiamo la verità, e anche il mondo deve conoscerla. La giustizia è il modo di dire al mondo che loro sono morti ingiustamente”.


Questo procedimento ha portato molti testimoni provenienti da vari Paesi dell’America Latina tra cui Uruguay, Paraguay, Messico, Brasile. Per ogni paese ci sono diversi aspetti da tenere presente, come spiega alla DIRE Jorge Ithurburu, presidente della onlus’ 24 Marzo’, che si è occupata di seguire il processo e di curare i diritti dei famigliari dei desaparecidos. “In alcuni paesi- sottolinea il presidente della 24 Marzo- sono stati fatti processi contro i responsabili dei desaparecidos, come in Argentina e Uruguay. In Cile ne sono stati fatti solo alcuni, in Bolivia ad esempio nessuno, perciò questa sentenza porta una riflessione in tutti i paesi del continente ma in modo diverso, a seconda delle diverse realtà”, conclude.


di Alessandra Fabbretti, giornalista

BOSCHI: STATO CHIEDE VERITA’ E GIUSTIZIA PER VITTIME

“Processo Condor: lo Stato chiede verità e giustizia per le vittime italiane”. Lo dice la sottosegretaria alla presidenza del consiglio Maria Elena Boschi, in un tweet.

ALL’AMBASCIATA DEL CILE SCATTI DI UN DESAPARECIDO

Ayala e Margherita, la sorella di Canales

Alla vigilia della sentenza del processo Condor, l’ambasciata del Cile ha organizzato una mostra per esporre gli scatti di Juan Bosco Maino Canales, sequestrato quando aveva 27 anni e poi ucciso dai militari di Pinochet. Questi scatti, come spiega la sorella Margherita, giunta a Roma per assistere alla sentenza di oggi nell’Aula Bunker del carcere di Rebibbia, “ci permettono di recuperare il modo in cui mio fratello vedeva il mondo. Non potremo riavere Juan indietro, ma possiamo vedere che concepiva un mondo basato sulla giustizia”. I negativi di Juan sono stati recuperati in parte dalla famiglia in parte da una giornalista, e mostrano il suo lavoro nell’ambito del progetto ‘Padri e figli‘ del Centro di ricerca e sviluppo dell’istruzione (Cide), per il quale lavoro’ come fotografo dal 1973 al 1976. Il progetto puntava alla promozione dell’alfabetizzazione popolare.

Dopo il colpo di Stato di Pinochet, il Cide è diventato un punto di riferimento per coloro che si opponevano al regime dei militari. Una testimonianza della resistenza di tanti cittadini del Cile, ma anche per tutti gli altri che combatterono contro le dittature in Sud America di quegli anni. “Il Piano Condor è stato realizzato nel periodo della Guerra fredda, quando il mondo era diviso tra Unione Sovietica e Stati Uniti” ha spiegato all’agenzia DIRE a margine dell’evento di ieri l’ambasciatore cileno Fernando Ayala. “Non c’è nessun dubbio- ha evidenziato- che la Cia e gli americani siano stati dietro tantissime cose accadute sul piano politico in America Latina. Oggi dobbiamo guardare al futuro, ma non dimenticare quello che è successo nella nostra storia“. La dittatura in Cile è finita nel 1990, ma “i processi continuano fino a oggi perchè i crimini di lesa umanità non hanno fine”, ha aggiunto. In quanto al nostro presente, “io sono un ottimista. Rispetto a 20-25 anni fa- ha detto ancora- oggi quasi tutti i paesi dell’America Latina hanno sistemi democratici. Abbiamo difficoltà economiche, di disuguaglianza, ma in generale è un continente senza guerre, in cui la gente può vivere tranquilla”.

di Alessandra Fabbretti, giornalista

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