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Il produttore Martino Benvenuti: “Respiro cinema da quando sono nato, ora sogno Tarantino”

Think Cattleya ha creato una divisione dedicata ai documentari debuttando con ‘Vivo con i sogni appesi’ su Ultimo. L’intervista al giovanissimo general manager

Pubblicato:15-07-2023 09:00
Ultimo aggiornamento:15-07-2023 01:31

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(Photo Credits: Riccardo Ghilardi)

ROMA – “Onore a chi è un po’ folle, a chi ama osare, a chi ama sognare”, si dice in ‘La La Land’ di Damien Chazelle. Una citazione che sembra essere stata scritta anche per Martino Benvenuti. Classe 1992, nato a Roma, respira cinema da quando è nato e sogna di produrre un documentario su Quentin Tarantino. L’agenzia Dire lo ha incontrato in occasione del lancio della divisione dedicata ai documentari di Think Cattleya, casa di produzione del gruppo Cattleya, di cui Benvenuti è il general manager ed executive producer. Ad inaugurare questa nuova avventura per la società è ‘Ultimo – Vivo coi sogni appesi’ (disponibile su Prime Video), un documentario che per la prima volta racconta l’artista in tutte le sue sfumature.

Think Cattleya lancia la divisione dedicata ai documentari e tu ne sei il general manager ed executive producer. Raccontaci questa novità.


L’idea era nella mia mente da un po’ di tempo. A darmi la spinta è stata sia la curiosità personale perché i documentari ti arricchiscono e poi perché le piattaforme streaming si sono aperte a questo tipo di contenuto. Quindi, sapevo che avremmo avuto molta più visibilità rispetto agli anni passati. Prima dell’avvento delle piattaforme, i documentari erano mirati a uno specifico pubblico. Ora sono diventati pop e agli utenti piacciono. Il primo progetto con cui siamo partiti è ‘Vivo coi sogni appesi’ di Ultimo. E da qui è abbiamo iniziato ad avere una divisione interna strutturata con persone, oltre che di produzione, del reparto editoriale incentrato sui doc. In questa divisione c’è anche una parte riguarda i progetti di cinema e serie di Cattleya e una parte dedicata ai progetti nuovi che ci vengono proposti oppure che ci vengono in mente. Poi noi li presentiamo alle varie piattaforme.

Avete inaugurato questa questa divisione con il documentario ‘Vivo coi sogni appesi’ (disponibile su Prime Video) che racconta Ultimo. Che esperienza è stata?

È stata un’esperienza bellissima. Abbiamo seguito un tour davvero importante. Un viaggio molto interessante e divertente ma, al tempo stesso, curioso. Vediamo un ragazzo che, in poco tempo e con tanta passione, ha raggiunto così tanti stadi riempiendoli con così tante persone a cantare e ad emozionarsi con lui. Un aspetto inedito è il suo lato umano: per la prima volta vediamo il ragazzo che c’è dietro l’artista. Ho deciso di raccontarlo perché sono un fan di Niccolò (questo il nome del cantante, ndr) e un suo amico. È una persona che mi piace e il mio trasporto in questo progetto è stato forte.

Ultimamente molti artisti della musica italiana hanno deciso di mettersi a nudo in un documentario. Secondo te perché in questo periodo questa venuta fuori questa esigenza?

È un periodo in cui il mondo della musica è esploso, soprattutto i live. C’è una curiosità da parte del pubblico per gli artisti e i musicisti. Credo che dopo la pandemia la musica sia diventata, più di prima, un centro di interesse fortissimo. E le persone sono curiose di scoprire cosa c’è nella vita dei cantanti che amano, vogliono sapere di più di quello che si vede da una storia pubblicata da un cantante sul suo profilo Instagram. È il lato umano che attira e che viene fuori dal docu dedicato su Ultimo. Lui, con una facilità disarmante, è capace di capire le persone e di entrare in sintonia con loro. E questo lo vedi nei suoi concerti, basta girarti verso la folla e guardare i volti.

Cosa c’è nel futuro di Cattleya?

Abbiamo molti progetti in cantiere, ma non posso ancora annunciarli. Posso dire che ci stiamo concentrando sul mondo della musica. A breve li sveleremo. Ma c’è anche crime ed altri generi. Quando capisci che davanti hai il progetto giusto? Mi faccio guidare dall’istinto mettendomi sempre dalla parte dello spettatore. Se funziona, lo porto avanti.

Di quale artista della musica, del cinema o di quale personaggio noto vorresti produrre un documentario?

Quentin Tarantino.

Attraverso quale chiave?

Vorrei raccontare il suo approccio alla regia e, in generale, la sua filosofia e le sue tecniche.

Film preferiti di Tarantino?

‘Pulp Fiction’ e ‘Jackie Brown’.

Ultimo vive coi sogni appesi. E tu?

Non dichiaratamente come Ultimo (sorride, ndr), ma direi di sì. Altrimenti non avrei tutta questa passione.

Cosa sogni?

Sogno di continuare a fare sempre più progetti che possano emozionare e dare un valore aggiunto alle persone. Motivo per cui ci siamo lanciati nel mondo dei documentari. Hai dei ricordi legati al cinema? Io sono cresciuto nel mondo del cinema perché tutta la mia famiglia lavora in questo settore. Mio nonno (Leonardo Benvenuti, ndr) è stato un grande sceneggiatore. Ha scritto delle commedie all’italiana che fanno parte del nostro immaginario. Per esempio, i film con Fantozzi e quelli di Carlo Verdone, ‘Il Marchese del Grillo’ e moltissimi altri come ‘C’era una volta in America’, ‘Matrimonio all’italiana’, ‘La stanza del vescovo’, ‘Signore e signori, buonanotte’, ‘La locandiera’ e la trilogia di ‘Amici miei’. Ricordo quando vedevo mio nonno scrivere. La sceneggiatura è la parte più importante del nostro settore. Vengono sempre menzionati i registi, gli attori e i produttori del cinema. Chi scrive i film passa, spesso, inosservato. I dialoghi sono fondamentali per la riuscita di un progetto. Mi vengono in mente le riunioni di sceneggiatura che faceva mio nonno. Tra una battuta e un’altra, risate e conversazioni su qualsiasi cosa nascevano le idee più belle.

Questo ti ha spinto a fare il produttore?

Tutta la mia famiglia è nel cinema. Mio nonno è sceneggiatore, mia nonna scrive programmi per la Rai, mio padre è un direttore della fotografia (Roberto Benvenuti, ndr), mia mamma è una produttrice (Monica Riccioni, ndr), mio zio è un regista. Sono cresciuto, nel vero senso della parola, in mezzo a tutti i reparti del cinema e sui set. A casa si parla di cinema da sempre. Mi sono avvicinato a questo mondo prima per passione e poi per lavoro, scegliendo spontaneamente il ruolo del produttore perché ho una vena organizzativa pratica. Sono un ‘problem solving’, trovo velocemente una soluzione ma ho anche un’indole creativa e curiosa sia nel vedere i progetti sia nel farli.

Quali sono le difficoltà che incontri da produttore?

Le difficoltà sono molteplici. È un lavoro che sembra bello e facile dall’esterno, ma in realtà è complesso. Quando hai l’idea devi andare a capire chi sono gli aventi diritto, devi visionare le immagini di repertorio e scoprire a chi appartengono, poi capire se il personaggio che vuoi in quel progetto è disponibile e se lo è sperare che accetti il budget proposto. È un continuo incastrare passaggi su passaggi. Infine, devi presentare l’idea alle piattaforme. Se gli piace si passa alla questione economica. È un meccanismo complesso che parte con entusiasmo perché tu credi fortemente nel progetto che vuoi presentare. Ma bisogna mettere in conto anche qualche ‘no’. Oppure è un ‘sì’ con dei ‘ma’. E quindi devi trovare altre soluzione. Quando un progetto va in porto la strada che hai davanti non è in discesa, ci sono tante incognite. Per esempio, la necessità di più giorni di riprese o turni in più in sala montaggio, per fare degli esempi.

Ti spaventa di più il successo o il fallimento?

Nessuno dei due. In questo lavoro, come in tutte le cose, bisogna mettere in conto i fallimenti. È necessario avere la consapevolezza di riconoscere i propri sbagli, imparare da questi e migliorarsi. Se ti blocchi dopo un fallimento è la fine. Con il successo, invece, devi sempre rimanere con i piedi per terra perché non è per sempre.

C’è qualcosa che vuoi dire ai ragazzi che non hanno ancora trovato un loro posto nel mondo?

Ragazzi e ragazze trovate la vostra strada con passione e concentrazione. All’inizio è normale avere un po’ di confusione generale. Non abbiate paura di fallire perché è meglio sbagliare provando piuttosto che stare fermi ad aspettare con le mani in mano.

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